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Il premier ha detto che non tornerà a palazzo Chigi nella prossima legislatura. Ma alcuni suoi ministri, Di Maio compreso, vogliono usare il Pnrr come base per il nuovo centro.
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Che l’attuale presidente del Consiglio sia contemplato o meno è quasi secondario: molti sono pronti a utilizzare il suo nome come sinonimo di stabilità futura per il Paese. Ma tutto passa dalla riforma in senso proporzionale della legge elettorale.
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Alle forze centriste, poi, andrebbero aggiunte anche energie presenti in partiti maggiori, dai moderati della Lega fedeli alla linea di un altro ministro, Giancarlo Giorgetti, e vicini anche ai governatori del nord, fino a Forza Italia dello stesso Brunetta.
Tutti sentono l’aria della campagna elettorale e si posizionano in vista del 2023. Se sulla carta sarebbe pronosticabile un ritorno al bipolarismo, esistono però movimenti al centro che puntano a uno scatto in avanti oltre i due poli con il cosiddetto “partito di Draghi”.
Che l’attuale presidente del Consiglio sia contemplato o meno è quasi secondario: Draghi ha risposto sì a chi gli chiedeva se questo sarà il suo primo e ultimo mandato da premier, ma molti sono pronti a utilizzare il suo nome come sinonimo di stabilità futura per il Paese.
Il principale teorico è il ministro della Pubblica amministrazione, Renato Brunetta, che martella da settimane con interviste tutte nella stessa direzione: è solo «l’attuale sistema elettorale che fa sopravvivere il “bipolarismo bastardo”», ovvero un bipolarismo che fa forse vincere qualcuno ma poi gli impedisce di governare, ha spiegato da ultimo al Corriere della Sera.
Dunque, l’alternativa è andare oltre, «sostenendo senza se e senza ma l’agenda Draghi», ovvero «un programma riformista, riconosciuto dall’Europa», che corrisponde alle riforme del Pnrr ed è attualmente sostenuto dalla maggioranza di governo. Tradotto: inutile affannarsi a creare un nuovo centro, quando c’è uno spazio politico pronto per essere occupato, con un programma già scritto e soprattutto già in parte imbastito con leggi delega.
Anche chi dovrebbe sostenerlo sembra chiaro: tutte le forze di moderate, che Brunetta definisce «di ispirazione liberale, popolare e riformista presenti dentro i due schieramenti elettorali». Per fare nomi e cognomi, quando ai singoli partiti il riferimento è a Italia Viva di Matteo Renzi, Azione e Più Europa guardando al centrosinistra, l’Italia al centro di Giovanni Toti guardando al centrodestra e ovviamente anche la nuova formazione del ministro degli Esteri, Luigi Di Maio, che ha scelto di presentarsi proprio come forza responsabile di centro “draghiano”. Proprio nei confronti di Di Maio, Brunetta ha avuto parole di apprezzamento quasi affettuoso, considerandolo una nuova sponda per portare avanti il progetto.
Lega e Fi
A queste, però, andrebbero aggiunte anche energie presenti in partiti maggiori, dai moderati della Lega fedeli alla linea di un altro ministro, Giancarlo Giorgetti, e vicini anche ai governatori del nord, fino a Forza Italia dello stesso Brunetta. Una parte di FI, infatti, è fortemente critica all’idea di un centrodestra a trazione di Fratelli d’Italia, che snaturerebbe la natura moderata degli azzurri. Anche in questo caso è Brunetta a incaricarsi di esplicitarlo, bocciando l’idea che «una coalizione di destra-centro egemonizzata da un conservatorismo corporativo» possa portare avanti l’agenda Draghi.
Parole dure, che mettono in discussione la linea dello stesso Berlusconi, che sta cercando di rimettere insieme i cocci dell'alleanza di centrodestra. Spiegabili, tuttavia, con il fatto che Berlusconi non sarà eterno e, senza di lui, dentro Forza Italia la spaccatura tra le due anime esploderà, con le fazioni che dovranno scegliere una direzione verso la quale proseguire. E Brunetta, insieme alle ministre Mara Carfagna e Mariastella Gelmini, non hanno intenzione di morire salviniani.
Esiste però un enorme ostacolo al progetto. Anche ipotizzando che queste forze trovino davvero nel programma Draghi un minimo comune denominatore, l’attuale legge elettorale e il suo premio di maggioranza scoraggiano iniziative centriste e non a caso in parlamento il chiacchiericcio sulla riforma del Rosatellum. Impossibile secondo fonti del Pd, che considerano velleitario immaginare un accordo con il centrodestra sotto scacco di Giorgia Meloni. Secondo Brunetta, invece, il proporzionale non solo è possibile ma «sarebbero sufficienti due settimane». Basta volerlo, appunto, ma non basta la volontà dei ministri centristi e servono i voti nell’attuale parlamento.
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