Il costituzionalista: «Per Salvini c’è la dittatura della minoranza? Forse intende quella dei veneti». «Il Colle dice l’ovvio: il premier assoluto stride con la Carta, ma Palazzo Chigi finge di non sentire»
«La maggioranza non è un’autorità senza limiti», ha detto il presidente della Repubblica. Massimo Villone, un costituzionalista, per definizione, evita di tirare il Colle nella polemica politica. Ma queste parole suonano molto attuali.
È una presa di posizione contro il premier assoluto. Ma è ovvia: il premier assoluto stride con l’architettura complessiva della nostra Costituzione.
Ma Salvini dice che «semmai c’è il problema della dittatura delle minoranze». Di nuovo Salvini contro Mattarella.
Con Salvini concordo, in Italia una dittatura della minoranza la vedo, è quella dei veneti sull’autonomia differenziata. Un oggetto misterioso che, a parte loro e pochi altri, nessuno vuole.
La premier invece fa finta di nulla?
Il problema è che non ha al suo fianco chi possa avvertirla, come il federale Tognazzi nel famoso: «Buca, buca con acqua, buca con fango». Il suo gruppo dirigente non è all’altezza di quel federale. Quindi becca tutte le buche, e può solo fingere di non averle sentite.
Mattarella continua a fare una “pedagogia costituzionale” nella scomoda condizione di un presidente a cui la riforma toglie poteri.
Proprio per questo il presidente non si metterà mai nella condizione di farsi dire che difende sé stesso. Lo assalterebbero anche più di quanto non facciano ora.
Ieri alla Camera, in commissione, è iniziata la discussione sul premierato. Quest’impianto da maggioranza senza limiti reggerà?
Sul premierato Meloni gioca una partita per lei decisiva, visto come sta andando l’autonomia. Se non porta a casa il premierato, ha doppiamente perso. Dunque è improbabile che molli. Lei vuole un primo ministro eletto dal popolo con una maggioranza garantita in parlamento, e per questo serve una legge elettorale che assicuri al premier di avere la “sua” maggioranza.
Prima lei ha detto: «Per come sta andando l’autonomia, Meloni ora deve puntare sul premierato». Come sta andando l’autonomia?
Meloni ha commesso un errore di sottovalutazione: non ha capito l’autonomia, o non si è resa conto. Ha permesso che la filiera decisionale dell’autonomia finisse in mano alla Lega. Mi ha sempre colpito che la prima proposta, l’atto Senato 615, portasse la firma del solo Calderoli. Una riforma importante, per di più definita come attuativa della Costituzione, avrebbe dovuto avere anche la firma della premier. Comunque le è sfuggita di mano. Perché lei per ora ha un premierato dall’esito incerto, con tempi lunghi, e un referendum di cui non sappiamo il contesto, e invece l’autonomia ha completato un primo passo importante. Il presidente Zaia ha già mandato una lettera a palazzo Chigi. Il Corriere del Veneto ha rivelato una dettagliatissima road map. L’autonomia ha un passo veloce, e presto Meloni potrebbe avere sul tavolo le richieste di alcune regioni. Lombardia e Veneto di certo, e già si è aggiunto il Piemonte. Molto prima che veda la luce il premierato. Una sconfitta politica, per lei, che aveva sempre affermato la contestualità delle riforme. Se Calderoli fa la sua trattativa con il Veneto – anzi probabilmente l’ha già fatta – e porta le carte a palazzo Chigi, Meloni che fa, dice no? Il ministro, che è un furbone, ha messo nella legge termini stringenti per la formazione delle intese, e se non sono osservati si va avanti lo stesso. Il meccanismo è innescato.
Non è solo una legge procedurale?
È una legge che definisce le procedure per la formazione delle intese. Ma non per questo è vuota: disciplina l’attività negoziale del governo con le regioni. Calderoli ha costruito ad arte il suo testo, e ha messo Meloni nel sacco. Ora farà la sua trattativa che, come ci dice il Corriere del Veneto, rimarrà per una fase riservata. Poi porterà una bozza in Consiglio dei ministri. A quel punto che fa Meloni, scassa l’alleanza con la Lega? La legge disegna un binario sul quale è difficile fermare il treno.
Voi domani (oggi, ndr) consegnate alla Cassazione il quesito per l’abrogazione dell’autonomia.
Facciamo un favore a Meloni. Magari se ne renderà conto e ci porterà qualche voto, nel segreto dell’urna.
C’è qualche dubbio sull’ammissibilità del quesito?
C’è, ma è un rischio che va corso. E poi le regioni debbono presentare i ricorsi alla Corte costituzionale. Bisogna provare tutte le strade. Quello che non serve invece è un quesito abrogativo parziale, che sostanzialmente accetta l’impianto della legge e lo corregge solo marginalmente. Può solo confondere e dividere, in una battaglia referendaria già difficile. In Italia c’è sempre qualcuno che cerca di non combattere. Oggi c’è una contrapposizione netta fra chi vuole ridurre i divari e provare a garantire l’eguaglianza dei diritti e chi invece questi divari li ritiene tollerabili o fisiologici. Sono due concezioni del paese, è bene che si misurino, sapremo che ne pensa il popolo sovrano.
Resta che Meloni si è infilata in un ginepraio?
Quel che è certo è che il premierato alla fine è anche inutile, oltreché sbagliato. Perché, se frammenti il paese, su cosa comanda davvero il premier assoluto? Faccio un esempio: il Veneto vuole il commercio con l’estero, il Piemonte si accoda, la Lombardia seguirà. Dunque avremmo la parte più forte del paese che gestisce il “suo” commercio con l’estero. È quello che teme Occhiuto. A palazzo Chigi ci potrà essere ancora una politica sul commercio con l’estero? Il ministro che se ne occupa verrà pensionato? Molti simili esempi sono possibili. Meloni forse non l’ha capito. Fa la battaglia del premierato, e poi finirà come Pietro Nenni, che entrò nella stanza dei bottoni e scoprì che i bottoni non c’erano più.
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