Sull’accordo tra Italia e Albania ora dovrà pronunciarsi l’Ue. Già nel giugno 2018, il Consiglio europeo aveva considerato l’idea di piattaforme regionali di sbarco. Ma sia la Commissione europea sia il servizio giuridico del parlamento Ue avevano ritenuto difficilmente realizzabile l’iniziativa
L’accordo sulla realizzazione di centri per in migranti, firmato della presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, e il premier albanese, Edi Rama, circa il quale su queste pagine abbiamo espresso molti dubbi in punto di diritto, è al vaglio dell’Unione europea.
Ma già in passato l’Ue aveva valutato sul piano giuridico la possibilità di centri ove sbarcare migranti soccorsi in mare. Il Consiglio europeo del 28 giugno 2018, incentrato sul tema della migrazione, aveva invitato il Consiglio dell’Ue e la Commissione «a esaminare rapidamente il concetto di piattaforme di sbarco regionali, in stretta cooperazione con i paesi terzi interessati».
La Commissione europea
In risposta all’invito del Consiglio, la Commissione pubblicò un documento nel quale prese in considerazione tre opzioni secondo cui avrebbero potuto essere realizzate le suddette piattaforme. Una di queste era relativa alla possibilità di trattazione delle domande d’asilo in paesi terzi. Vale a dire l’ipotesi in cui rientrerebbe l’accordo con l’Albania.
Secondo la Commissione, quest’ipotesi «richiederebbe l’applicazione extraterritoriale del diritto dell’Ue che attualmente non è né possibile né auspicabile». L’unica strada percorribile sarebbe quella «di istituire un sistema di asilo europeo e tribunali europei per trattare le richieste accompagnate da una struttura di appello a livello europeo», nonché una «distribuzione dei richiedenti asilo tra gli stati membri».
La realizzazione di questa ipotesi richiederebbe modifiche istituzionali, nonché lo stanziamento di ingenti risorse. Anche la possibilità di centri per il rimpatrio situati in paesi terzi, secondo la Commissione, non sarebbe attuabile: ai sensi del diritto dell’Ue, non è consentito mandare qualcuno, contro la sua volontà, in un paese che non sia di origine o di transito.
Dunque, il progetto italiano di istituire centri per i migranti in Albania risulterebbe bocciato in base alle considerazioni della Commissione.
Il parlamento europeo
Nel novembre 2018, anche il servizio giuridico del parlamento europeo, a seguito della richiesta di parere legale presentata dalla commissione per la giustizia e le libertà civili (Libe), si espresse sulla compatibilità di “piattaforme regionali di sbarco” e “centri controllati” rispetto al diritto internazionale e dell’Unione.
Ai migranti soccorsi nelle acque territoriali di uno stato dell’Ue sarebbe applicabile il diritto europeo in materia di asilo, ai sensi del Regolamento di Dublino. Secondo il parere del servizio giuridico, il loro trasporto in centri posti al di fuori dell’Unione potrebbe essere reputato conforme alla normativa Ue solo se i migranti potessero accedere alle procedure di asilo «alle stesse condizioni in cui vi accedono negli stati membri dell’Ue».
Ma – continua il parere – anche se ciò fosse teoricamente possibile, sarebbe comunque «molto difficile (…) sul piano giuridico e pratico», e renderebbe comunque necessario apportare «modifiche sostanziali all’attuale quadro giuridico dell’Ue in materia di asilo».
Pertanto, il primo punto da valutare è se i migranti trattenuti in Albania potranno fruire dei medesimi diritti di cui avrebbero goduto in Italia, e con le medesime modalità. Qualora nei centri albanesi non fossero presenti giudici per convalidare i trattenimenti, avvocati per l’esercizio effettivo del diritto di difesa, in particolare per ricorrere contro decisioni di trattenimento o di espulsione, commissioni territoriali per l’esame della domanda di asilo anche attraverso colloqui individuali, le condizioni per i migranti non potrebbero le stesse di cui avrebbero goduto in Italia.
Quanto al secondo punto, cioè la necessità di modifiche alla disciplina europea sull’asilo, bisogna partire dal presupposto che tale disciplina si applica solo alle domande presentate nel territorio dell’Unione. Dunque, per i migranti salvati da navi della marina militare, che sono territorio italiano, e portati in Albania si verificherebbe una sorta di corto circuito: avendo fatto il primo ingresso in Italia, l’istanza di protezione dovrebbe essere trattata ai sensi diritto europeo; ma il diritto europeo non potrebbe applicarsi in Albania, in quanto stato terzo.
È vero che i centri per i migranti sarebbero sotto la giurisdizione italiana, ma la sovranità territoriale resterebbe comunque all’Albania. Dunque, senza una modifica dell’attuale quadro normativo, non potrebbe farsi ricorso alle regole europee sull’asilo. Nel valutare l’accordo tra Meloni e Rama, l’Ue resterà coerente alle considerazioni espresse nel 2018?
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