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I mediatori Gianluca Di Nardo ed Emeka Obi sono stati assolti dalla Corte d’appello di Milano dall’accusa di corruzione internazionale perché il «fatto non sussiste» in uno stralcio del processo Eni–Shell Nigeria che si è svolto con rito abbreviato. In primo grado erano stati condannati a 4 anni.
- Per i due aveva chiesto l’assoluzione anche l’accusa, rappresentata dal sostituto procuratore generale di Milano Celestina Gravina. Erano rimasti gli unici due condannati per la presunta tangente da 1,09 miliardi di dollari pagata dalle due società nell’affare Opl245.
- Con l’assoluzione sarà anche disposta la revoca delle confische milionarie legate a queste accuse.
I mediatori Gianluca Di Nardo ed Emeka Obi sono stati assolti dalla Corte d’appello di Milano dall’accusa di corruzione internazionale perché il «fatto non sussiste» in uno stralcio del processo Eni–Shell Nigeria che si è svolto con rito abbreviato.
I due erano stati condannati in primo grado a quattro anni di carcere nel settembre del 2018 dal gup Giuseppina Barbara. Per loro il sostituto procuratore generale Celestina Gravina aveva chiesto l’assoluzione, che è arrivata. Erano rimasti gli unici due condannati per la presunta tangente da 1,09 miliardi di dollari pagata dalle due società nell’affare Opl245 dopo la sentenza del giudice Marco Tremolada, che a marzo ha assolto con la stessa motivazione i protagonisti principali tra cui il numero uno del Cane a sei zampe Claudio Descalzi. Nessuno dovrebbe avere interesse ad appellare questa sentenza, che è destinata quindi a diventare definitiva con lo scadere dei tempi tecnici.
L'udienza di oggi si è tenuta nonostante le due giornate di astensione nazionale degli avvocati per fatti legati alla conduzione del procedimento penale sui morti del Mottarone. Ma la posta in gioco, in questo caso, era troppo importante e i legali dei due imputati hanno scelto di rinunciare allo sciopero e consentire lo svolgimento del processo. Non solo per condanna – a quattro anni di carcere per tutti e due – ma anche per le confische milionarie che sono state loro revocate adesso. Il gup in primo grado aveva, infatti, ottenuto la confisca di denaro e altri beni fino a 94,8 milioni di dollari americani per il nigeriano Emeka Obi e di 21,1 milioni di franchi svizzeri per Di Nardo, che adesso torneranno nella disponibilità dei due.
Durante la sua requisitoria dello scorso marzo la pg Gravina aveva anche chiesto alla corte, presieduta da Rosa Polizzi, l'invio degli atti alla procura di Milano per Vincenzo Armanna per verificare un presunto reato di calunnia, ma la corte non ha seguito l'indicazione. Armanna è l'ex manger Eni che è stato imputato nel processo principale Opl 245 e si è ritagliato anche il ruolo di grande accusatore del vertici Eni per i fatti nigeriani.
La fine del ciclo
Con questa sentenza si chiude un ciclo, nato idealmente proprio da Di Nardo, il cui nome emerge inizialmente dalle indagini della procura di Napoli sulla cosiddetta «P4», un oscuro comitato d'affari nel quale era presente anche Luigi Bisignani che per quei fatti ha patteggiato una pena di un anno e sette mesi. Il finanziere era stato accidentalmente intercettato dalla procura partenopea mentre parlava proprio con Bisignani, anch’esso imputato per Opl245.
Ai magistrati napoletani aveva raccontato di aver proposto a Bisignani l'affare Opl245 nel 2009 dopo aver saputo dall'influente uomo politico nigeriano Dan Etete, in possesso della licenza di sfruttamento di quel campo petrolifero tramite la società Malabu, della sua volontà di monetizzare quell'attività.
La proposta a Bisignani era stata fatta proprio perché era molto vicino a Paolo Scaroni, al tempo dei fatti amministratore delegato del gruppo. In questa fase era spuntato anche Emeka Obi, l'altro intermediario che aveva poi sostenuto davanti a una corte inglese di aver generato lui quell'affare, che si era concluso nel 2011 con l'acquisto dei diritti di esplorazione per 1,3 miliardi di dollari.
I pm Fabio de Pasquale e Sergio Spadaro hanno sempre sostenuto che di quella cifra 1,09 miliardi fosse in realtà una maxi tangente finita a politici locali. Ma le sentenze emesse finora, dalle quali è anche scoppiata una guerra di procura condita da fascicoli d'inchiesta aperti a Brescia e l'invio degli ispettori del ministero della Giustizia, hanno dato loro torto, assolvendo tutti.
C'è una peculiarità in questo processo di appello, che vale la pena ricordare. In esso sono stati riversati tutti gli atti del processo di primo grado principale nonostante fosse con rito abbreviato e quindi da celebrare solo con gli atti d'inchiesta disponibili nel momento in cui le indagini si erano chiuse. Un procedimento particolare che ha, probabilmente, pesato su questa sentenza.
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