- «I fatti di cui parlano le inchieste sono inauditi. Il danno che possono fare alla sinistra e al sindacato è incalcolabile. Se Panzeri e gli altri indagati sono responsabili di quello che gli è contestato, gli effetti sono saranno pesantissimi sulle organizzazioni delle quali hanno fatto parte, sul parlamento europeo e sui socialisti».
- «La credibilità futura di Bruxelles è legata al cambio delle regole. I temi dei diritti umani feriscono in profondità le istituzioni. Ma potrebbero esserci pressioni ugualmente inaccettabili sui temi economici».
- «Gli ex che si danno agli affari? Anche dove è lecito, rischiano di mettere in discussione non solo la loro reputazione e la loro storia, ma anche quella delle organizzazioni che hanno guidato, e i suoi militanti. È una responsabilità che resta, anche quando gli incarichi non ci sono più».
«Il parlamento europeo è in crisi di credibilità, il danno del caso Qatar sulla sinistra e sul sindacato è inestimabile». Per Sergio Cofferati, ex leader della Cgil ed ex europarlamentare, i Socialisti europei e il Pd devono assumersi le responsabilità dell’omesso controllo. E gli ex politici di sinistra che si danno agli affari anche quelli legali, devono ricordarsi che rovinano non solo la propria storia ma quella dei militanti.
Sergio Cofferati, la famosa “questione morale”, qualsiasi interpretazione si voglia dare alle parole di Enrico Berlinguer del 1981, si abbatte sulla sinistra italiana di nuovo, quarant’anni dopo?
Il caso Qatar, anche solo per i fatti fin qui appurati, ci pone di fronte un quadro di responsabilità gravissime. Le corruzione è inaccettabile sempre, ma se serve a dare credibilità a chi non dovrebbe averla, perché non rispetta la democrazia e i diritti delle persone, la corruzione diventa devastante.
Lei conosce l’ex europarlamentare Antonio Panzeri da molto tempo. Era un dirigente della Cgil nei suoi anni, un suo compagno. Non eravate politicamente affini. Perché?
Per cultura politica. Ma questo non c’entra con le vicende di cui parliamo. Un conto è la dialettica politica, anche quella sindacale, con le sue divergenze e anche i suoi conflitti. I fatti di cui parlano le inchieste per me sono inauditi, inimmaginabili. La quantità di danno che possono fare alla sinistra e al sindacato è incalcolabile. Se lui e gli altri indagati si sono resi responsabili dei fatti molto gravi che gli sono contestati, si tratterebbe di comportamenti radicalmente all’opposto della sua appartenenza politica e sindacale. Gli effetti sono già pesantissimi sulle organizzazioni delle quali hanno fatto parte, e sono ombre che si allungano sul parlamento europeo e sulle forze politiche, sui socialisti in particolare.
Lei è stato europarlamentare. Può davvero succedere che circolino soldi, metaforicamente ma forse non solo, negli uffici accanto e i dirimpettai non se ne accorgano?
Purtroppo è possibile. Le istituzioni europee non hanno regole vincolanti nel rapporto con le attività di lobby, sia quelle economiche che quelle sociali, che quelle politiche. E questo consente un’attività parallela che non è mai trasparente. E la mancanza di trasparenza finisce per incrementare la violazione delle regole di comportamento e, peggio, le leggi. Non è scontato rendersene conto perché le attività delle commissioni sono separate, e solo in alcune circostanze diventano oggetto di discussione collettiva. Anche per questo dovrebbe essere obbligatorio, anche nei gruppi, un confronto preventivo, in trasparenza.
Quindi è possibile che anche persone vicinissime a chi faceva questi «intrallazzi», per usare il termine di una indagata, potessero non sapere?
Sì. Anche perché se qualcuno aveva sentore di qualcosa avrebbe dovuto dirlo. E invece non mi pare che qualcuno lo abbia fatto.
La credibilità del parlamento europeo è al minimo storico. In tema di accuse di corruzione ad altri, stato di diritto, diritti umani gli sarà difficile prendere parola. È uno scacco irrimediabile, finale?
È un colpo terribile, e gli effetti dureranno nel tempo. Se si vuole provare a rimediare, i partiti non solo devono condannare in esplicito, e chiaramente, quello che è già stato appurato. Il Pd e i Socialisti si sono subito dichiarati parte lesa, ma comunque vadano le inchieste, c’è stata almeno un’omessa vigilanza, e di questi i partiti debbono prendersi la responsabilità. La credibilità futura è legata al cambio delle regole e alla modalità di comportamento. I temi dei diritti umani sono delicati, feriscono in profondità la credibilità delle istituzioni. Ma potrebbero esserci pressioni ugualmente inaccettabili sui temi economici.
Ad esempio?
