- Calenda attacca spesso il Pd per le sue apparenti contraddizioni sulla linea da tenere sul conflitto in Ucraina.
- Ma nel suo tentativo di espugnare la Lombardia alleandosi con Letizia Moratti anche lui è dovuto venire a patti con i suoi principi.
- Così nelle sue liste e quella dell’alleata finiscono nemici delle sanzioni, ammiratori di Putin e filo-russi vari più o meno pentiti.
Il leader di Azione Carlo Calenda ha fatto delle apparenti contraddizioni nel centrosinistra una delle sue principali armi d’attacco contro il Pd. «Bersani, D’Alema, M5S, De Luca e Emiliano –scriveva pochi giorni fa su Twitter – L’involuzione verso il “fritto misto populista”». Calenda è particolare attento alle ambiguità sulla Russia e sull’invasione dell’Ucraina e non manca di rimproverare incertezze e ambiguità anche al centrodestra.
Ma ora che alleato con l’ex ministra Letizia Moratti si è lanciato nel difficile tentativo di conquistare la Lombardia, o almeno di arrivare davanti al centrosinistra alle prossime regionali, anche Calenda è dovuto venire a patti con le necessità tattiche della politica. Le sue liste e quelle di Moratti si sono così riempiti di personaggi improbabili che con la linea di Azione hanno poco o nulla a che fare: dai putiniani più o meno pentiti, agli ex leghisti duri e puri per finire con ex alleati dei no green pass.
L’amico di Salvini
Tra i candidati più in vista di Azione-Italia Viva in Lombardia c’è Gianmarco Senna, ex consigliere regionale della Lega passato al partito di Renzi lo scorso novembre. Nato nel 1970, imprenditore della ristorazione (la sua famiglia gestisce la storica Trattoria della Pesa), Senna è un amico personale di Salvini e negli anni dell’esplosione della Lega salviniana, ospitava il “capitano” e la sua cerchia ristretto di fedelissimi per lunghe riunioni suoi locali.
Nel suo periodo salviniano, Senna è stato un frequentatore di Gianluca Savoini, il consigliere e pontiere con la Russia di Salvini, registrato all’hotel Metropol di Mosca mentre parlava di finanziamenti alla Lega con alcuni personaggi legati al Cremlino. Insieme a Savoini, Senna ha viaggiato in Russia, in quanto capogruppo della commissione regionale alle attività produttive, e ha poi ricambiato l’ospitalità facendo da Cicerone a una delegazione di imprenditori moscovita arrivati in Lombardia grazie ai buoni uffici di Savoini.
Dopo l’invasione dell’Ucraina, Senna, da buon imprenditore lombardo, ha subito sottolineato le conseguenze negative che le sanzioni avrebbero avuto per l’industria italiana e ha continuato a battere su questo punto fino a poche settimane prima di passare con Azione-Italia Viva. Ma ancora lo scorso settembre ribadiva su Twitter: «Le sanzioni economiche alla #Russia ci stanno danneggiando. Non possiamo più aspettare, il tempo è scaduto!».
L’ex poliziotto
Non sarà noto o influente come Gianmarco Senna, ma Carmine Abagnale è una figura conosciuta nel IV municipio di Milano. Poliziotto in pensione, medaglia d’oro al merito civile, ex consigliere comunale e assessore municipale con la Lega, la scorsa primavera Abagnale ha avuto un breve e intenso momento di interesse per gli affari internazionali. Nelle settimane successive all’invasione, la sua pagina Facebook si è riempita di post pro-Russia, compresi alcuni che probabilmente farebbero rizzare i capelli a Calenda. Come ad esempio la condivisione di un post dell’ex M5s Alessandro Di Battista e uno di Marco Travaglio, entrambi intenti a esprimere la loro visione ben poco filo-atlantica del conflitto. Ancora più bizzarra la condivisione di un post sul conflitto della nota e controversa influencer sovranista Pubble. E infine uno di Cristiano De André, dal titolo complottista «Il discorso di Putin senza la censura americana».
Il cowboy
Ma è dalla lista che sostiene Letizia Moratti che emergono i candidati più incompatibili con la linea di Azione. Il caso più eclatante è senza dubbio quello di Davide Boni, ex colonnello leghista dal carattere burrascoso, ex presidente del Consiglio regionale lombardo, processato per corruzione e peculato, poi assolto o prescritto per tutti i capi di imputazione.
