Anche il leader di Azione a favore della campagna nucleare come Salvini. In Italia ben due referendum hanno certificato il no degli italiani, ma per Calenda sono stati «il primo atto populista». I Verdi ribattono: «Calenda è parte di un'élite oligarchica e refrattaria all'espressione della democrazia»
Matteo Salvini segretario della Lega vuole la centrale nucleare a Milano e Carlo Calenda di Azione presenta una mozione in parlamento. Calenda ha organizzato la conferenza stampa “Nucleare, sì grazie” al Senato. Il segretario di Azione si dice «contrario alla boutade di Salvini di farla a Milano: serve razionalità» ma è a favore della tecnologia su cui in passato gli italiani si sono espressi fermamente per il no.
Mentre l’energia guadagna le prime pagine per il ricatto di Vladimir Putin sul metano, in Italia infuria il dibattito. Alla conferenza stampa hanno partecipato anche il presidente del partito, il senatore Matteo Richetti, il vicesegretario e deputato Enrico Costa e la deputata Daniela Ruffino, prima firmataria della mozione.
Nel testo si chiede specificamente di adottare iniziative per includere l'energia elettrica generata da centrali nucleari, con reattori a fissione dalla terza generazione evoluta in poi; di favorire campagne di informazione pubblica sulle diverse fonti e tecnologie energetiche disponibili «liberandole tutte da ogni pregiudizio di parte» e di «adottare iniziative per sostenere la ricerca tecnologica sui reattori a fissione nucleare di ultima generazione – inclusi i cosiddetti small modular reactor (reattori modulari di piccole dimensioni) – e sulla fusione nucleare, ampliando l'offerta formativa nelle università italiane e incrementandone l'attrattività anche per ricercatori e docenti stranieri».
Il percorso italiano
In Italia il no all’energia nucleare è partito nel 1987, l’anno seguente al disastro della centrale russa di Chernobyl. Tre quesiti referendari chiedevano nell’ordine che venisse abrogata la norma che consente al Cipe (Comitato interministeriale per la programmazione economica) di decidere sulla localizzazione delle centrali nel caso in cui gli enti locali non decidano entro tempi stabiliti, l’abolizione dei contributi di compensazione agli enti locali per la presenza sul proprio territorio di centrali nucleari o a carbone e l’esclusione della possibilità per l'Enel di partecipare alla costruzione di centrali nucleari all'estero.
Si è aggiunto poi il quesito del 2011 che prevedeva l’abrogazione delle nuove norme che consentivano la produzione nel territorio di energia elettrica nucleare. I sì presero il 94,05 per cento dei voti.
La posizione dei Verdi
Per Calenda le cose sono cambiate: «I tempi di costruzioni delle centrali si sono drammaticamente ridotti. Poi se non iniziamo non le faremo mai. Quel referendum sul nucleare è stato il primo atto del populismo».
Parole che non sono piaciute ai portavoce di Europa Verde Eleonora Evi e Angelo Bonelli, per loro Calenda è parte di «un’élite oligarchica e refrattaria all'espressione della democrazia». La strategia energetica nucleare è fallimentare, sia sul fronte dei costi, sia su quello dei tempi: «Parla di tempistiche ridotte per la costruzione delle centrali nucleari da fissione, quando a Flamanville, in Francia, i lavori di costruzione sono iniziati nel 2007 e la centrale sarà messa in funzione presumibilmente nel 2023 anziché nel 2014, con ben 9 anni di ritardo e costi lievitati a quasi 18 miliardi di euro dai 3,7 iniziali». In Francia, la società che gestisce il nucleare, a causa degli elevati debiti, è stata ricapitalizzata. «È totalmente falso che il costo dell'energia francese sia basso», ribadiscono i politici.
La soluzione per loro sono le fonti rinnovabili: «Calenda, insieme alla Lega, sta facendo un’operazione ideologica e questo è un elemento di discrimine politico rilevante». Sostenere «che il referendum sia un atto populista è un atteggiamento elitario e monarchico della politica. Se per Calenda, i cittadini che hanno detto per ben due volte no al nucleare sono dei populisti - concludono Bonelli ed Evi - lui fa parte di un’élite».
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