- Meloni ha proposto il “blocco navale” per risolvere il problema degli sbarchi. Non si tratta dell’azione militare prevista da normative internazionali, ma di azioni poste in essere, previo accordo tra Ue e Libia, per fermare comunque le partenze dei migranti.
- Sia l’Ue che l’Italia già finanziano la Libia per controllare le frontiere, contrastando il traffico e la tratta di esseri umani. Gli accordi proposti da Meloni costituirebbero un passo ulteriore.
- Il diretto coinvolgimento dei paesi dell’Unione nelle azioni per bloccare i migranti realizzerebbe una sorta di complicità ufficializzata rispetto alle azioni più o meno legali poste essere dai libici per fermare chi parte. I paesi dell’Ue rischierebbero azioni giudiziarie dinanzi alla Corte europea dei diritti umani.
Il tema dell’immigrazione è uno dei più rilevanti della campagna elettorale. Su queste pagine abbiamo già commentato la proposta di Matteo Salvini sull’argomento.
Ora serve spiegare cosa sia il “blocco navale” invocato da Giorgia Meloni, leader di Fratelli d’Italia. Se quest’espressione sia usata in senso tecnico e se sia vero che si tratti di una proposta avanzata dall’Unione europea (Ue) nel 2017, come Meloni afferma. Occorre, inoltre, valutare i problemi giuridici che possono derivare da azioni di contenimento delle migrazioni mediante accordi tra paesi Ue e Libia, come ipotizzato da Meloni.
Il blocco navale
Il tema degli sbarchi si deve affrontare con il «blocco navale, che altro non è che una missione europea per trattare insieme alla Libia la possibilità che si fermino i barconi in partenza; l’apertura in Africa di hotspot, e, in Africa, la valutazione di chi ha il diritto di essere rifugiato e di chi invece è immigrato irregolare; la distribuzione eventuale dall’Africa dei veri profughi, e rispedire indietro gli altri». Questa è la proposta formulata qualche giorno fa da Giorgia Meloni.
Il blocco navale è tecnicamente un’azione militare finalizzata a impedire l’accesso e l’uscita di navi militari e mercantili dai porti di un paese. La misura è prevista dallo statuto delle Nazioni unite, secondo cui il blocco non può essere attivato se non per legittima difesa. Perciò esso è compreso tra gli atti di aggressione dalla risoluzione dell’assemblea generale delle Nazioni unite 3314 del 1974.
Si dubita che Meloni abbia in mente la misura individuata dalle norme citate. E non risponde al vero che nel 2017 l’Ue avesse proposto il blocco navale per fermare l’immigrazione, come titolava un giornale di quell’anno, ripreso in un tweet da Meloni stessa.
Nel 2017, Federica Mogherini, Alto Rappresentante Ue per la politica estera – nella risposta a un’interrogazione su «un blocco navale davanti alle coste della Libia (…) per impedire ai trafficanti di partire con barconi carichi di immigrati» – chiarì che le azioni operative lungo la rotta del Mediterraneo centrale non includevano «una proposta di blocco navale».
Che cos’ha in mente Meloni
Nonostante l’uso del termine “blocco navale” in maniera impropria, Meloni vuole comunque bloccare le partenze dei migranti, mediante collaborazione tra paesi dell’Ue e autorità libiche, prima che essi si avventurino in mare.
Perché se, invece, natanti in difficoltà fossero intercettati in mare da navi poste a difesa confini, esse sarebbero obbligate a soccorrerli e a portare le persone a bordo nel porto più sicuro di sbarco, magari anche in Italia, ai sensi delle norme sul diritto del mare.
Una sorta di collaborazione tra Ue e Libia è in atto da tempo. Come si legge sul sito del Consiglio europeo, «in seguito all’acuirsi della crisi migratoria nel 2015, l’Ue ha attuato misure per un miglior controllo delle frontiere esterne e dei flussi migratori che hanno determinato una riduzione di oltre il 90 per cento degli arrivi irregolari nell’Ue».
