- I tavoli di crisi aperti al Ministero dello sviluppo economico sono in lieve aumento rispetto alla fine dello scorso anno: alla fine di luglio sono 73 contro i 69 di dicembre scorso.
- Dalla Wartsila di Trieste all’Acciaierie Sicilia di Catania, sono migliaia i posti di lavoro in bilico. Anche la sarda Portovesme ha avvisato che a ottobre stopperà il 90 per cento della produzione.
- Secondo i rumors, il ministro Giancarlo Giorgetti cerca di succedere a se stesso, intestandosi i dossier sulla risoluzione delle crisi grazie alla creazione di una struttura apposita.
Una bolletta energetica sempre più cara, aumenti delle materie prime e interi settori che registrano una contrazione delle domanda e quindi un calo delle vendite. Così vanno in affanno centinaia di aziende, con l’effetto a catena di mettere in bilico migliaia di posti di lavoro.
L’autunno si annuncia con «nuvole in vista», secondo le parole del presidente del Consiglio, Mario Draghi. E le difficoltà che possono scaricarsi sulla tenuta sociale, creando le condizioni per il più tipico degli autunni caldi.
Un primo indicatore è quello dei tavoli di crisi aperti al ministero dello sviluppo economico (Mise), in lieve aumento rispetto alla fine dello scorso anno: alla fine di luglio sono 73 contro i 69 della precedente rilevazione. Un numero di aziende che tira in ballo circa 95mila lavoratori. Ma è solo la punta dell’iceberg, visto che molte vertenze non arrivano al tavolo ministeriale.
Aziende in crisi
«In particolare, ad oggi i tavoli attivi sono 46 mentre i tavoli di monitoraggio sono 27 (erano rispettivamente 55 e 14 a dicembre dello scorso anno)», dice il Mise, entrando nel dettaglio delle questioni.
Quindi una trentina di realtà produttive, tra cui Corneliani, Ideal Standard, Caterpillar, Acc e Bosch, stanno cercando il percorso di reindustrializzazione, in sinergia con le istituzioni locali. Dietro il tentativo rassicurante degli Ministero, guidato da Giancarlo Giorgetti, cresce tuttavia il timore che nei prossimi mesi possano aumentare le crisi aziendali, raggiungendo i livelli del luglio 2020, quando i tavoli aperti erano 150 e i lavoratori coinvolti circa 300 mila.
Il problema resta stratificato, coinvolgendo il paese da Nord a Sud e senza grosse distinzioni per i settori produttivi. Anche se il salasso maggiore è presentato alle imprese energivore. Si va così dalla Wartsila di Trieste, dove si producono motori navali, all’Acciaierie Sicilia di Catania, che opera nella siderurgia, immettendo sul mercato principalmente tondini per cemento armato.
Lo stabilimento isolano è andato in difficoltà fin dall’inizio dell’anno con l’aumento del costo dell’energia. L’eventuale chiusura, oltre a mettere in pericolo 500 posti di lavoro, accrescerebbe i problemi del settore edile nel reperimento delle materie prime, a cominciare dall’acciaio.
Sindacati preoccupati
Una situazione simile riguarda la società sarda Portovesme, che produce zinco e piombo. I vertici hanno già anticipato ai sindacati che, senza cambiamenti di scenario, a ottobre dovranno fermare il 90 per cento della produzione, lasciando a casa un migliaio di operai. Anche dai sindacati arriva una presa di coscienza del contesto. «Non si sta facendo i conti con il costo dell’energia», dice Michele De Palma, segretario della Fiom Cgil. Insomma, non ci sono solo i problemi di delocalizzazioni o di aziende che scaricano le difficoltà sui lavoratori.
La crisi c’è ed è tangibile. Un altro esempio è rappresentato dall’Ansaldo Energia di Genova: nel 2021 aveva chiuso con un bilancio positivo dopo anni di conti in rosso, e puntava a un definitivo rilancio. Tuttavia, la strategia industriale ha dovuto affrontare la realtà della guerra in Ucraina con un’inattesa contrazione della domanda e la cancellazione delle commesse. Ora si annuncia un piano «lacrime e sangue».
Ci sono poi da risolvere vertenze storiche, come quella della Whirpool di Napoli, iniziata ormai più di tre anni fa, e che lascia in sospeso il destino di oltre 300 dipendenti. Stesso discorso va fatto per la ex Blutec, che opera nel settore dell’automotive, che riguarda il destino di mille lavoratori, includendo anche l’indotto. In una fase delicata è anche la situazione dell’ex Gkn di Bisanzio, attuale Qf spa, che riguarda oltre 400 posti di lavoro. La trattativa sarebbe in dirittura d’arrivo, ma i sindacati attendono la scadenza del 31 agosto per capire l’effettivo sbocco positivo.
Il destino di Giorgetti
L’antipasto delle possibili tensioni sociali in autunno sono state le manifestazioni dei dipendenti dell’Ansaldo, come quelli dell’Acciaierie Siciliane, ma anche della Supermonte, che a Lecce è produttrice di contenitori in metallo. Sul dossier delle crisi aziendali, il ministro Giorgetti ha investito molto in termini politici, mettendo in piedi un’apposita struttura, affidata al bocconiano Luca Annibaletti.
Un impegno che, secondo i rumors, è orientato a garantire la possibilità a Giorgetti a succedere a se stesso, soprattutto in caso di una vittoria del centrodestra alle elezioni. Un approccio che comunque non convince De Palma: «Al Mise più che andarci per affrontare le crisi bisognerebbe andarci per progettare il futuro».
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