Casellati aspetta che arrivino le lettere per procedere. Il presidente filoputiniano del Movimento 5 stelle (in corso di espulsione) Vito Petrocelli non vuole mollare la poltrona e nelle scorse settimane ha cercato di mettersi in contatto con la Russia
Alle 17 arriva la notizia che si sono dimessi tutti i parlamentari della commissione Esteri del Senato, diventata terreno di guerra per la crisi Ucraina: in mattinata i senatori della Lega e del Pd che fanno parte della commissione hanno firmato la lettera di dimissioni per spingere il presidente filoputiniano del Movimento 5 stelle (in corso di espulsione) Vito Petrocelli ad andare via.
La compagine leghista vede nomi di rilievo: Tony Chike Iwobi, Stefano Lucidi, Manuel Vescovi, ma anche il segretario Matteo Salvini. Il senatore Alessandro Alfieri, capogruppo dem in commissione, per parte Pd ha spiegato: «Abbiamo già rassegnato le nostre dimissioni nelle mani della presidente del gruppo Simona Malpezzi e non parteciperemo ai lavori della commissione Esteri finché non si risolverà la questione della presidenza Petrocelli».
In mattinata ha annunciato le sue dimissioni anche l’unico componente di Fratelli d’Italia, Adolfo Urso, che ricopre in parlamento anche il ruolo di presidente del Copasir, il Comitato parlamentare per la sicurezza della Repubblica.
Il giorno precedente si era già fatta da parte la senatrice di Italia viva, Laura Garavini, vice presidente della commissione.
Poi è arrivato l’annuncio del presidente del Movimento 5 stelle, Giuseppe Conte: «Tutti i senatori M5s si dimetteranno». Il Movimento «contribuirà superare l’impasse in commissione», pure il fuoriuscito Alberto Airola, contattato direttamente da Conte: «Persona intelligente e seria e di cui mi pregio di essere amico» ha concluso il presidente del Movimento. E alla fine, dopo che hanno deciso di lasciare anche i parlamentari di Forza Italia, Petrocelli è l’unico rimasto, ma non ha alcuna intenzione di andare via.
Il caso
Il senatore nelle scorse settimane aveva già fatto discutere. L’ultima mossa era stata la “Z” maiuscola che mimava quella sui carri armati russi per augurare «Buona festa della LiberaZione». Un tweet a cui il presidente Conte, aveva risposto annunciando sui social l’espulsione dal Movimento.
Nonostante i parlamentari si siano mossi scrivendo alla presidente del Senato Elisabetta Casellati per cercare di rimuoverlo, la presidente attualmente non vuole agire in assenza di una precisa procedura prevista, così anche la Giunta per il regolamento convocata martedì, prima del passo indietro collettivo, ha lasciato la situazione immutata.
La presidente non ha ancora voluto fare nulla, spiegano dalla presidenza, perché non lo prevede il regolamento né ci sono precedenti a cui rifarsi. Finora è stato menzionato “il caso Renzo Gubert” del 1999: il parlamentare rimosso dalla carica di vicepresidente della commissione Difesa. In quel caso non gli è stato tolto l'incarico, ma il partito ha deciso di cambiargli commissione, dunque è venuto meno il suo incarico di "vice". Una cosa però mai accaduta a un presidente.
A questo punto però entra in scena il precedente “Villari”. Il presidente della commissione di Vigilanza Rai, Riccardo Villari, nel 2009 perse il suo ruolo dopo che 37 dei 40 parlamentari si dimisero. I Capigruppo dichiararono di non voler procedere alla designazione di altri parlamentari in sostituzione dei dimissionari e alla fine la Giunta, rilevata l’impossibilità di lavorare, diede via libera ai presidenti delle Camere per rinnovare del tutto la commissione.
Petrocelli ha già minacciato che qualora accadesse farà ricorso alla Corte costituzionale, ma c’è da dire che nel caso Villari la consulta diede ragione ai presidenti che lo avevano destituito. Lo stesso Villari si è sentito di dare un consiglio spassionato: «Caro Petrocelli, alla fine prendi atto della situazione e dimettiti. Qui non si ragiona in punta di diritto, è una questione politica e dietro questo aggettivo ci sta tutto... Buona notte ai suonatori...».
La questione dovrebbe essere rinviata alla settimana prossima, Casellati infatti non riconvocherà la giunta per procedere alla scioglimento finché non saranno arrivate tutte e venti le lettere. Fino ad allora tutti aspettano e mostrano cautela.
Il compagno Petrov
Petrocelli ormai chiamato sulla stampa “compagno Petrov” non si muove: «Non mi dimetto perché sento di rappresentare la nostra Costituzione, la volontà della maggioranza degli italiani che non hanno più partiti che la rappresentino in parlamento e perché onorerò fino all'ultimo giorno gli impegni per la pace e il dialogo internazionale che ho preso con gli elettori nel 2018», ha dichiarato all’Agi.
Petrocelli sin dall’inizio dell’invasione dell’Ucraina si era dimostrato vicino alla Russia e critico con il governo, e ad aprile ha smesso di votare i provvedimenti della maggioranza di cui pure farebbe parte in quanto membro del Movimento (anche se i Cinque stelle stanno lavorando per cacciarlo).
Garavini durante la seduta di mercoledì ha lanciato l’allarme sulle iniziative di Petrocelli: da presidente della commissione all’oscuro dagli altri parlamentari ha provato a organizzare una riunione, coinvolgendo i presidenti delle commissioni Esteri dei parlamenti di Turchia, Russia e Ucraina, avente per tema le possibili trattative di pace tra Russia e Ucraina. Una scelta che Petrocelli ha confermato ieri. Solo dopo esplicita richiesta di Garavini ha informato i colleghi di aver interpellato il suo omologo turco per sondare la possibilità di una riunione «nel format come accennato dalla senatrice».
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