Carlo Calenda, lei, macroniano, ha detto che la desistenza in Francia era un «accrocco» e che Macron, sciogliendo l’Assemblea, ha fatto una mossa incomprensibile. Conferma, o Macron si è rivelato un genio?

Primo, non sono un macroniano, ma un liberale. Secondo, penso che Macron abbia sbagliato a indire elezioni perché la Francia sarà più instabile. Terzo, non ho mai definito la desistenza un «accrocco». Di tutto avevamo bisogno in Europa oggi tranne che di una Francia instabile.

Lei avrebbe fatto la desistenza?

Certo. Ma applicare quello che è accaduto in Francia all’Italia è sintomo di provincialismo estremo. Se in Francia ci fosse stata la legge italiana, governerebbe Le Pen. In Italia dobbiamo fare i conti con il sistema che abbiamo.

Nel nostro sistema i collegi si vincono solo con campi larghi o larghissimi. Se no vince la destra.

D’altro canto se non fai una coalizione capace di governare perdi lo stesso o conduci il paese nel baratro. Siamo dentro una fase di dissoluzione dell’Occidente e il bipolarismo non reggerà più, a destra come a sinistra. Giorgia Meloni lo sperimenterà con Salvini, che ha dato vita a un gruppo filoputiniano con Orbán che se ne va in giro a omaggiare Putin e Xi Jinping. Nel giro di pochi mesi Salvini ritirerà il sostegno all’Ucraina. Le opposizioni non possono replicare dall’altro lato gli stessi problemi di questo governo. È inutile fondare l’alternativa sui “no”. Ho proposto a Schlein di scrivere insieme un emendamento unico delle opposizioni alla legge di Bilancio su sanità, salari e scuola. Su questi tre temi tutta l’opposizione è unita, si può fare un lavoro insieme. Per il paese, non solo contro Meloni. Attendo fiducioso.

Con Schlein vi siete sentiti dopo che le ha mandato a dire che lei è «meno politico» di Renzi?

Certo, la politica non è una questione personale. Sono preoccupato del referendum sull’autonomia differenziata. Noi voteremo no alla legge Calderoli, ma quel referendum è un gigantesco regalo alla destra. Per vincerlo dovremmo raddoppiare i voti presi da tutte le opposizioni. Perché fare una battaglia in cui gli stessi promotori sono sicuri di perdere? E perdere a un anno dalle politiche confermerà per sempre la legge Calderoli e darà un vantaggio a Meloni.

Nel 2011 il referendum sull’acqua pubblica è passato.

C’erano altri tassi di astensione. Oggi si regala l’astensione a chi non vuole l’approvazione del referendum. La destra lo combatterà così.

Macron, Sunak, Sánchez sono stati coraggiosi. Le manca il coraggio di fare una battaglia difficile?

La battaglia la faremo. La sinistra ha scelto il campo di battaglia più sfavorevole possibile.

Per Matteo Renzi, anche perdere “bene” il referendum sarebbe un segnale.

Sono disponibile ad ascoltare Renzi su molti temi. Non sui referendum.

Renzi dice anche che grazie ai suoi veti avete perso le europee.

Se non fosse tragico sarebbe ridicolo. Renzi ha passato tutta la sua vita mettendo veti su chiunque non fosse sé stesso. Negli ultimi sei mesi mi ha accusato di voler entrare nel campo largo. Poi si è precipitato dentro a un giorno dalle europee. Ha iniziato la legislatura facendo votare ai suoi La Russa presidente del Senato, poi ha detto che era l’erede di Berlusconi, poi ha chiesto a Tajani di fare una lista insieme alle europee, adesso entra nel campo largo, dopo aver detto che era la somma di tutti i mali. Renzi ha una sola bussola, la sopravvivenza politica sua e di altre due persone. Domani si potrebbe alleare con i marxisti-leninisti e Santoro pur di restare in parlamento. E spiegherebbe che sta salvando la patria. Si chiama opportunismo.

Intanto il vostro “centro” non nasce. Marattin e Costa chiedono ai leader di farsi da parte.

