Nella sanità, la materia più importante per il bilancio della regione e una fra quelle che i cittadini consideravano sicuramente prioritarie anche prima dell’emergenza coronavirus, i risultati della giunta presieduta da Giovanni Toti sono pessimi. La procura regionale della Corte dei conti ha accertato che il disavanzo della sanità ligure, 64 milioni di euro, è il peggiore del paese dopo il Molise. Un trend iniziato nel 2014 per un sistema sanitario oggi «scarsamente attrattivo» e caratterizzato da «un costo pro capite molto elevato» e da «prestazioni di media-bassa qualità».

Anche alla luce di questo diventa difficile spiegare i distacchi che, secondo i sondaggi, Toti avrebbe rispetto ai suoi avversari. Distacchi a due cifre che lasciano intravedere una riconferma, netta e scontata, alle regionali del prossimo 20 e 21 settembre. Certo l’opposizione si presenta all’appuntamento divisa. Sfilacciata al punto che l’accordo tra Pd e M5s sulla candidatura unitaria di Ferruccio Sansa è arrivato solo a luglio. E non senza mal di pancia e scissioni. Alice Salvatore, candidata grillina alle regionali del 2015, ha lasciato il Movimento e correrà in solitaria. Anche Italia viva presenterà un proprio candidato, Aristide Massardo, ex preside di Ingegneria dell’ateneo genovese.


La comunicazione prima di tutto 
I trascorsi giornalistici in Mediaset e le doti mediatiche di Toti e della moglie e collega, Siria Magri, gli hanno inoltre permesso di dare risalto alle sue battaglie. Battaglie xche spesso si sono rivelate di facciata. Come quella per l’autonomismo, condotta apparentemente al fianco delle altre regioni del nord, ma senza in realtà darvi concretezza, anche perché la Liguria ha un residuo fiscale prossimo allo zero. Capacità comunicative utili anche ad attutire gli effetti di vicende complicate (le cui responsabilità sono legate più al passato che al presente) come Carige e Ilva. E ad esaltare il ruolo di Toti nella ricostruzione del Morandi ben oltre le sue prerogative di commissario all’emergenza. Il tutto condito da poderose campagne pubblicitarie della regione sui media locali, dal Secolo XIX alla tv privata Primocanale dell’ex senatore di Scelta Civica, Maurizio Rossi.

Ma in una regione dall’economia stagnante – un fatto certificato fra gli altri anche da Banca d’Italia –, l’elemento forse più significativo è il consenso che Toti ha conquistato tra imprenditori e categorie produttive che lo sostengono, anche finanziariamente. Un’evidenza che emerge nei nomi dei finanziatori di Change, la fondazione che sostiene il movimento Cambiamo fondato dal presidente, e del Comitato Giovanni Toti Liguria.

A Change sono arrivate decine, a volte centinaia di migliaia di euro, da imprese con forti interessi in Liguria. Dalla Pessina Costruzioni, che ha realizzato l’ospedale di La Spezia, ai terminalisti e imprenditori portuali di GIP – Gruppo Investimenti Portuali, Gruppo Gavio e Gruppo Spinelli, dal finanziere Giovanni Calabrò alla Moby dell’armatore Vincenzo Onorato, dai petrolieri di Europam al gruppo Waste, settore rifiuti, presieduto da Pietro Colucci. Generoso, quest’ultimo, anche col Comitato, che ha incassato importi minori e da nomi spesso meno noti al grande pubblico ma comunque rappresentativi dell’economia regionale, come il gruppo Finsea, attivo nella logistica e nei trasporti, e gli armatori di Rimorchiatori Riuniti.

«L’economia ligure è caratterizzata dal peso di settori protetti o non pienamente liberalizzati. È fisiologico che le aziende, ex monopoliste, appoggino il decisore uscente e per giunta accreditato di rinnovo. Tanto più se l’approccio di una giunta sedicente liberale è in realtà pro business più che pro mercato», dice Maurizio Conti, associato di Economia politica all’università di Genova, con riferimento puntuale alla campagna condotta da Toti a fianco dei balneari in chiave anti Bolkestein. La legge regionale che aggirava la direttiva Ue sulla libera circolazione dei prestatori di servizi all’interno dell’Unione fu impugnata dal governo guidato da Paolo Gentiloni. Ma il decreto Rilancio, due mesi fa, ha sposato l’approccio totiano, beneficiando ancora i concessionari di tutto il paese in barba ai divieti di Bruxelles.

Asfalto e cemento
Poi ci sono settori in cui Toti si è dimostrato anche più disinvolto delle precedenti giunte di centrosinistra già molto aperte ai desiderata dell’impresa. Uno di questi è sicuramente quello che raggruppa gli imprenditori del cemento e tutti gli adepti del dogma secondo cui cui calcestruzzo e bitume producono sviluppo e ricchezza.

