Il testo delle opposizioni di nuovo alla Camera, ma sarà richiamato in commissione. Circola un file con gli affondi contro il Cnel. Ma il martirio del presidente finisce in un effetto paradosso
È in calendario già oggi ma in realtà slitta a domani il giorno in cui alla Camera riprende la marcia del salario minimo verso un finale di bocciatura che sembra già scritto. Lo è solo sulla carta: le opposizioni hanno in serbo il colpo ad effetto della presentazione di centinaia di migliaia di firme nel paese.
E annunciano battaglia «con ogni mezzo politico e parlamentare», come promette Arturo Scotto (Pd). La discussione in aula si aprirà ma con ogni probabilità si ristopperà subito per tornare in commissione, dopo la sospensiva di 60 giorni votata lo scorso agosto dalla maggioranza. Dopo quel voto, alla vigilia di Ferragosto, la premier Giorgia Meloni ha incontrato a Palazzo Chigi i firmatari della proposta (minimo legale a 9 euro lordi), poi ha affidato al Cnel, il Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro, il compito di redigere uno studio sul tema. Bypassando la ministra del Lavoro Calderone, ben felice di non doversi cimentare nell’arduo compito di sostenere che il provvedimento non serve.
Il fatto è che prima dell’estate la maggioranza non aveva uno straccio di idea su come rispondere a una proposta condivisa da buona parte del paese. E invece ora il documento del Cnel – approvato ma maggioranza, con 15 contrari e 8 non partecipanti al voto – boccia il salario e fornisce una base su cui costruire un’idea alternativa. Le opposizioni sono contrarie al ritorno in commissione.
Ma i numeri sono implacabili. Dunque per la destra il problema sarà un altro: anche il testo del Cnel ammette il guaio dei salari troppo bassi, e affida il riequilibrio ad aggiustamenti che comunque non sono a costo zero: dagli «interventi di vigilanza nell’estesa area della parasubordinazione e del finto lavoro autonomo», agli adeguamenti salariali affidati alla contrattazione collettiva, al caso particolare del lavoro domestico.Resta da capire come Meloni uscirà dal cul de sac in cui si è infilata. Bocciare il salario minimo senza un piano B è stata una mossa azzardata. Affidare la contromossa al Cnel di Renato Brunetta potrebbe rivelarsi, alla fine, un altro azzardo.
Un Brunetta rossiniano
Anche perché nel frattempo Brunetta è finito nel mirino un po’ di tutti, dalle opposizioni alla Cgil. Il sindacato di Maurizio Landini ha fatto ricorso (non da solo) contro la nuova composizione del Cnel e accusa il presidente di averlo «piegato alla logica della politica».
Ma Brunetta non è neanche amatissimo a destra, al di là delle convergenze di necessità. Il motivo è noto: l’ex ministro del governo Draghi ha lasciato Forza Italia alla caduta del “suo” premier. Quel giorno ha fatto una elegantissima passeggiata in Transatlantico per ringraziare e stringere la mano ai giornalisti. A differenza della collega Carfagna, non si è rifugiato in altri partiti: ha atteso di essere recuperato e riabilitato a Villa Lubin, la sede del Cnel a Roma.
Ma ora si sente sotto attacco. In queste ore circola un dossier senza padri, forse compilato dai suoi collaboratori. Ben 39 pagine in cui sono raccolti tutti gli affondi ricevuti da luglio: agenzia per agenzia, battutaccia per battutaccia, una collezione pirotecnica. Per dimostrare, forse persino per vantare con la maggioranza, che il presidente è l’obiettivo di un tiro al piccione. Brunetta fa sapere di non saperne nulla. La lettura del papello è spassosa, ben al di là delle intenzioni del redattore: si va da «Dovevamo chiudere il Cnel e finiamo per chiudere il Parlamento» di Benedetto Della Vedova, a Matteo Renzi, «Il Cnel presieduto da Brunetta à un organismo inutile che va abolito»; a Elly Schlein, «Istituzione prestigiosa, ma non può essere la Terza Camera né un governo ombra». Per Renzi, che ha provato a cancellare il Consiglio con la riforma costituzionale bocciata dal referendum del 2016, il Cnel è una specie di fantoccio della Giostra del Saracino su cui accanirsi: «Che non serva a nulla è una delle cose su cui la politica tutta è d’accordo. Per dire: Brunetta oggi è il presidente del Cnel e sette anni fa diceva: ‘il Cnel è un’etichetta sotto cui non c’è nulla di importante’. Se lo dice persino lui che lo presiede, ti immagini gli altri?».
Le pagine scorrono in un crescendo rossiniano: «Il Cnel era già stato ascoltato in commissione la sua opinione l’ha già espressa. Ma cos’è? Una melina? (Giuseppe Conte); «La sensazione che abbiamo è che nella scelta dei rappresentanti al Cnel si siano scelti gli amici del governo» (Giampaolo Bombardieri, segretario Uil); «Meloni ha spedito il pallone in tribuna e ora ci pensa il Cnel di Brunetta a bucarlo» (ancora Conte); «Il parere del Cnel è la perfetta espressione del conservatorismo consociativo di questo paese» (Carlo Calenda); «Al netto delle cazzate che ha detto il Cnel» (ancora Calenda); «La destra usa il Cnel per dire no al salario minimo. La proposta di rinvio è una fuga vigliacca dalla realtà del paese» (Arturo Scotto, Pd); «Qualcuno si aspettava che Brunetta fosse interessato alla vita di 4 milioni di lavoratori?» (Nicola Fratoianni, Avs); «Il governo ha subappaltato il suo ruolo al Cnel» (Landini), e gran finale, firmato Rachele Scarpa (Pd): «Questo documento ha il sapore di vera e propria presa per il Cnel».
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