A che titolo parla Marattin? Sta in Italia viva, che ha aderito al “fronte popolare” italiano. Legittimo, ma Azione vuole costruire un’area di centro liberale e repubblicana. Ma parliamo con tutte le opposizioni. Per la memoria: io ho collaborato con tutti sul salario minimo, invece Iv no, perché in quel momento sperava di entrare nel centrodestra. Azione ha tutta la disponibilità a fare alleanze “per”. In Emilia-Romagna, in Umbria. Ma partendo da un progetto di governo. Marattin faccia il partito che vuole, anzi provi a diventare segretario di Iv, se Iv è contendibile. Poi discuteremo. Azione lo è, fa i congressi dalla sua nascita.

Azione resta sola, nonostante le sconfitte? Il successo seguirà, come l’intendenza di Napoleone?

Il successo arriverà con la storia. Quando tutto si sbriciolerà, a un certo punto si capirà che non puoi fare proposte politiche che non siano responsabili. Perché quelle irresponsabili poi non riesci a gestirle. Noi non abbiamo mai fatto scelte comode. Alle europee non ha pagato, perché la polarizzazione sta travolgendo tutti. Ma il bipolarismo porta a proposte piene di contraddizioni.

Se invece il bipolarismo resisterà fino alle politiche, esclude di far parte di uno schieramento?

Non l’ho mai escluso. Ma deve essere uno schieramento con un programma di governo. Una coalizione che non è chiara sulla politica estera, sull’Ucraina e sulla Nato, non regge. E non regge continuare a presentare contromanovre che implicano miliardi e miliardi di deficit in più. È una presa in giro degli elettori. Magari si vince, ma poi non si governa.

Parla con Giuseppe Conte?

Non lo sento da mesi. Ma non ho nessuna preclusione a discutere, per esempio sulla sanità. Il problema è che le cose che abbiamo in comune sono poche. Quasi nessuna. Mi sembra che siano pochine anche con il Pd.

Ma il Pd ha intenzione di farci un’alleanza. Lei no?

Le buone intenzioni vanno benissimo. Poi ci sono i fatti. E i fatti in questo momento sono duri e difficili e richiedono scelte nette.

Sull’Ucraina proprio non c’è un punto comune fra lei e Conte?

No, e questa è una questione dirimente. Ma ve l’immaginate un Consiglio dei ministri con Santoro e Renzi? Ripeto, non è un problema solo mio, è un problema anche e soprattutto di Schlein. Che ha fatto una campagna per le europee brillante e di successo, dicendo che sta un po’ di qua e un po’ di là. Ma non potrà andare avanti così per sempre. Noi siamo pronti a fare compromessi, ma non su questioni così di fondo. È lo stesso problema che c’è fra Meloni e Salvini.

Che però governano insieme.

Ma governano male. Come il suo giornale ricorda ogni giorno. Con che faccia possiamo proporre un’alleanza con le stesse contraddizioni?

Meloni voterà von der Leyen?

Me lo auguro, ma non credo: Salvini le ha detto che se lo fa è una traditrice.

Il governo finirà la legislatura?

No, il quadro internazionale che si sta disegnando prevede una grande crisi finanziaria del debito, e davanti a quella crisi faremo quello che abbiamo sempre fatto davanti ai problemi veri: chiamare qualcuno che risolve i problemi al posto nostro.

Un governo tecnico? Ma la destra propone una riforma costituzionale che esclude i governi tecnici.

Una vaccata totale. La riforma dice così: se tu eleggi un cretino, che dopo un anno manda al disastro il paese e perde consenso, te lo tieni per cinque anni. La loro risposta all’incapacità della politica è blindare la politica incapace. L’esempio è la scorsa legislatura: pensi a un governo M5s, con Di Maio premier. Dopo un anno avrebbe già dimezzato i consensi, ma ce lo saremmo tenuto per cinque anni, visto che i parlamentari non si mandano a casa.

Il premierato sarà approvato?

Non credo, Meloni lo farà slittare dolcemente alla prossima legislatura. Anche perché le opposizioni stanno apparecchiando per lei una grandiosa vittoria al referendum sull’autonomia. Perché deve rischiare di perdere la faccia su quello costituzionale?

© Riproduzione riservata