Con «controllo delle frontiere esterne» si intendono tutte le azioni mediante le quali gli stati destinatari di flussi di migranti trasferiscono ad altri stati (specie quelli di transito) il controllo dei flussi stessi.
Sul sito del Consiglio sono enumerate iniziative e fondi destinati alla Libia: tra le altre, attività di formazione, fornitura di equipaggiamenti e sostegno a beneficio della guardia costiera nazionale libica.
Il Fondo fiduciario per l’Africa – istituito dalla Commissione europea nel 2015 per un ammontare di oltre 5 miliardi di euro – prevede diverse misure, tra le quali finanziamenti per contribuire a una migliore gestione della migrazione. Nel 2017 l’Ue ha adottato un programma del valore di 42 milioni di euro, tra i cui obiettivi c’è quello di aiutare la guardia di frontiera e costiera libica a sorvegliare e controllare le frontiere, nonché a contrastare il traffico e la tratta di esseri umani, e nel 2018 ha fornito ulteriori 45 milioni di euro.
La cooperazione per impedire le migrazioni irregolari esiste a livello non solo europeo, ma anche nazionale. Il Memorandum d’intesa con la Libia, in vigore dal 2 febbraio 2017, obbliga l’Italia a «fornire supporto tecnico e tecnologico agli organismi libici».
Ciò si è tradotto, tra l’altro, nella consegna alla Libia di motovedette e nell’addestramento dei componenti della guardia costiera, che intercetta i migranti e li porta nei centri definiti «di accoglienza».
Nonostante il sostegno dell’Ue e dell’Italia alla Libia sia volto a prevenire partenze e morti in mare, negli ultimi anni sono state documentate dall’Onu violazioni dei diritti umani da parte delle autorità libiche, con detenzioni arbitrarie in condizioni disumane all’interno di quei centri ove, peraltro, le organizzazioni internazionali hanno accesso limitato, e non possono monitorare la situazione e fornire assistenza come servirebbe.
I problemi
Rispetto al supporto fornito finora dalla Ue alle autorità libiche, l’ipotesi di Meloni relativa alla collaborazione tra i paesi dell’Ue e il paese africano si tradurrebbe in qualcosa in più della mera fornitura di mezzi e risorse per contrastare il traffico e la tratta di esseri umani ed evitare morti in mare.
Il diretto coinvolgimento dei paesi dell’Unione nelle azioni volte a bloccare i migranti, con un mandato alla Libia in questo senso, realizzerebbe una sorta di “complicità” ufficializzata di tali paesi rispetto alle attività più o meno legali poste essere dagli organismi libici per fermare chi volesse partire.
Forse formalmente gli stati dell’Ue non violerebbero il principio di non respingimento se fossero solo le autorità libiche a “sporcarsi le mani”, peraltro nel proprio territorio.
Ma sostanzialmente i paesi dell’Unione sarebbero “complici” di ciò che accade e rischiano di dover rispondere dinanzi alla Corte europea dei diritti dell’uomo di azioni volte a bloccare i migranti in violazione della Cedu, poiché avvenute sotto la propria responsabilità, con un apporto causale sancito in accordi ufficiali, stipulati pur sapendo che la Libia non è uno stato sicuro.
Secondo la proposta di Meloni, in territorio africano andrebbe pure valutato, sotto l’egida dell’Ue, il diritto delle persone alla protezione internazionale. Premesso che pare difficile ipotizzare in Libia un’area totalmente controllata dall’Ue a questo fine e che il diritto di asilo andrebbe esercitato nel paese di destinazione, il rischio che i migranti siano bloccati e trattenuti con maltrattamenti, come detto, rende questo passaggio ulteriore molto problematico.
Dunque, il profilo della responsabilità dei paesi europei non può essere trascurato. Perciò si reputa che difficilmente la proposta di Meloni potrebbe essere accolta dall’Unione.
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