Nel momento in cui conquiste sociali e diritti civili dati acquisiti sembrano essere rimessi in discussione cade un anniversario storico che segnò un vero e proprio spartiacque nella recente storia d’Italia.

Il 12 maggio del 1974 era una domenica; allora come oggi. In quel giorno festivo e il lunedì successivo di 50 anni fa 33 milioni di italiani e italiane si recarono in massa a votare (87,7 per cento) al primo referendum abrogativo nella storia della Repubblica italiana, convocato in seguito alla raccolta di oltre un milione e 350mila firme dal Comitato guidato da Gabrio Lombardi per l’abolizione della legge sul divorzio, approvata il 1 dicembre 1970 dopo una lunga battaglia politica e sociale, a conclusione della più lunga seduta parlamentare della storia.

Quattro anni nel corso dei quali, nonostante vari tentativi di trovare una riforma parlamentare della legge per evitare una frattura fra le diverse componenti sociali del paese, le posizioni fra i due fronti si erano andate radicalizzando.

I due schieramenti 

Da una parte la Dc, condotta da Amintore Fanfani alla crociata del referendum, incurante delle tante voci critiche interne partito, fra i quali quelle di Aldo Moro e Carlo Donnat Cattin, e più in generale del mondo cattolico all’interno del quale nascerà il Movimento Cattolici per il No all’abrogazione. Con il segretario della Dc, l’Msi di Giorgio Almirante, non tanto interessato alla sacralità del matrimonio, al punto da essere divorziato e risposato con donna Assunta, quanto a far guadagnare al partito un ruolo e una legittimità grazie al referendum giocato in chiave anticomunista.

Un sodalizio racchiuso nella folgorante definizione di “fanfascismo”, appoggiato dal Vaticano, dalla Conferenza episcopale e dai Comitati Civici richiamati sulla scena per una nuova crociata. Tutti uniti sotto l’insegna “Dio, patria, famiglia”. Di nuovo, ieri come oggi.

Sul fronte divorzista, schierato per il No al referendum e dunque all’abrogazione della legge, si colloca una variegata alleanza con il Partito Radicale e la Lid, storici alfieri della causa; i partiti storici della sinistra PCI e Psi, il Psdi; i partiti laici Pli e Pri, e poi una pluralità di organizzazioni e movimenti, primo fra i quali il nascente movimento femminista.

Gli slogan e l’informazione

La campagna elettorale è intensa e partecipata, marcata dai toni cupi e minacciosi delle forze antidivorziste, che profetizzano in caso di vittoria del No la fine delle famiglie, l’aumento della delinquenza minorile (Gabrio Lombardi), la fuga dei mariti con le domestiche (Amintore Fanfani) e la vittoria delle Brigate rosse (Giorgio Almirante). «Votare No è peccato mortale» intimano annunci affissi sui muri nell’imminenza del 12 maggio.

Il fronte divorzista replica con registri calmi e argomentazioni razionali per non drammatizzare il tema e non alimentare una guerra di religione: «Chi crede nel matrimonio non ha paura del divorzio» (Psi); «Liberi di restare uniti» (Psdi); «Riflettici, no all’indifferenza»(Pri); «Contro il sopruso, per la libertà» (Pci).

Non furono solo i partiti o le organizzazioni politiche a mobilitarsi. In difesa della legge scesero in campo i principali quotidiani e giornali d’informazione: l’Espresso formato lenzuolo con le sue inchieste e ABC che univa l’emancipazione a ragazze svestite e temi pruriginosi; settimanali femminili quali Grand Hotel e Cosmopolitan; fumetti come Diabolik e Linus con un roboante NO in copertina. Rilevante il coinvolgimento di personaggi dello spettacolo, alcuni dei quali nella loro vita privata si erano confrontati con il tema della separazione e del divorzio.

Per il No Gianni Morandi, Gigi Proietti, Nino Manfredi e Pino Caruso che registrano spot da trasmettere negli intervalli dei film, e poi Monica Vitti e Domenico Modugno, Gino Bramieri e Mike Bongiorno, Gigi Riva e Gianni Rivera, sino al Quartetto Cetra al completo.

Il fronte antidivorzista risponde con: Lino Banfi, Al Bano e Romina Power, Anna Bor­boni, Carlo Campanini, Gigliola Cinquetti, Mariolino Corso, Carlo Dapporto, Alighiero Noschese, Daniele Piombi, Mino Reitano, Gustavo Thoeni, Franco Zeffirelli. Più divorzista appare il mondo del cinema, più antidivorzista quello della Tv, equamente divisi quelli della canzone e dello sport.

Umberto Eco invita i giovani pubblicitari a promuovere interventi diffusi a favore del No placando così le «loro coscienze inquiete». Ed a proposito di pubblicità, Jesus jeans, in linea con la scandalosa campagna «Chi mi ama mi segua» del 1972, il venerdì prima del voto pubblica su alcuni quotidiani l’annuncio «Jesus dice No». Le matite di già affermati o promettenti disegnatori graffiano la patina di perbenismo e ipocrisia degli antidivorzisti: Chiappori, Altan, Forattini, Gal, Reiser.

La Rai, che a lungo aveva forzatamente ignorato il tema, trasmette in quattro settimane 27 Tribune del referendum, dalle quali però sono stati esclusi il Partito radicale e la Lega italiana per il divorzio.

Un’Italia diversa

Il risultato è clamoroso, superando anche le più rosee previsioni, che a dire il vero non erano poi così unanimemente diffuse. Il 59,26 per cento degli elettori votò contro l’abrogazione del divorzio. Una maggioranza che sebbene in percentuali minori si manifestò anche in regioni quali la Sardegna, la Sicilia, la Campania, considerate a torto più tradizionaliste e conservatrici sul tema della famiglia, e che vide un apporto determinante del voto delle donne, un milione e mezzo in più degli uomini.

Sul tema del divorzio, e ancora di più nella campagna elettorale, si fronteggiarono un Italia bigotta, clericale e tradizionalista ed una moderna, laica, progressista. Uno scontro, scrive Moravia «fra ciò che è libero, allegro, sano, razionale, chiaro, su tutto ciò che è timoroso, tetro, malsano, folle, oscuro».

Un cambiamento epocale che capitalizzò i profondi cambiamenti avvenuti in Italia negli anni precedenti nel campo della famiglia, dei diritti, della cittadinanza, che nello sguardo visionario di Pier Paolo Pasolini, era anche il portato della secolarizzazione e delle trasformazioni introdotte dal consumismo e dalla modernità.

Nel bene, o nel male, l’Italia era cambiata. Rivolgersi ai suoi abitanti, soprattutto alle donne, facendo leva sulla paura, la preoccupazione, il pericolo, toni che nel 1948 si erano rivelati vincenti, fu un grave errore. Iniziava la stagione delle conquiste civili ma anche una nuova pagina della storia d’Italia.


Divorzio. Storia e immagini del referendum che cambiò l’Italia (Carocci 2024, pp. 224, euro 24) è un saggio di Edoardo Novelli e Gianandrea Turi

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