Fra gli esempi di questa “corrispondenza amoroso” c’è sicuramente la legge 3 del 2019, ribattezzata “taglia parchi” dalle associazioni ambientaliste, che la Consulta ha recentemente bocciato per violazioni alla normativa statale, fra cui la riduzione dei confini dei parchi liguri. Oppure il pressing per la realizzazione della Gronda di ponente, progetto da 4,7 miliardi di euro per potenziare le direttrici autostradali convergenti su Genova. Varato nel 2018 nella cornice del rapporto Stato-concessionari (realizzazione a fronte di una proroga del termine concessorio e dell’aumento delle tariffe), rivelatosi critico dopo il crollo del ponte Morandi, il progetto è tornato oggi alla ribalta. Ma se l’impegnativo potenziamento del tratto finale dell’A7 e dello sbocco del porto storico è imprescindibile per l’alleggerimento del traffico, dubbia è l’utilità del raddoppio dell’A10, che richiede chilometri di scavo di colline amiantifere. Ciò nonostante il presidente spinge per l’ultimo imprimatur ministeriale, forte pure del cortocircuito nell’opposizione, dato che anche Italia viva e parte del Pd sostengono la sua posizione.

Toti del resto ha puntato sulla continuità anche nei rapporti con certi imprenditori prima legati alle amministrazioni dem. E li ha ostentati. È il caso della liaison con Gianluigi Aponte, patron della multinazionale svizzera Msc, con ovvi e numerosi interessi nei porti di Genova e La Spezia. Senza precisi motivi il presidente gli ha fatto visita a Ginevra e più volte lo ha ricevuto in pompa magna in Liguria.

Anche Stefano Zara, ex manager e consigliere di Confindustria, fra i fondatori dell’Ulivo, non si sorprende che molti imprenditori oggi stiano con Toti. «In una regione cresciuta con le partecipazioni statali e ancora legata a quel mondo, la protezione dalla concorrenza è un valore oggi garantito più dal centrodestra». Ma per l’ex deputato, candidato nel 2007 alle primarie comunali col centrosinistra, c’è anche altro: «Certe posizioni, effettive o storicamente attribuite a Sansa e a parte della sua coalizione, cozzano con quelle del mondo delle imprese. Al netto di un programma che pure non le sostiene».


Il ponte Morandi

Ma il capolavoro politico di Giovanni Totit è stato, senza dubbio, la gestione del post crollo del ponte Morandi. Un fatto che gli ha garantito un consenso capillare anche in ambiti lontani da quelli descritti finora. Un asso giocato benissimo dal presidente, spalleggiato da Edoardo Rixi, plenipotenziario leghista in Liguria ed ex sottosegretario alle Infrastrutture del governo giallorosso, dal sindaco di Genova, Marco Bucci, e Paolo Emilio Signorini, presidente dell’Autorità portuale di Genova.

La martellante narrazione di una città straziata è durata due mesi ed è culminata nell’audizione parlamentare a quaranta associazioni di categoria che, coordinate da Toti, hanno lamentato danni per oltre 400 milioni di euro. Il presidente criticò i pochi che eccepirono sulla necessità di dimostrare e quantificare i danni prima di chiederne ristoro. E venne spalleggiato dal Pd.

Così la pioggia di soldi distribuita dal decreto Genova e dalla Finanziaria 2019 si è persa in mille rivoli. Dagli sfollati, ovviamente, ai piccoli esercizi commerciali della Valpolcevera travolti dagli effetti del crollo sulla viabilità cittadina, fino ai grandi studi professionali del centro. Con un occhio di riguardo al porto del fido Signorini e alle sue consorterie.

Col tempo i nodi stanno venendo al pettine: i traffici portuali hanno smentito le previsioni tragiche e rispettato il trend congiunturale, la Corte dei conti ha acceso un faro sui meccanismi di elargizione e poche settimane fa Toti ha chiesto, ottenendola, la proroga di un anno dello stato di emergenza perché non si è riusciti a spendere tutte le risorse a disposizione. In molti tuttavia appoggiano l’artefice di simile impresa. «Anche perché – fa notare Conti – la regione, che pure vanta risultati scadenti nell’ordinaria spesa di fondi europei, avrà un ruolo importante nella prossima partita del Recovery Fund».

Relazioni preziose, abile e martellante comunicazione, asfalto, cemento e metodica spremuta di finanziamenti statali: una ricetta palliativa, banale forse. Ma convincente e vincente se somministrata con costanza per cinque anni. E se, per ragionare ad un'alternativa, ci si prende solo una manciata di giorni. 

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