Quattro referendum sul lavoro, fra cui quello per cancellare il Jobs act, il quesito per abrogare l’Autonomia differenziata e, da ieri pomeriggio, anche quello per accorciare i tempi per ottenere la cittadinanza italiana.

Se gli astri si allineassero, ovvero se i sei testi passassero tutti il vaglio della Cassazione e soprattutto quello della Corte Costituzionale, in un giorno compreso fra il 15 aprile e il 15 giugno 2025 si materializzerebbe il giorno del giudizio universale per il governo.

Un voto “fine di mondo” innescato al principio dalla Cgil che, dopo aver raccolto le firme sui quesiti sul lavoro (4 milioni, firme raccolte ai banchetti con l’olio di gomito dei militanti), ha lanciato la battaglia contro il ddl Calderoli, appena sfornato dal parlamento. Al sindacato si sono unite decine di associazioni e i partiti del centrosinistra (tranne Azione, stavolta invece Iv è della partita).

Trentaquattro sigle, la foto del deposito delle firme al Palazzaccio di Roma ha suscitato qualche ilarità: una quarantina di presenti al fianco di Maurizio Landini, da Schlein a Boschi a Bindi, a Conte, Fratoianni e Bonelli, c’erano anche Raniero La Valle e l’ex ministro Bassanini, Ciani di Demos e Acerbo del Prc, una versione extralarge del centrosinistra. A metà raccolta si è inserita la piattaforma digitale. Domani il comitato promotore, Cgil in testa, depositerà le firme alla Cassazione: alla fine saranno oltre il milione, quasi la metà cartacee.

Da ieri c’è anche l’ultimo referendum, lanciato il 6 settembre da Riccardo Magi (+Europa) con le associazioni (fra cui A Buon Diritto, Cittadinanzattiva, Arci, ItalianiSenzaCittadinanza, stamattina alle 11 hanno convocato una conferenza alla Stampa estera). Una scelta ardita, dato il poco tempo (la raccolta chiude il 30 settembre). Il 14 settembre ha firmato anche Elly Schlein. E soprattutto sono arrivati gli artisti e gli sportivi: Julio Velasco, Zerocalcare, Ghali, Roberto Saviano e Alessandro Barbero.

Ieri il countdown per la vittoria è scattato nel pomeriggio. Erano scoccate da poco le 16 quando sul sito del ministero della Giustizia il cerchio azzurro si è chiuso: cento per cento, dice la schermata. Tradotto: il quesito ha scavallato le 500mila firme, in serata erano quasi cinquantamila oltre. Propone di dimezzare i tempi per ottenere la cittadinanza italiana da 10 a 5 anni, com’era previsto dalla legge prima del 1992, e lascia invariati i requisiti richiesti (conoscenza dell’italiano, possesso di adeguate fonti economiche e tasse pagate, assenza di cause ostative collegate alla sicurezza della Repubblica).

L’assalto alla piattaforma

Dalla Camera un gruppo di parlamentari, guidati da Magi, escono in piazza per un festeggiamento simbolico con le associazioni. Il successo ha del miracoloso. Soprattutto dopo il lunedì nero in cui la piattaforma digitale è crollata. Le “scuse” del ministero di Nordio sono un’ammissione di colpa. Le due ore in cui si è impallata sono dovute «a una richiesta eccezionale di accessi che ha portato ad oltre sessantamila tentativi in un’ora, causando il blocco del sistema».

Il popolo ha esagerato, dunque. Anche ieri chi voleva firmare doveva mettersi in coda e attendere «quando sarà il tuo turno». Solo la tigna di centinaia di migliaia di utenti ha battuto la debolezza di una piattaforma, evidentemente programmata con un certo scetticismo nei confronti della partecipazione. Secondo YouTrend l’ultima spinta per raggiungere l’obiettivo l’ha data il Nord: Emilia-Romagna, Piemonte, Lombardia, e poi anche Lazio e Toscana, le regioni con la maggiore presenza di stranieri residenti.

Perché si materializzi il giorno del giudizio universale referendario ora bisogna aspettare febbraio, i verdetti della Corte Costituzionale. C’è una scuola di pensiero costituzionale, su cui conta il ministro Calderoli, che ritiene inammissibile il testo sull’Autonomia, fra l’altro perché collegata alla legge di Bilancio per il 2024.

Quanto al quesito sulla cittadinanza, alcuni giuristi sostengono che il tentativo di far «rivivere» la legge precedente è già stato escluso dalla Corte (sentenza numero 13 del 2012 che ha bocciato la «reviviscenza» tramite abrogazione di norme). Non resta che aspettare. A febbraio la Consulta potrebbe essere reintegrata con quattro nuovi giudici, almeno tre dei quali indicati dalla maggioranza, quindi in teoria non favorevoli ai referendari.

Forza Italia si mette in moto

La maggioranza per il momento ostenta poca preoccupazione. Anche se si segnala il lavorìo di Forza Italia. Che dopo un’estate di dichiarazioni favorevoli a migliorare la legge sulla cittadinanza, lo scorso 11 settembre si è trovata costretta, per disciplina di coalizione, a votare no non solo alle proposte delle opposizioni, ma anche alla propria, messa nero su bianco da Azione. In quell’occasione in aula il deputato Paolo Emilio Russo ha annunciato un vago testo forzista. Che però, nella versione spoilerata da Maurizio Gasparri, «è perfino più rigida della legge vigente».

Ora l’onda referendaria ha messo un po’ di ansia al partito di Tajani. Così ieri è arrivata una convocazione dei parlamentari, per il pomeriggio di domani, «per mettere a punto la proposta di legge del partito sulla cittadinanza». La maggioranza dei parlamentari forzisti però non sa di che si tratta: c’è chi spiega che farebbe scendere a 16 anni, da 18, la possibilità di chiedere la cittadinanza per i figli di stranieri d’Italia, a requisiti invariati se non persino irrigiditi.

Russo assicura che su questo testo ci sarà il consenso anche di FdI e Lega. Ma se fosse una legge “migliorativa” questo consenso non arriverebbe. In ogni caso, un testo incardinato in parlamento può tornare utile. Se il quesito fosse approvato dalla Consulta, la maggioranza potrebbe sempre provare a disinnescarlo: provando a convincere la Cassazione che il parlamento ha approvato una legge che lo supera.

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