Il mese della verità. Novembre per il Movimento 5 stelle dovrà portare una lunga serie di risposte, o almeno raddrizzare un corso che si sta rivelando molto poco premiante per Giuseppe Conte. Il primo appuntamento è già archiviato: gli Stati generali Rai organizzati da Barbara Floridia sono andati in scena con un buon successo di pubblico, anche se pure in zona Cinque stelle c’è perplessità sui prossimi sviluppi sul dossier presidenza.

La vicenda di Simona Agnes è bloccata in commissione Vigilanza da quando la destra ha deciso di boicottare le sedute facendo mancare il numero legale per non costringere la consigliera di area azzurra a fare i conti con una sconfitta ai voti. Il tema – sottolineano in ambienti M5s – non era all’ordine dell’evento di Floridia, calibrato sulla riforma che dovrà essere discussa nei prossimi mesi: «La narrazione che ci sia uno scambio Stati generali-poltrone è semplicemente inventata». Insomma, nulla è cambiato, i Cinque stelle continuano a contestare il metodo di selezione della candidata.

Meno rigidità invece sulla linea – condivisa in un primo momento con il resto delle opposizioni – di chiedere prima la riforma e poi le nuove nomine. «Insieme ad Avs abbiamo capito che era il caso di sbloccare il processo di incardinamento della riforma e le prime proposte sono già arrivate» è il ragionamento che filtra e che ha portato il M5s a votare per Roberto Natale. Il Pd è ormai isolato nella sua posizione: all’evento di Floridia ha partecipato nella figura del commissario Antonio Nicita, anche se da via di Campo Marzio si sottolinea come fossero presenti molti intellettuali d’area. Nessun segnale di ostilità, giurano i Cinque stelle.

Regionali e assemblea

Resta invece un generico sentimento di preoccupazione per quanto riguarda gli ascolti in calo del servizio pubblico e il litigio interno alla maggioranza sul canone: Floridia, fanno intendere, vorrebbe una linea rossa di fondi minimi da fornire alla Rai, possibilmente in arrivo dalla fiscalità generale, come prevede la proposta di legge firmata dai Cinque stelle.

Per il Movimento è quella la chiave per rendere il contributo progressivo, anche se c’è un tema di indirizzo dei fondi da parte dell’esecutivo e una questione di ripartizione dell’onere soltanto sulle spalle di chi non evade. Filtra anche un certo risentimento per il fatto che i vertici Rai presenti non si siano occupati in maniera più incisiva dei tagli e che si sia sfruttata l’occasione per dare contro a trasmissioni considerate ostili.

E poi, c’è la questione delle regionali. Stiamo per entrare nell’ultima settimana di campagna elettorale e Alessandra Todde, finora unica presidente di regione di fede pentastellata, non esita a farsi ritrarre sul palco di Terni assieme a Elly Schlein e alla candidata Stefania Proietti. Eppure, da via di Campo Marzio si ribadisce che non si è mai parlato di alleanza strutturale, quindi «non c’è alcuna interruzione di alleanze da certificare» nell’assemblea in programma per fine mese.

La possibilità più quotata attualmente sembra però quella che si vada verso quella che nel partito è già stata ribattezzata “linea Travaglio”. Che prevederebbe un’astensione dalle competizioni sul territorio per riproporsi come partner al Pd in prossimità delle elezioni del 2027: il viaggio alla ricerca della propria identità lontano dalle alleanze è difeso soprattutto da Chiara Appendino, che in questo contesto si ritrova in una posizione maggioritaria ma diametralmente opposta a quella di Todde. La presidente della Sardegna non vuole infatti vedere compromesso il sostegno dem alla sua giunta regionale.

Nova – è questo il nome che il Movimento ha scelto per la sua assemblea – darà dunque all’ex premier l’occasione per l’ennesima ripartenza dopo una doppietta di regionali che non darà troppe soddisfazioni. «Il coinvolgimento della base è un alibi per Conte: se le decisioni prese si riveleranno sbagliate, non sarà colpa del presidente» dice chi conosce bene il Movimento. Si deciderà del limite al secondo mandato – che secondo qualcuno è già cosa del passato – ma il timore dei parlamentari è che l’evento venga letto come un modo di ripiegarsi su sé stessi.

«Se veniamo ormai percepiti senza un’identità è colpa delle nostre posizioni sui temi che occupano i pensieri della gente, non della nostra organizzazione interna» osservano dal partito. E in effetti, la confusione è tangibile: basta guardare all’ultima settimana, quando il trumpismo degli elettori Cinque stelle è precipitato in un comunicato piuttosto ambiguo del gruppo M5s all’europarlamento. «A Donald Trump facciamo le nostre congratulazioni per la elezione a Presidente degli Stati Uniti d’America», la cui vittoria «è innanzitutto una lezione per tutti i finti progressisti liberisti e globalisti che hanno ammainato la bandiera della pace per sposare ogni spinta guerrafondaia». In un sondaggio Piepoli per Rai News, il 54 per cento dell’elettorato Cinque stelle aveva indicato che, fosse stato americano, avrebbe votato Trump (contro il 21 per cento che teneva per Kamala Harris). Il capodelegazione europeo, Pasquale Tridico, ha invece dichiarato che il risultato «per me non è un bel risultato». Insomma, grande è la confusione sotto il cielo. Chissà se la situazione è eccellente.

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