Durante una complicata seduta in aula, è stato approvato il pacchetto di emendamenti concordati al decreto semplificazioni che contenteva anche lo sblocco dei crediti del periodo precedente al primo maggio. Il centrodestra ha provato ad affossare una norma sulla facilitazione dell’ingresso dei lavoratori stranieri, ma l’emendamento è stato respinto da centrosinistra e M5s
La Camera ha approvato lo sblocco della cessione dei crediti del superbonus, una delle ragioni per cui il Movimento 5 stelle ha deciso di non votare la fiducia al governo Draghi la settimana scorsa. Nella stessa seduta, l’aula di Montecitorio ha anche respinto un blitz del centrodestra su una norma che facilita l’ingresso nel paese dei lavoratori stranieri.
Nel pacchetto di emendamenti concordati al decreto Semplificazioni uscito dall’esame delle commissioni Finanze e Bilancio della Camera c’è anche una norma che sblocca i crediti generati nel periodo precedente al primo maggio. Si tratta di una delle richieste avanzata dai Cinque stelle negli ultimi giorni del governo Draghi.
Giuseppe Conte aveva parlato più volte della necessità di superare l’impasse. «Dobbiamo risolvere con assoluta urgenza l'incaglio che c'è sulla cessione dei crediti del superbonus, ci sono migliaia di imprese che stanno sull'orlo del fallimento, ci sono famiglie che non possono completare i lavori e noi tutto questo non possiamo permetterlo» diceva a inizio luglio il presidente del Movimento 5 stelle.
La soluzione del problema era anche stata al centro di uno scontro tra Conte e Riccardo Fraccaro, padre nobile della misura, nei giorni della crisi. Mario Draghi aveva aperto a un tavolo per risolvere i problemi legati alla misura cara ai Cinque stelle in uno degli incontri con Conte, ma il presidente del M5s non avrebbe condiviso l’informazione con gli altri parlamentari durante le assemblee. Insomma, sarebbe bastato aspettare qualche giorno per vedere la richiesta accontentata.
Il blitz del centrodestra
È andata diversamente per la proposta del centrodestra di rimuovere l’allentamento delle maglie sulle misure che regolano l’arrivo in Italia dei lavoratori stranieri, cancellando procedimenti penali e amministrativi contenuto nel testo uscito dal Consiglio dei ministri.
Una parte del testo introduce la sospensione «dei procedimenti penali e amministrativi nei confronti del lavoratore» in relazione all’eventuale «ingresso e il soggiorno illegale nel territorio nazionale fino alla conclusione dei procedimenti relativi al rilascio dei permessi di soggiorno».
Dunque, nell’attesa di completare l’iter dell’effettivo rilascio del permesso, si mettono tra parentesi, fino alla potenziale estinzione, le contestazioni giuridiche per soggiorno illegale.
L’emendamento soppressivo, a prima firma del deputato Riccardo Zucconi, responsabile turismo di Fratelli d’Italia, ha raccolto nel corso della discussione in aula il sostegno delle altre forze di centrodestra. È intervenuto anche il ministro del Turismo leghista Massimo Garavaglia, in un primo momento considerato favorevole alla norma. Il provvedimento è stato infatti licenziato dal Consiglio dei ministri con il voto favorevole dei ministri del centrodestra.
Di fronte all’aula, però, Garavaglia ha negato che il provvedimento fosse una sua richiesta, modificando in apparenza il parere negativo del governo. «Rimettiamoci al volere dell’aula» ha detto.
La Lega a quel punto ha invocato l’intervento della ministra dell’Interno Luciana Lamorgese per giustificare «la sanatoria». Una richiesta che ha portato allo scontro con il centrosinistra. Lamorgese non è però intervenuta, mentre ha parlato la sottosegretaria all’economia Maria Cecilia Guerra, spiegando che il parere del governo rimaneva sempre lo stesso, cioè negativo.
L’emendamento, votato da tutto il centrodestra, è stato respinto, quindi la norma resterà. L’episodio diventa però la prova tangibile dello schiacciamento della Lega governista, di cui Garavaglia negli ultimi mesi era un esponente, sulle posizioni estremiste dei salviniani.
Cambio linea dei dem
A riprova del fatto che l’immigrazione sarà uno dei temi più importanti di questa campagna elettorale, lo scontro è continuato nelle commissioni Esteri e Difesa della Camera. Il voto sul rinnovo delle missioni internazionali ha offerto l’occasione ai dem per smarcarsi dal loro storico sostegno alla guardia costiera libica, nota da tempo per la violenza nei confronti dei migranti salvati e riportati in Libia.
«Abbiamo deciso oggi di non votare a favore del rifinanziamento della missione di sostegno alla Guardia costiera libica. L’anno scorso avevamo votato con l’impegno a un percorso di cambiamento. Questo impegno non si è poi realizzato», ha scritto il segretario Enrico Letta su Twitter. Il voto interrompe il sostegno del Pd alla collaborazione con Tripoli ideata dagli allora ministri Marco Minniti e Andrea Orlando nel 2017. Finora gli oppositori della cooperazione erano sempre stati in minoranza nel Pd. «Una battaglia di pochi che finalmente diventa di tutto il partito. A dimostrazione che non bisogna mai rinunciare a una battaglia giusta, anche quando sembra di essere soli contro tutti», ha scritto su Twitter il deputato Matteo Orfini.
Ma da FdI arriva subito l’accusa di volere «rifarsi una verginità politica sulle missioni in Libia» e quella di incoerenza: «Chi ha pensato la missione libica con la Guardia costiera se non i governi del Pd che dal 2013 si sono succeduti? Chi non ha saputo gestire il dossier libico?».
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