- Cauto il leader dem sul vaffa di Grillo a Conte: «Il governo Draghi non è a rischio. Ma è il momento di unire, non di dividere».
- «Se si protrae la mancanza di chiarezza, alla partita del Colle il centrosinistra», cioè Pd, Leu e M5S, «da potenziale maggioranza che può determinare una scelta, si presenterà come una minoranza sparsa».
- Nei vertici del Pd il sentimento verso l’ex premier resta, ma c’è la consapevolezza che per una sua autonoma creatura politica sogna di arruolare anche qualche dirigente della ditta.
Enrico Letta sta presentando il suo libro L’anima e il cacciavite a Bologna quando Beppe Grillo, dal blog, invia il suo più clamoroso e inaspettato vaffa all’ex pupillo Giuseppe Conte, che liquida con un feroce «non ha né visione politica, né capacità manageriali. Non ha esperienza di organizzazioni, né capacità di innovazione». Uno strappo che non può non scuotere anche il Pd: l’alleato strategico per la costruzione del fronte di centrosinistra contro le destre si avvia verso una scissione. Quindi rischia di sgretolarsi l’ipotesi stessa dell’alleanza per mancanza del soggetto alleabile.
Il commento del segretario è cauto e sorvegliato: «Il Pd sta col Pd. Noi facciamo il nostro percorso. Poi guardiamo questo momento di rottura con preoccupazione, ma anche con profondissimo rispetto». Fino a lì la versione ufficiale del Pd sul travaglio dei Cinque stelle è che non si tratta «di una preoccupazione in sé». Il comico è il vero artefice dell’appoggio di Draghi da parte del movimento. Dall’altra parte l’ex premier, viene spiegato a più voci, qualsiasi cosa decida di fare, «ha già chiarito che starà nel centrosinistra, anche perché condivide l’analisi del Pd, e cioè che quella italiana è la peggiore destra europea, nazionalista e populista, e da quattro anni sta stabilmente sopra il 40 per cento».
Una destra che nelle convinzioni del segretario del Pd si può battere. Sempre le stesse voci assicurano che dunque, comunque vada nel Movimento 5 stelle, il governo Draghi non subirà contraccolpi, «o nel caso non più di quelli che ha subìto quando il 21 aprile due ministri leghisti, per ordine di Matteo Salvini, si sono astenuti sul decreto riaperture».
Giallorossi per il Colle
Eppure lo strappo di ieri è l’inizio ufficiale dei giorni del caos. «Un caos, una confusione, un disordine pericoloso. Il fattore tempo è determinante» per una ragione specifica: «Se si protrae la mancanza di chiarezza, alla partita del Colle il centrosinistra», e qui si intende Pd, Leu e M5S, «da potenziale maggioranza che può determinare una scelta, si presenterà come una minoranza sparsa. E dunque lascerà spazi a chi ha già avvertito che vuole fare la regia di quell’elezione, magari d’intesa con le destre». E qui l’allusione è a Matteo Renzi. Per questo «È il momento di unire, non di dividere», dice Letta da Bologna.
La versione ufficiosa aggiunge qualche elemento per capire meglio a che punto stanno i rapporti fra Enrico Letta e Giuseppe Conte, che in queste ore si sono sentiti. I due erano stretti e di grande intesa fino alla scelta della candidata in Calabria Maria Antonietta Ventura. Una decisione condivisa, quella sulla corsa dell’imprenditrice, che però di giorno in giorno si rivela una mezza trappola per il Pd, che in quella regione è oggi un partito assai più forte dei Cinque stelle: Ventura, peraltro portatrice di un irrisolvibile conflitto di interessi nel settore delle costruzioni ferroviarie, ha spiegato di non essere «né di destra né di sinistra»: e le sardine calabresi, che Letta ascolta con grande attenzione e che vorrebbe coinvolgere nelle Agorà democratiche, hanno lanciato un grido di allarme: «Fermatevi o la destra vi sbaraglierà».
Torniamo a Conte. Nei vertici del Pd il sentimento di amicizia resta, ma c’è la consapevolezza che per una sua autonoma creatura politica – fin qui smentita ma in realtà già disegnata da tempo, da quando aveva testato la possibilità di cambiare nome ai Cinque stelle – l’ex premier sogna di arruolare anche qualche dirigente dem. È solo un’ipotesi, che non gli riuscirà, ma certo assomiglia un po’ a un’opa ostile. Del resto prima che cadesse il governo giallorosso gli scambi erano intensi con molti dirigenti, non solo quelli pubblicamente titolari di un rapporto di amicizia, come Goffredo Bettini e Francesco Boccia. In quella fase Conte aveva provato a coinvolgere anche Art.1 nel progetto di una sua forza politica; e aveva trovato orecchie attente e non insensibili.
Letta però non teme defezioni. Intanto la formazione politica di Conte al momento è un’ipotesi. E poi, spiegano fonti del Nazareno, «certe tentazioni se mai ci sono stata ormai sono rientrate perché stiamo rafforzando il nostro profilo identitario». Tanto più che alcune rilevazioni indicherebbero che non c’è un accavallamento di elettorato fra Pd e M5s; che addirittura anzi il Pd beneficerebbe di una eventuale formazione politica di Conte a patto che avesse quella accentuata vocazione all’ecologia integrale che l’ex premier aveva indicato all’inizio come architrave del rinnovamento. È vero che di questa vocazione si sono perse le tracce. E non si capisce se è centrale nella bozza dello statuto dell’ex premier. A saperlo è solo Grillo: come ha rivelato per primo il deputato Luigi Gallo al quotidiano il manifesto, «lo statuto contestato è ignoto a tutti noi». A ieri continuava ad essere così, se anche il sottosegretario Carlo Sibilia chiedeva di «vedere le carte».
© Riproduzione riservata