-
Securitaria sui rave ma con un ministro garantista, statalista sul Covid ma con un alleato autonomista, draghiana in Ue ma con una base sovranista. Su tutti i dossier gli alleati sabotano le decisioni della premier.
-
Sul reintegro dei medici no vax, annunciato senza consultare la conferenza Stato-regioni, fa emergere l’inconciliabilità dell’impianto presidenziale e accentratore che è nel dna di Meloni con il progetto autonomista, che è la spina dorsale della Lega.
-
Nella fase delle nomine era possibile usare la ghigliottina del «decido io» davanti all’inconciliabilità degli alleati e passare oltre, ora arrivano i guai di un governo che deve scegliere cosa fare e farlo in modo concertato.
Giorgia Meloni ha un problema e a farlo emergere sono bastati una settimana di governo e un disastroso consiglio dei ministri. La presidente del Consiglio non è stata in grado di fare una sintesi politica su nessuna delle prime questioni che lei stessa ha posto all’ordine del giorno – giustizia, Covid e soluzioni economiche – e ogni volta che fa un passo avanti la sua maggioranza la costringe a farne due indietro.
Dopo due giorni di silenzio ha rivendicato «con orgoglio» il nuovo reato anti-rave, che prevede carcere e intercettazioni per gli organizzatori e pone profili di incostituzionalità, ma il testo è già stato bocciato da una parte della sua stessa maggioranza. Forza Italia ha già annunciato che, se non lo farà il governo, presenterà un emendamento per riscrivere la norma, abbassando le pene e la possibilità di intercettare e circoscrivendo la portata della fattispecie penale.
Il suo ministro della Giustizia, Carlo Nordio – da Meloni candidato e voluto in via Arenula – è in imbarazzo di fronte alla radicale contraddizione rispetto al suo profilo garantista. Non sono a questo punto chiare le ragioni politiche che hanno spinto la premier a scegliere un ministro di scuola liberale se il suo esecutivo va verso una stretta securitaria, fondata su manette e intercettazioni.
L’autonomia
La stessa fretta di fare, ma senza un coordinamento politico, emerge anche sul tema del reintegro negli ospedali dei medici non vaccinati. Annunciato dopo il Consiglio dei ministri senza avvertire né consultare la Conferenza stato-regioni, ha subito generato risposte negative da parte delle regioni Campania e Puglia. La reazione del governo Meloni, per voce del sottosegretario di Fratelli d’Italia Marcello Gemmato, è stata minacciare impugnazioni, all’insegna del primato dello stato centrale in una materia come quella sanitaria che è di competenza concorrente con le regioni.
Probabilmente la questione finirà davanti al giudice del lavoro, per un contenzioso tra le Asl e i medici No-vax, ma l’arrembante decisionismo della centralista Meloni ha fatto saltare ogni passaggio istituzionale che avrebbe trasformato l’iniziativa calata dall’alto in un percorso condiviso con le regioni.
Questo pasticcio gestionale fa emergere l’inconciliabilità dell’impianto presidenziale e accentratore che è nel Dna di Meloni con il progetto autonomista, che è la spina dorsale della Lega. Difficile immaginare che questo metodo di lavoro possa andare di pari passo con l’iniziativa del ministro per gli Affari regionali, Roberto Calderoli, che sta già progettando con i presidenti delle regioni una bozza di legge quadro per promuovere le autonomie differenziate.
L’economia
Anche sull’economia manca una sintesi nell’ottica della discontinuità propagandata dall’esecutivo. Il primo passo falso per compiacere l’alleato leghista è stato l’annuncio dell’innalzamento del tetto al contante – prima a 10mila euro, poi si è ipotizzato l’abbassamento a 5mila e ora chissà – che è stato derubricato a tema irrilevante da Forza Italia e difeso senza convinzione anche da chi lo aveva proposto.
Nel suo primo viaggio ufficiale in Europa, Meloni deve trovare una chiave di dialogo coi vertici istituzionali in una sciagurata fase di crisi energetica ed economica. Per questo la linea della premier, che sarebbe stata eletta in antagonismo con la cosiddetta “agenda Draghi”, sta prudentemente ricalcando quella del suo predecessore, in vista della «corsa contro il tempo» per la legge di Bilancio. Peccato che parallelamente il ministro delle Infrastrutture, Matteo Salvini, annunci flat tax, pace fiscale e quota 41 per le pensioni, «costi quel che costi».
Nella fase delle nomine era possibile usare la ghigliottina del “decido io” davanti all’inconciliabilità degli alleati e passare oltre, forte del peso del successo elettorale di Fratelli d’Italia.
Ora arrivano i guai di un governo che deve scegliere cosa fare e, per non impantanarsi nelle infinite ritrattazioni a cui già si sta assistendo, farlo in modo concertato. Invece Meloni si sta scontrando con il limite strutturale di una maggioranza numericamente solida, unita nella volontà di comandare ma divisa su tutto il resto. Per ora ha scelto di ignorare il problema, ma facile pronostico è che si ingigantisca invece che sparire.
© Riproduzione riservata