Schlein: «È la presidente del Coniglio». Renzi: «Altro che Lady di ferro, è un omino di burro». Conte: «Nordio giudice assolutore di Almasri». Le minoranze si scatenano, l’obiettivo è Meloni
Alla Camera Elly Schlein si sbraccia e alza la voce, i fotografi hanno zoommato dalle tribune e hanno letto gli appunti presi a mano sui fogli del suo discorso: «Meloni scappa e scappa, dovrebbe essere la presidente del Consiglio, è la presidente del Coniglio» – più tardi FdI posterà sui social una battuta bulla: «E tu e il Pd siete la sua carota» – al Senato Matteo Renzi dà della «pinocchia» alla maggioranza.
«Nordio e Piantedosi, avete fatto la parte del gatto e della volpe», Meloni invece «vuole fare la fatina, ma fa l’omino di burro. Pensavate di aver trovato la Lady di ferro?», invece è «vile» – dagli scranni della maggioranza parte un tumulto – non è venuta in aula a dire «che c’è un interesse nazionale che non è sui migranti: in questo paese l’interesse nazionale ha tre lettere e si chiama Eni». «Con voi siamo il paese dei balocchi dei criminali», accusa Giuseppe Conte.
Alle informative dei ministri della Giustizia e dell’Interno le opposizioni danno fondo a tutte le armi che hanno a disposizione. La premier non ha accettato la richiesta di andare in aula, anche i suoi vice, Antonio Tajani e Matteo Salvini, non si sono presentati. Una manna per chi vuole accusare la premier di non avere il coraggio di rivendicare la «scelta politica» (così la definisce la segretaria Pd) di aver liberato il torturatore libico Almasri.
Il Pd alza cartelli contro la «patriota in fuga», i rossoverdi scelgono l’agghiacciante foto di una bambina torturata. «Avete liberato un criminale», accusa Nicola Fratoianni. La temperatura nelle due aule è altissima, ogni parola scatena opposti muggiti a favore delle telecamere della diretta Rai, i presidenti Lorenzo Fontana e Ignazio La Russa invano richiamano e minacciano espulsioni.
Premier in fuga
La parola d’ordine delle minoranze è la «fuga» della premier. Non si sa se alle prossime politiche correranno «divise», ma ieri intanto hanno «colpito unite», in una gara a chi affondava più forte contro i due ministri inviati in aula a cercare di mettere in piedi una versione ufficiale del pasticcio su cui, da una settimana, una versione ufficiale non c’è.
Ieri ne sono arrivate due, ma incompatibili l’una con l’altra: Nordio dichiara «nullo» il mandato d’arresto della Corte penale internazionale, invece Piantedosi lo stesso mandato lo ha preso così sul serio che spiega di aver voluto cacciare il criminale dall’Italia prima possibile, e per questo lo ha messo su un volo di stato (su un aereo «con la bandierina italiana», sfottono le opposizioni). Le versioni vengono esposte una dopo l’altra, per due volte, prima alla Camera e poi al Senato. E due volte stridono.
«Si sono contraddetti tra loro e con quello che avevano dichiarato nei giorni scorsi: avevano detto non essere stati in grado di vagliare le carte, mentre oggi (ieri, ndr) Nordio ha detto che, in quelle carte, c’erano delle incongruenze. Dovevano solo eseguire il mandato d’arresto e consegnare il trafficante», incalza Riccardo Magi di +Europa. «Mi chiedo se, prima di riferire in parlamento, vi siete parlati», è implacabile la senatrice Julia Unterberger, della Südtiroler Volkspartei.
Liberato un torturatore
Le minoranze suonano diversi tasti, ma hanno concordato lo spartito. «Esiste anche una dignità nella ragion di stato, ma se viene riconosciuta», dice Carlo Calenda a palazzo Madama, e invece «a questo bandito abbiamo fatto fare un carosello in Libia: ma mollatelo almeno nel deserto e non davanti ai suoi sostenitori». A Montecitorio Conte se la prende con il Guardasigilli: per Schlein il ministro aveva fatto l’avvocato difensore del torturatore?
Troppo poco, per lui: «Peggio: è stato il giudice assolutore». Cita lo scontro con i magistrati: «Lei ministro vive una dissociazione: se avesse firmato lei l’atto», cioè la comunicazione d’iscrizione al registro degli indagati che la premier chiama “avviso di garanzia”, «e il presidente del Consiglio avesse fatto un video definendola un incapace, come si sarebbe sentito? Ha cancellato il suo passato?»
Poi a Meloni: se non ha avuto «il coraggio» di parlare in aula, ora in tv «non si permetta per vigliaccheria di parlare davanti a qualche scendiletto». Il tentativo di tutti è fare in modo che non finisca qui il caso che la premier vuole silenziare il prima possibile: certa (come tutti, del resto) che il tribunale dei ministri lo archivierà.
Veleno sul Pd
La destra riserva al Pd una coda velenosissima. Al Senato il capogruppo FdI Alberto Balboni, persona solitamente mite, legge un appunto finale: ricorda ai dem che «nel mandato di cattura della Cpi non c’è una parola sull’immigrazione, mentre, di immigrazione si parla molto nell’inchiesta sul tesoriere del Pd della Campania».
Aveva detto la stessa cosa Giovanni Donzelli alla Camera – chiamato a parlare al posto del capogruppo Galeazzo Bignami, forse non ritenuto all’altezza dell’occasione. Il riferimento è al funzionario Pd arrestato. Schlein aveva replicato piccata che era stato sospeso, mentre la ministra Daniela Santanchè «non siete in grado di farla dimettere». Il senatore Pd Francesco Boccia, chiamato in causa, si imbufalisce: parole che «offendono l’intera comunità».
La Russa non riesce a contenere la bagarre, Renzi difende i suoi ex compagni e accusa FdI: «Sono testimone di come l’onda giustizialista possa massacrare le persone. Quello che ha detto Balboni è di una gravità inaudita, è una persona perbene costretta a buttare in rissa la discussione su un violentatore di bambini».
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