- Entro martedì la decisione finale, Più Europa spinge per l’accordo. Per Azione la scelta è tra i dem e Italia viva: la raccolta delle firme sarebbe proibitiva. Renzi sempre più solo. Intanto Letta imbarca Art.1, Demos e Psi.
- Carfagna ammette: «La legge elettorale impone una camicia di forza; tutti vorrebbero correre da soli ma dopo il 20 luglio il mondo è cambiato, abbiamo due campi: quello dell’irresponsabilità e quello della responsabilità».
- Ore travagliate anche per i rossoverdi. Fratoianni: «Siamo stati all’opposizione di Draghi. Siamo pacifisti e non abbiamo votato l’invio di armi all’Ucraina. Non lo voteremo nella prossima legislatura».
La decisione se accettare o no l’offerta di «alleanza elettorale» con il Pd non è ancora presa; viene informalmente collocata all’inizio della prossima settimana. Sarebbe però arrivato il famoso ultimo sondaggio che Carlo Calenda aspettava prima della scelta finale. Ma qualsiasi cosa ci sia in quei numeri, per Azione sono ormai agli sgoccioli i tempi di «questa o quella per me pari son». Dove “questa” sta per correre da solo e cioè in compagnia di Italia viva, “quella” sta per fidanzarsi con il Pd.
Mara, Maria Stella e gli altri
Andiamo con ordine. Ieri l’ex ministro dello sviluppo economico, in una sala stampa asfissiante per la canicola, si è presentato con Maria Stella Gelmini e Mara Carfagna, sorridenti come da tempo non si schieravano davanti alla stampa. Il trio ha annunciato la corsa calendiana delle due ministre ex forziste. Che però era già stata comunicata con abbondanti interviste.
Alla domanda su quanto sarebbe indigesta alle due signore l’eventuale alleanza con il Pd, non è arrivata ancora una risposta definitiva. Ma Carfagna si è incaricata di spingersi avanti nel ragionamento: «Io oggi aderisco ad Azione e farò campagna elettorale per Azione. La legge elettorale impone una camicia di forza; tutti vorrebbero correre da soli», anche nel campo del centrodestra, ma – attenzione – «dopo il 20 luglio il mondo è cambiato, le casacche si sono scolorite e ora abbiamo due campi: quello dell’irresponsabilità e quello della responsabilità». L’ammissione che il Rosatellum non lascia scampo è già un indizio di come sta procedendo la discussione dentro il “fronte repubblicano”, nel senso della federazione fra Azione, Più Europa e fuoriusciti forzisti.
O Bonino o Renzi
C’è un inaggirabile dato concreto: Azione non può presentarsi autonomamente perché non ha un gruppo parlamentare né un simbolo già passato per le elezioni. Per questo deve fare affidamento su Più Europa. E Emma Bonino, pragmatica come è pragmatica la cultura radicale di cui è madre nobile, è più propensa all’accordo con il Pd piuttosto che alla corsa solitaria. Se, per andare da solo, Calenda volesse rompere con Più Europa, dovrebbe rivolgersi a Italia viva, titolare di un marchio buono per non dover raccogliere le firme (circa 60mila entro il 20 agosto). Dunque affidarsi all’inaffidabile Matteo Renzi, e per di più da una posizione di debolezza.
Il guaio è che gli ex forzisti appena traslocati in Azione sono contrari all’accordo anche solo elettorale con il Pd, per l’ovvia ragione che il proprio elettorato viene dal centrodestra. Meglio andare soli e «costruire un polo liberale, pragmatico, realista e ancorato all’Europa, alla Nato e ai valori dell’Occidente», ha scritto ieri il senatore Andrea Cangini sul sito Linkiesta, «nel centrodestra Forza Italia ha rinunciato a svolgere questa funzione storica e si è consegnata al salvinismo, nel centrosinistra non c’è nulla di simile. È necessario che qualcuno inizi a colmare questo vuoto». A proposito di ex forzisti, si sono perse le tracce di Renato Brunetta: per lui le porte di Azione non si sono aperte, potrebbe essere recuperato da Più Europa.
A parte i nomi, sulle alleanze Calenda assicura di non meditare sui sondaggi («Sappiamo bene cosa ci conviene», ha detto ieri, lasciando intendere che gli conviene la corsa solitaria). In queste ore in realtà prende in seria considerazione la campagna che gli si scatenerebbe contro da qualche media fin qui amico se gli dovesse essere accollata la responsabilità di aver consegnato il paese a Giorgia Meloni. Insomma, ogni giorno l’ex ministro fa capire una cosa diversa ai suoi interlocutori. Nella giornata di ieri ha lasciato intendere che sull’accordo elettorale con il Pd è più sì che no. E invece più no che sì all’accordo con Renzi. Lo stesso filtra dal Pd, che avrebbe delle rilevazioni che dimostrano l’ostilità inaggirabile degli elettori potenziali verso l’ex segretario. Quanto a Renzi e ai suoi di Italia viva, si avviano su una strada triste, solitaria e finale.
Al Nazareno vengono ammessi «contatti solo telefonici» con Calenda, per ora, e una dead line della trattativa «a giorni». L’offerta di seggi uninominali sarebbe non trascurabile. Ma siamo in pieno negoziato: gli sherpa dem parlano di «richieste impossibili» da parte di Azione, e della necessità di trovare «un’intesa sostenibile anche nel rispetto degli alleati».
Intanto ieri hanno chiuso l’accordo con Art.1, Demos e Psi, i cui esponenti si accomoderanno nelle liste del Pd ritoccate con la scritta «Italia democratica e progressista». Cinque seggi sicuri sarebbero stati promessi agli ex scissionisti, che dunque rientrano a casa (ne avrebbero chiesto sei sicuri), un paio per il partito dell’“osservatore” delle Agorà Andrea Riccardi, altrettanto per i socialisti.
Ore travagliate invece per i rossoverdi per i quali l’eventuale alleanza con Azione non sarà un pranzo di gala. La speranza di richiamare i Cinque stelle nello schieramento è persa. Del resto per Letta la questione è chiusa dalla sera della caduta del governo Draghi; semmai il problema del segretario Pd è che Calenda che gli chiede di giurare «mai più con i grillini».
Babele a sinistra
Nicola Fratoianni annuncia che decideranno «nelle prossime ore». La riflessione è sull’eventuale vittoria di «una estrema destra così pericolosa». Il leader di Sinistra italiana chiarisce: «Siamo stati all’opposizione del governo Draghi. Siamo pacifisti e non abbiamo votato l’invio di armi all’Ucraina. Non lo voteremo nemmeno nella prossima legislatura, se ci verrà chiesto». Tutto il contrario di quello che sostiene Calenda, che anzi invoca ancora Draghi alla futura presidenza del consiglio; e non coincide neanche con il programma del Pd.
Ma è solo un antipasto della babele della campagna che si svolgerà, se tutte le alleanze immaginate da Letta dovessero andare miracolosamente a segno. Del resto la legge chiede solo una «alleanza elettorale», e questo offre il segretario del Pd. Una specie di nuova versione della “casa delle libertà”, ciascuno potrà fare quello che gli pare, purché fermi l’irresistibile ascesa di Meloni&Co.
© Riproduzione riservata