Dino Amenduni, socio dell’agenzia di comunicazione Proforma che ha curato le campagne “Vincono le idee” e “Scegli” per il Pd, racconta il dietro le quinte di queste elezioni «senza precedenti»
«È stata una campagna elettorale senza precedenti». Dino Amenduni, socio dell’agenzia di comunicazione Proforma ingaggiata dal Partito democratico per le ultime elezioni, è netto mentre a due giorni dal voto racconta il suo dietro le quinte di questo voto.
Perché senza precedenti?
Intanto per il periodo dell’anno. L’ultima volta che alle politiche si è votato in autunno era il 1919. Non avevamo un’esperienza pregressa di campagne elettorali in questo periodo. Poi è stato un’elezione anticipata, senza il tempo materiale per organizzarsi. Basta pensare che la campagna per la rielezione del sindaco di Milano Beppe Sala l’abbiamo iniziata nove mesi prima del voto. Ed era un campagna locale.
Siamo passati dal governo alle elezioni in 36 ore senza nemmeno un quadro delle alleanze chiaro. Dovevamo improvvisare. Dei due mesi che avevamo a disposizione, inoltre, uno era agosto e con le amministrative dello scorso autunno avevamo maturato la consapevolezza che è un mese davvero complesso per la comunicazione politica perché comprensibilmente le persone pensano ad altro.
Aggiungi anche alcuni elementi strutturali: la legge stabilisce che non si possono acquistare i classici manifesti negli ultimi 30 giorni, significa che il 26 agosto era ultimo giorno utile per acquistare gli spazi, ma considerato che servono 20 giorni per realizzarli, il Pd ha avuto appena dieci giorni per trovare l’agenzia, raggiungere un accordo economico, trasmettere il brief, lavorarci, esaminare i feedback e approvare i contenuti. Dal punto di vista della comunicazione politica è stata una situazione assolutamente estrema.
Di cosa si è occupata Proforma per il Pd?
Abbiamo curato due soggetti creativi principali: “Vincono le idee” e “Scegli”, il resto non lo abbiano fatto noi.
Il poco tempo a disposizione è stato un ostacolo per tutti, quali erano le sfide per il Pd in particolare?
Prima di tutto eravamo alla rincorsa. Quando sei avanti non hai l’ansia di comunicare, devi solo cercare di non fare errori. È quello che ha fatto Giorgia Meloni, con una prima parte della campagna tutta concentrata su sé stessa e sulla sua immagine e poi un cambiamento, nelle ultime settimane, probabilmente per prendere voti alla Lega. Noi dovevamo recuperare e questo ti porta a fare scelte più radicali e nette.
All’inizio, con la compressione dei tempi che c’era, con la mancanza di un quadro chiaro di alleanze, l’unica cosa che potevamo fare era una campagna di posizionamento. È nata così “Vincono le idee”, la campagna basata sui contenuti del programma Pd scelti insieme allo staff del segretario Enrico
Letta: un titolo forte con un sottotitolo che spiegasse il contenuto nel modo più semplice. Struttura comunicativa semplice, focalizzazione contenuti.
Probabilmente anche a causa dell’efficacia della campagna, nelle prime settimane i sondaggi davano il Pd in crescita vicino a FdI. Era anche una buona base da cui partire per portare avanti una seconda campagna con qualunque coalizione fosse arrivata in seguito agli accordi politici.
Ma la coalizione non è arrivata, o meglio, ne è arrivata una piuttosto debole e questo ha influenzato molto la comunicazione, hai spiegato in un articolo che hai scritto sul tuo blog.
La legge elettorale lasciava solo due alternative. O si stabiliva che il tentativo di attacco alla destra si faceva ognuno per sé, puntando al miglior risultato proporzionale possibile e sacrificando i collegi uninominali. Oppure Pd, M5s e Azione si mettevano intorno a tavolo, accettavano di perdere parte del loro consenso in nome dell’alleanza e provavano a giocarsela. Serviva una scelta politica estrema in un senso o nell’altro
Alla fine è stata presa una via di mezzo: una coalizione ridotta, indebolita ulteriormente dal mancato accordo con Azione. Il Pd si è trovato aggredito da sinistra e da destra. Nel momento in cui la campagna è apparsa ormai persa, c’è stata una corsa da parte di Azione e del Movimento 5 stelle a massimizzare i loro consensi. Ieri, le analisi di flussi di Swg mostravano che il 37 per cento voti di Azione venivano dal Pd.
Arriva così la campagna “Scegli”, quella che poi è stata oggetto di diverse ironie sul web.
Era pensata per un sistema maggioritario senza però una coalizione sufficientemente forte per una campagna di questo tipo. Non c’era tempo di aspettare che si definissero le alleanze. Il brief che avevamo ricevuto era di lavorare sulla parte maggioritaria, con l’obiettivo di polarizzare l’elettorato e guadagnare più collegi possibile. La nostra campagna era coerente con la richiesta, ma quando è cambiato il quadro politico, la campagna è rimasta indietro. Il messaggio era buono, ma il messaggio perde se il quadro politico cambia.
Poi, subito dopo il mancato accordo con Azione, i giornali hanno iniziato a parlare di Meloni come prima ministra in pectore. La campagna a quel punto era finita, il messaggio sul voto utile e la polarizzazione non ha trovato un terreno politico su cui attecchire. A quel punto era impossibile dire: fermiamo la campagna, non facciamola uscire. Non c’era tempo e in ogni caso cambiare una campagna in corsa costa centinaia di migliaia di euro, è economicamente insostenibile.
Qual è una lezione che i politici e i comunicatori possono apprendere da questa campagna?
Le regole del gioco sono la cosa più importante. Non si può fare una campagna che non tenga conta della legge elettorale. Se avessimo votato con il proporzionale ora parleremmo di un quadro completamente diverso. Con una legge elettorale che premiava la coalizione, il centrodestra ha deciso di rinunciare alle divisioni interne, si sono detti “per un mese e mezzo reggiamo, appariamo compatti e vinciamo le elezioni”. Dall’altra parte serviva lo stesso spirito. E se non c’era quello spirito di allearsi, anche strumentalmente, a quel punto bisognava fare un altro discorso: andiamo separati, ma cerchiamo di individuare un avversario comune, focalizziamoci sulla parte proporzionale e facciamo campagna ognuno per sé concentrandoci sul centrodestra. La legge elettorale è il principale elemento di valutazione di una campagna. Era una regola che conosceva, ma che è stata rinnovata nella sua importanza in questo caos. Nessun ragionamento politico può prescindere dalla legge elettorale e così nessun ragionamento comunicativo può farlo.
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