- Al congresso Cgil Landini riunisce i leader delle opposizioni. Schlein propone di lavorare insieme. Calenda accetta però chiarisce: «Ma non governare insieme, non condivido la linea di politica estera, e su molti temi siamo agli antipodi». Fischi dai delegati.
- Schlein ci riprova: «Chiudiamoci in una stanza, anche fino a notte fonda, per trovare qualcosa da fare insieme». Ma il leader di Azione puntualizza: «Non sarà un comitato di liberazione nazionale, siamo in democrazia».
- Conte cerca un ruolo fra i due: rivendica la vicinanza con il sindacato e la primogenitura sul salario minimo, che il giorno prima la segretaria dem ha rilanciato in aula al question time con la premier Meloni.
Il centrosinistra largo dal Pd ai Cinque stelle passando per i rossoverdi e il Terzo Polo non ci sarà più. In politica mai dire mai, ma stavolta una parola chiara arriva da Carlo Calenda, e gela il segretario del sindacato Maurizio Landini e la giornalista Lucia Annunziata, che hanno invitato tutti i leader del centrosinistra sul palco del Congresso della Cgil a Rimini per provare a metterli insieme su qualche battaglia.
Le battaglie comuni ci saranno, ma oltre non si andrà, almeno prima del voto politico: «Alla domanda posta da Maurizio Landini che vuole sapere se potrei mai governare con chi è seduto su questo palco, rispondo subito e dico no, non ci potrei governare, in primo luogo perché non condivido la linea di politica estera» e poi perché «su molti temi siamo agli antipodi».
Sul palco ci sono Elly Schlein, Giuseppe Conte e Nicola Fratoianni. Non è la prima volta che si trovano in questa formazione, nel luglio del 2022 si erano ritrovati, sempre in un’iniziativa della Cgil. C’era il governo Draghi, e fra loro c’era anche Enrico Letta, allora segretario del Pd, e Roberto Speranza, allora leader di Art.1 e ministro della sanità. Landini, che ci aveva evidentemente visto lungo, aveva però invitato anche Elly Schlein, lì come vicepresidente dell’Emilia-Romagna ma anche voce di movimento.
Oggi Schlein è segretaria del Pd, ed è stata eletta con molte aspettative. Una delle quali è rimettere insieme la coalizione. Conte, che aveva accarezzato l’idea di intestarsi il titolo di partito della sinistra, oggi cerca di ricavarsi un ruolo: rivendica la vicinanza con la Cgil e la primogenitura sulla battaglia del salario minimo, che il giorno prima la segretaria dem ha rilanciato in aula al question time con la premier Giorgia Meloni. Ma è Calenda a fare la notizia quando risponde no a una qualsiasi rinascita del centrosinistra con Pd, rossoverdi e Cinque stelle.
All you need is love
La platea dei delegati sindacali fischia, lui risponde a tono. A tutti. «Volete che vi dica All you need is love o come stanno le cose?». Poi si rivolge a Conte che gli ha appena detto che il jobs act è stato «un fallimento». Replica: «Ha creato 1.200.000 occupati in più».
Calenda non si contiene: al presidente M5S che ironizza sul fatto che il Terzo Polo abbia votato qualche provvedimento con la maggioranza, nega e si rivolge al pubblico: «Qualcuno sa dire cosa? No? E allora non fate i pecoroni». Lavorare insieme si può ma bisogna cercare «terreni comuni», «Altrimenti se mettiamo solo bandierine il governo esce rafforzato», «Voglio fare delle cose insieme con opposizione ma non possiamo farle se non ci chiariamo sul come e sulle priorità».
Per consolare i presenti, il leader di Azione però si dice disponibile a unire le forze all’opposizione. Non su tutto. Non sulla patrimoniale, «in Francia ha fruttato solo 400mila euro», ma sul sistema sanitario sanitario nazionale.
È tutto quello che può portare a casa Schlein. Che però è veloce a trasformare la delusione per la chiusura della porta dell’alleanza in una mezza apertura: «Dobbiamo proseguire il confronto su tutti i contenuti per essere più efficaci nel nostro ruolo di opposizione, chiudiamoci in una stanza, anche fino a notte fonda, per trovare qualcosa da fare insieme».
Calenda accetta, ma puntualizza ancora: «Un confronto sul merito sempre, non c’è mai una preclusione ideologica. Ma non sarà un comitato di liberazione nazionale, perché siamo in democrazia. Ci sono punti che ci dividono profondamente e altri su cui possiamo lavorare insieme. E abbiamo il dovere di farlo».
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