La gara tra la premier e la leader del Pd si è presentata fin dall'inizio inedita, non solo perché per la prima volta a trainare sono due donne, con identità politiche fortemente caratterizzate. La novità del 2024 è che la sfida non viene rigettata dall'elettorato. Mentre lo spazio di mezzo tra le due si è ridotto a poca cosa
Il 2024 elettorale è l'anno in cui torna la competizione per chi sta costruendo l'alternativa a Giorgia Meloni, dopo le sconfitte del 2022 e 2023. Si chiude con la doppia vittoria della coalizione progressista in Emilia-Romagna e Umbria. Nelle sette regioni al voto si è passati da sei regioni in mano alla destra a una, a quattro a tre. Il nuovo bipolarismo si consolida. In quattro delle regioni andate al voto il Pd è il primo partito, in alcuni casi di gran lunga, seguito da Fratelli d'Italia.
Alle elezioni europee del 2024 il margine tra i due partiti si è ridotto a quattro punti e mezzo (nel 2022 era di quasi sette punti). Ora, referendum a parte e a meno di uno scioglimento anticipato delle camere, ci aspetta un periodo insolitamente lungo senza urne. E la sfida potrà raffinarsi e allargarsi: toccherà soprattutto al Pd e alla sua leader.
Tra Meloni e Schlein
La gara tra la premier Meloni ed Elly Schlein si è presentata fin dall'inizio inedita, non solo perché per la prima volta a trainare sono due donne, con identità politiche fortemente caratterizzate.
La novità del 2024 elettorale è che la sfida non viene rigettata dall'elettorato, quel pezzo (minoritario) che va al voto dimostra di apprezzare la competizione e di identificarsi nelle due leadership. Mentre lo spazio di mezzo tra Meloni e Schlein si è ridotto a poca cosa.
Per Meloni era più facile. La premier ha alle spalle un partito personale, se non familiare, privo di dialettica interna, e viene da quasi venti anni trascorsi ai piani alti del centrodestra.
L'autentica underdog è Schlein, che in meno di un anno e mezzo è riuscita nell'impresa di parlare a nome di tutto il Pd, per miracolo non più diviso, con la credibilità e l'autorevolezza per proporsi come vera alternativa alla premier. Nel ritrovare in Schlein la capacità di leadership perduta da anni, ancora una volta, l'elettorato del centrosinistra si conferma molto più avanti di molti suoi dirigenti e anche delle vestali dell'opinione pubblica e del giornalismo che spiegavano come, mai e poi mai, il popolo avrebbe capito il linguaggio di Schlein, loro che di popolo se ne intendono.
Salvini e Conte
L'embrione di un nuovo bipolarismo terremota e nevrotizza i maschi in crisi delle rispettive coalizioni. Matteo Salvini, sbugiardato da Meloni e perfino da Antonio Tajani sul mandato di cattura internazionale per il premier israeliano Benjamin Netanyahu, ha bruciato i consensi e la strategia degli ultimi dieci anni, da quando, nel 2015, ha lanciato la Lega nazionale, sostituendo l'Italia alla Padania e Bruxelles a Roma ladrona.
L'apice arrivò nel 2019, quando la Lega Salvini premier conquistò il 34 per cento alle europee, il 36,9 per cento e la presidenza in Umbria, storica regione rossa, e il 31 per cento in Emilia-Romagna. Oggi la Lega è precipitata al 7 in Umbria e a un infimo 5 in Emilia-Romagna, rischia di perdere la guida del Veneto, i presidenti Luca Zaia e Attilio Fontana invocano il ritorno alla ragione sociale di sempre, la difesa del Nord. Mentre Salvini è ora il leader più romanizzato di tutti, insieme a Giuseppe Conte, l'altro leader che si muove nell'abisso.
L'ex premier è in queste ore alle prese con la Costituente dei Cinque stelle, appuntamento enfatizzato dal quotidiano di riferimento che agita attorno a Conte il girotondo degli intellettuali di area, ricchi di consigli e rapidi nel voltafaccia, la fine amara che tanti segretari del Pd ben conoscono.
Ma la scontata vittoria dell'avvocato senza popolo su Beppe Grillo, non scioglie il nodo strategico: stare stabilmente nel centrosinistra, e non quasi per caso nel campo largo, che era un'invenzione senza storia, senza profondità, e dunque senza futuro. Le crepe delle coalizioni arriveranno da lì, da Salvini e Conte, leader decaduti, increduli di essere costretti a inseguire Meloni e Schlein.
Ora, però, ci sono mesi senza elezioni. Schlein non ha certo intenzione di affidare ad altri la guida dell'opposizione, ma neppure i rapporti con Meloni a centristi e retro-centristi (intesi come retroscenisti addetti ai centristi). Non lo ha fatto in Europa su Raffaele Fitto, come la premier sa bene, non lo non lo farà quando il parlamento voterà sui giudici della Consulta, e sarebbe un errore scambiare l'Aventino sulla Rai per cedevolezza. Ma la prossima tappa della sfida resta altrove, nel movimento nella società che chi costruisce l'alternativa è in grado di esprimere.
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