I Cinque stelle ambiscono a scegliere il candidato per le regionali facendo leva sulla forza sul territorio e sull’ostilità della leader dem al terzo mandato del presidente uscente
«La Campania non è l’Emilia-Romagna né l’Umbria, ma dallo storico vediamo che il Movimento, in quelle occasioni, rimane una forza marginale» dice Lorenzo Pregliasco di YouTrend. Appena terminato lo spoglio delle ultime regionali c’è già chi guarda al prossimo turno, quando, presumibilmente nel 2025, si voterà in Veneto, Campania, Puglia e Marche.
Per gli uomini di Giuseppe Conte la Campania può diventare una grande rivincita. A Napoli, il sindaco Gaetano Manfredi è espressione di una coabitazione – per una volta riuscita – di Pd e M5s. Il problema, però, è mobilitare l’elettorato. In Campania, alle europee di giugno, il Movimento ha raccolto il 20,8 per cento. Alle ultime regionali, quando correva da solo, era arrivato appena sotto il 10 per cento (il Pd era al 17, la lista personale di Vincenzo De Luca al 13). Come rileva l’istituto Cattaneo nel suo studio dei flussi elettorali in Umbria ed Emilia-Romagna, rispetto alle europee, in tanti tra coloro che hanno votato M5s sono rimasti a casa, con punte dell’80 per cento. «Il dimezzamento dei voti delle regionali rispetto alle europee, peraltro, non viene meno neanche quando il candidato è del M5s, come ha dimostrato Alessandro Todde», dice Salvatore Vassallo, direttore dell’istituto.
Effettivamente in Sardegna il M5s ha preso il 7,8 per cento alle regionali e il 16,9 alle europee. Giuseppe Conte, che lunedì si è limitato a congratularsi con la neopresidente umbra Stefania Proietti al telefono, spiegando di non poter essere a Perugia perché impegnato a organizzare la costituente di sabato e domenica, deve fare i conti con due risultati devastanti. In Emilia-Romagna il M5s si è fermato al 3,6 per cento, in Umbria al 4,7 per cento. Al contrario il Pd è andato oltre il 40 per cento in Emilia-Romagna e oltre il 30 in Umbria.
Insomma, rapporti di forza più che sproporzionati che, di certo, non giustificano le ambizioni campane del Movimento. Ma al Nazareno, dove sono ancora impegnati nei festeggiamenti per il 2-0 di lunedì, rischiano di trovarsi in una situazione loose-loose, stretti tra un De Luca sconfessato e un Roberto Fico imposto dal Movimento 5 stelle.
Elly Schlein ha detto più volte di non voler sostenere il terzo mandato del presidente uscente, alimentando le speranze dei Cinque stelle. De Luca è comunque determinato a restare in pista. Ed è difficile prevedere quanti voti potrebbe sottrarre ai dem. Ma, allo stesso tempo, è difficile prevedere anche l’appeal di Fico sugli elettori del partito che, fino a oggi, ha guidato la regione.
«Per il presidente uscente sarà essenziale portare con sé buoni candidati da mettere in lista», dice ancora Pregliasco. «Il peso del candidato presidente è relativo in un’elezione regionale».
Le speranze di Fico
Dalle parti di via di Campo Marzio nessuno dubita sul fatto che l’ex presidente grillino della Camera, che ha raggiunto il limite dei due mandati, ambisca alla poltrona di De Luca. I vertici puntano sul fatto che la Campania è stata sempre un laboratorio in cui l’alleanza giallorossa ha dato i migliori frutti, inclusa la vittoria di Manfredi, appena premiato con la presidenza dell’Anci.
E poi i Cinque stelle, pur con qualche resistenza, hanno finora avallato tre candidati d’estrazione dem in Liguria, Umbria ed Emilia-Romagna. Ad aumentare la fiducia di Fico c’è anche la costituente alle porte. Negli ultimi giorni si sono moltiplicati gli interventi dei big – l’ex presidente della Camera incluso – che danno ormai per assunto il fatto che il vincolo dei due mandati sia cosa del passato. L’impressione che circola nel partito è che l’evento romano sarà solo l’occasione per formalizzare la modifica. «Seguire i dogmi che appartengono ad altri periodi storici non ha senso. Siamo tutti affezionati a quella regola e ad altre che negli anni abbiamo superato, come il divieto di alleanze», ha detto domenica scorsa Fico intervistato dal Fatto quotidiano.
Sarà proprio sulle alleanze che Conte dovrebbe spuntare un’altra modifica, ottenendo il mandato per negoziare patti «garantiti» da un contratto. Una circostanza che permetterebbe di trattare caso per caso (Campania e Puglia su tutte) e lasciarsi un’exit strategy, per esempio in regioni difficili per il M5s come il Veneto. Ma a Napoli, a meno di rinunce di De Luca o Fico stesso, Schlein si troverebbe di fronte al bivio: cedere la candidatura e stare con Fico o rimangiarsi le parole su De Luca? O, peggio ancora, mettere in pista un terzo candidato? Il risultato rischia di essere deleterio comunque, visto che per la vittoria saranno necessari tutti e tre i bacini di voti: dem, Cinque stelle e deluchiani. Per il Pd c’è ancora tempo per decidere o negoziare una soluzione per uscire dall’impasse.
Nel frattempo a Conte è arrivata un’altra frecciata da Beppe Grillo. Il fondatore del Movimento ha pubblicato nelle sue storie una foto di sé stesso seduto in tram accanto a un uomo che indossa una divisa militare della Seconda guerra mondiale. La didascalia: «Oz Onoda». Il “mago” è evidentemente Conte, al quale il garante ha affibbiato quel nomignolo. Hiroo Onoda, invece, era un soldato giapponese noto perché, dopo quasi trent’anni dalla fine della Seconda guerra mondiale, è stato arrestato sull’isola filippina di Lubang convinto che il conflitto fosse ancora in corso. Ma dove Grillo vede la fine del M5s, Conte (e Fico) vedono un nuovo inizio.
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