Ad esempio potrebbero esserci inquinamenti dove si discute di provvedimenti economici, dall’energia all’ambiente. Se in una commissione ci sono persone influenzate, in qualche maniera, da chi ha interesse a provvedimenti specifici sul campo, siamo in grado davvero di saperlo in trasparenza? Non mi pare. Quindi se il parlamento vuole recuperare credibilità non può limitarsi ai documenti di condanna delle “mele marce”, che sono indispensabili ma anche il minimo sindacale. Deve promuovere un rapido e rigoroso cambio di regole del proprio lavoro quotidiano. Se non fa questo, e continua con un modello di lavoro poco trasparente, perpetua le condizioni per cui qualcuno fenomeni di questo genere possono accadere.
Ma basta un giro di vite alle regole sulle lobby?
È indispensabile ma no, non basta. Ci sono le persone. E sono diverse. In questa vicenda l’incoerenza dei comportamenti con i propri ideali è una delle cose che colpisce di più. La corruzione è sempre insopportabile, ma in questo caso è al fine di proteggere chi nega i diritti alle persone e non accetta la democrazia. E questo non deve capitare per un’organizzazione politica, e ancora di più se di sinistra e ha nei suoi valori fondativi la democrazia e i diritti.
Non deve, ma capita. I famosi “anticorpi”, se esistono, in cosa consistono?
Guardi è meno difficile di quello che sembra: serve la pratica costante della trasparenza, anche dei comportamenti, e dei voti, e la costante verifica fra i comportamenti e valori. La dialettica va bene, ma fra ipotesi che stanno nel campo dei propri valori.
Ma questo porterebbe a dire che chiunque ha un parere diverso sul Qatar, o sulla Russia, è pagato.
Non dico questo. Ma dove c’è un dubbio, la trasparenza aiuta sempre. È un lavoro impegnativo, ma chi fa politica dentro un’organizzazione, grande o piccola che sia, deve farlo.
La destra attacca la sinistra e le istituzioni comunitarie, è difficile per voi controbattere.
No, non è difficile rispondere che sono strumentalizzazioni sciocche, meglio per tutti non tenere la contabilità dei corrotti. Ma il punto resta: per la sinistra si pone un problema più grande che per la destra. Quando emerge in maniera così vistosa e devastante il baratro fra gli ideali dichiarati e i comportamenti pratici, la sinistra si deve interrogare. E guardare dentro sé stessa a fondo. Le pratiche dovrebbero avere maglie strette, tali da non far passare fenomeni del genere. Il discredito che ne deriva è pesante. E questo riguarda anche il sindacato, nazionale, europeo e internazionale, a prescindere dal coinvolgimento o meno nel caso Qatar.
Che significa?
Tutta la vicenda qatarina è anche conseguenza della scelta di far svolgere un Mondiale in quel paese. Una conseguenza indiretta quanto vogliamo, ma lo è. Un paese in cui per realizzare le strutture e le infrastrutture vengono clamorosamente lesi i diritti delle persone. E siccome è una cosa nota, non ci si può limitare a fare commenti, o comunicati. Basta pensare al numero di morti che ci sono stati nella costruzione degli stadi e negli alberghi nel Qatar, nel silenzio generale. Questo è un terreno su cui il sindacato deve agire. Agire per tempo, però, non dopo.
Il tema interessa anche il Pd, che discute al suo interno per cambiare il suo nome in Partito democratico e del lavoro. Lei ne sarebbe contento?
I nomi sono la conseguenza delle cose. Il Pd è il partito del Jobs act. Prima ritrovi le ragioni della propria esistenza, poi cerchi un nome coerente.
Lei è un ex europarlamentare, un ex leader politico e un ex leader sindacale. Molti suoi colleghi ex, una volta lasciati gli incarichi si dedicano a ong, a fondazioni. Gli ex premier offrono i loro servigi a società di consulenza, e intermediazioni a governi a caccia di affari. È il caso di Massimo D’Alema, ma anche di Matteo Renzi, e prima di Gerhard Schröder e Tony Blair. I socialdemocratici sembrano particolarmente ricercati. Lei ha preso qualche lavoro così?
No. Perché secondo me questa è una cosa che non va bene. Usare la competenza e le relazioni maturate in altra sede e in altro modo, andrebbe evitato. Anche dove è tutto lecito, si pone un problema di opportunità. E uno anche più grande: rischi di mettere in discussione, in cattiva luce, non solo la tua reputazione e la tua storia, della quale ciascuno è libero di fare ciò che vuole, ma anche quella delle organizzazioni che hai guidato, quella dei suoi militanti. È una responsabilità che resta, anche quando gli incarichi politici non ci sono più, una responsabilità in una storia collettiva. Mi stupisce che grandi leader politici, non solo italiani, smettano di sentirla.
© Riproduzione riservata