La Lega ha scelto il sovranismo anche sull’offerta pubblica di scambio (ops) di Unicredit per Bpm allineandosi all’evocazione del golden power del ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti. Il partito di Matteo Salvini è stato il più solerte a posizionarsi, senza timore di ravvivare lo scontro con Forza Italia che invece sembra intenzionata ad assumere una posizione di laissez-faire del mercato, seppure dopo una valutazione prudente.

L’ordine di scuderia del vicepremier e segretario forzista, Antonio Tajani, è stato quello di non esporsi troppo nell’attesa che terminassero gli impegni istituzionali del G7 degli Esteri in cui già abbondavano i temi scottanti. Così ha scelto il momento giusto per intervenire: «L’ho detto anche per quanto riguarda la Germania. Se una banca italiana acquista le quote di una tedesca fa parte delle regole del mercato europeo». Insomma, «la politica non deve immischiarsi in queste vicende», è la tesi di Tajani.

Il “no” leghista

Il risultato è che la battaglia intorno al sistema bancario manda di nuovo in fibrillazione una maggioranza già lacerata su temi – in apparenza secondari – che vanno dal taglio di 20 euro al canone Rai all’estensione della platea della flat tax per i lavoratori autonomi. In mezzo al guado c’è Fratelli d’Italia, in posizione guardinga. Costretta a mettere insieme i pezzi.

Il leader leghista Salvini ha ribadito la linea del partito fin dalla mattinata. Unicredit straniera? «Lo dice la composizione azionaria», ha scandito. Quindi ha puntualizzato: «Non ce l’ho con nessuno. Basta che non si metta in discussione il terzo polo che sta nascendo». Riferimento alla possibile aggregazione tra Mps e Bpm caldeggiata dall’esecutivo e, in particolare, dal Mef di Giorgetti.

Claudio Borghi, senatore salviniano, ha rilanciato le motivazioni del “no” del suo partito: «Un giorno tu chiederai un mutuo e se il tasso sarà alto non potrai andare in un’altra banca perché non ci sarà, verrà meno la concorrenza». Ragioni che però cozzano con la linea di un partito che su altri dossier, dai balneari ai tassisti, ha sempre fatto muro contro i principi della concorrenza.

Apertura azzurra

Resta comunque il dato politico: per l’ennesima volta la Lega si trova su un fronte contrapposto a quello di Forza Italia. Già prima dell’uscita di Tajani, Flavio Tosi, eurodeputato di FI, aveva detto che «l’operazione è buona», smentendo la narrazione salviniana dell’“invasione” di una banca straniera. L’operazione è «Italia su Italia. Quindi va bene: piuttosto che essere comprati da fuori, meglio fare operazioni all’interno», aveva aggiunto l’ex sindaco di Verona.

Le parole di Tosi sono rimbalzate nelle conversazioni private del partito azzurro. «Siamo liberali, non possiamo arroccarsi sul protezionismo», è il senso dei vari ragionamenti. Il tema banche, peraltro, è molto sensibile visti gli interessi diretti della famiglia Berlusconi.

Ad accrescere il climax della tensione, sono arrivate le affermazioni del capogruppo di Forza Italia alla Camera e fedelissimo di Tajani, Paolo Barelli: «Negli ultimi vent’anni, il nostro sistema bancario è passato dall’essere considerato “con i piedi d’argilla” a protagonista sul mercato europeo, superando molti competitor».

La proposta di Unicredit è «un segnale positivo», ha evidenziato Barelli, che ha respinto le accuse rivolte alla Banca d’Italia dalla Lega: «Parliamo di istituti di rilevanza non solo nazionale ma anche europea. È la Bce a vigilare e controllare tali operazioni, garantendo che siano conformi alle normative europee e non solo a quelle italiane».

I problemi per Meloni

Dunque, niente allarmismi su possibili invasioni straniere, ma un applauso alla vitalità del settore. E dalle opposizioni c’è il pungolo che arriva a Forza Italia, in ottica liberale. «Il governo non si intrometta per ragioni politiche negli equilibri del sistema bancario italiano», ha detto il deputato di +Europa, Benedetto Della Vedova. Per Giorgia Meloni la proposta avanzata da Unicredit è solo l’ennesimo problema che arriva sul tavolo del governo. Avrebbe fatto volentieri a meno dell’apertura di un nuovo fronte di scontro, peraltro in una sessione di bilancio già complicata.

Domenica, nel vertice di maggioranza convocato a casa sua, aveva cercato di mettere una toppa sugli strappi nell’esecutivo provocati dalla manovra. Manifestando in particolare il disappunto nei confronti del segretario di Forza Italia. «Sta usando la clava contro di lui, dopo averlo fatto con Salvini nel primo anno di governo», raccontano a Domani.

Nemmeno il tempo di placare gli appetiti degli alleati che, a distanza di poche ore, occorre valutare un’iniziativa che, comunque vada, avrà un forte impatto sulla geografia bancaria italiana ed europea. È perciò fragoroso il silenzio dei solitamente loquaci luogotenenti della leader di Fratelli d’Italia.

Solo Marco Osnato, presidente della commissione Finanze alla Camera e uno dei fedelissimi della premier, si è lasciato sfuggire un’apertura al mercato: «La politica non deve dirigere le realtà private». Il corpaccione del partito di Meloni sembra tuttavia orientato ad allinearsi alla posizione di tutela del nascente terzo polo bancario. Anche perché il pressing sovranista avviato da Salvini è sempre una preoccupazione per la presidente del Consiglio.

Ancora di più in queste ore in cui Giorgetti, da buon portiere di calcio amatoriale, è proteso a difendere “l’italianità” del sistema bancario E almeno per una volta, nella Lega, tra Salvini e Giorgetti, c’è concordia.

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