Boni è un vero duro della Lega dei primi tempi, allievo di Mario Borghezio e compagno di Max Bastoni, il leghista che in Lombardia ha sempre tenuto i rapporti con l’estrema destra militante. La sua passione politica è l’autonomia del Nord, ragione per cui ha rotto con Matteo Salvini, ma Boni non disdegnava anche la lotta a ogni forma di accoglienza e l’islamofobia. A Milano è divenuto leggendario un episodio che si è verificato nel 2006, quando Boni – in stivali bianchi da cowboy – si presenta davanti a una scuola islamica per un comizio improvvisato: «Se gli islamici vogliono la scuola – grida – allora io chiedo una scuola per fare la cassoeula milanese!».
Boni è un sostenitore della Russia perché, ai suoi occhi, Putin è uno che sa come tenere i propri avversari al proprio posto. «Putin è l'unico che fa qualcosa», scriveva nel 2015 ai tempi dell’intervento russo in Siria. Pochi mesi prima si aveva criticato le sanzioni contro la Russia in seguito all’invasione della Crimea nel 2014, mentre nel 2018 salutava le elezioni in Russia con un entusiasta: «Putin ha vinto, ciaone!».
Dopo l’invasione del 24 febbraio, Boni non ha cambiato registro, anzi. Ormai in rotta con Salvini, lo ha sbertucciato per aver abbandonato il vecchio alleato e ha criticato la mancanza di «coerenza» della Lega per essersi schierata a favore dell’invio delle armi.
Alle scorse comunali di Milano, Boni si è alleato con un altro campione di posizioni estreme: l’ex conduttore ed ex senatore 5 stelle Gianluigi Paragone, che ha sostenuto nella sua – fallimentare – corsa a sindaco di Milano. Il movimento di Paragone che sosteneva, Italexit, è apertamente no green pass, molto vicino ai novax e, come il nome lascia intendere, è per l’uscita dell’Italia dall’euro.
Di certo Boni è cosciente del fatto che le sue posizioni non siano del tutto organiche a quelle di Calenda. Quando il leader di Azione ha rifiutato di accogliere nelle sue liste una pattuglia di ex consiglieri regionali leghisti, tra cui diversi compagni dello stesso Boni, perché troppo «estremisti», l’ex leghista gli ha risposto dicendogli, in sostanza, che non avrebbe dovuto candidare nemmeno lui.
Il nemico delle sanzioni
Marco Tizzoni non è un leghista di stretta osservanza, ma un civico vicino al partito. Tra 2013 e 2018 è stato consigliere regionale eletto con la lista del presidente Roberto Maroni. Come ha ricostruito Massimiliamo Melley su Milano Today, in quel periodo Tizzoni è stato uno dei consiglieri più attivi nel sostegno alla Russia.
Nel 2016 è tra i promotori della mozione con cui si chiedeva il riconoscimento dell’annessione russa della Crimea. L’anno dopo, a un convegno organizzato con il consolato russo, Tizzoni rivendica ben dieci viaggi istituzionali in Russia e, come i leghisti, chiede la fine delle sanzioni «l'amore, l'affinità e l'amicizia che da sempre legano i due popoli».
Dopo l’invasione, Tizzoni ha contribuito a organizzare un paio di convegni sulla guerra e sulle sue conseguenze economiche (in uno, una bandiera russa era affiancata a quella ucraina), ma per il resto non ha preso posizioni controverse. Dopo l’articolo di Milano Today, Tizzoni ha commentato: «Ho solo lavorato per il bene della Lombardia e degli imprenditori lombardi per aiutare le imprese a conquistare nuovi mercati o più fasce di mercato all'estero. La maggior parte delle missioni le ho pagate con i miei risparmi».
Le risposte
Alcuni militanti di Azione hanno raccontato a Domani che queste candidature, così come la scelta di sostenere Moratti, sono state sostanzialmente calate da Roma e non c’è stato modo per i territori di effettuare una selezione dei candidati o di fornire input alla direzione centrale. Questo avrebbe causato diversi malumori nella base. Niccolò Carretta, responsabile di Azione in Lombardia, ha negato che ci sia stato alcun malumore nella base e ha ribadito che, rispetto alle altre coalizioni, quella che sostiene Moratti rimane «la più coerente».
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