La Russa contro i giornalisti che «devono imparare a scrivere», l’ad evita di insistere sulla bozza di manovra che chiede di risparmiare e lo sconto sul canone voluto dalla Lega
«Ma perché siamo qui?». Sono in tanti a chiedersi perché la discussione sul futuro della Rai si sia spostata dalla commissione Vigilanza alla sala Zuccari del Senato. Le conversazioni sussurrate nei corridoi di palazzo Giustiniani dicono tanto sulla possibilità percepita che gli Stati generali sul servizio pubblico tanto voluti dalla presidente Cinque stelle Barbara Floridia facciano la differenza sulla situazione della Rai. Come buon auspicio la giornata inizia con la riabilitazione di Gennaro Sangiuliano, che ricompare nello speciale Tg1 sul voto americano con la qualifica di «giornalista» per la prima volta dall’addio al ministero di via del Collegio romano.
Ad aprire i lavori ci sono anche le autorità, dal presidente del Senato Ignazio La Russa – «parliamo della Rai, di cui giorni fa ho ricordato Manzi che diede un significato vero al servizio pubblico, con la trasmissione Non è mai troppo tardi, insegnando a leggere e scrivere agli italiani e magari a qualche giornalista che potrebbe ancora averne bisogno» – al ministro della Cultura Alessandro Giuli che regala alla platea un discorso che contiene un passaggio sulla «polizia del pensiero» che metterebbe a rischio il pluralismo.
Nel programma, però, effettivamente ci sono parterre molto più ampi della sola area di riferimento della maggioranza: innesti di punti di riferimento per il centrosinistra, con attenzioni riservate ovviamente anche alla zona Cinque stelle.
A dare raccomandazioni alla politica è poi il presidente della Repubblica Sergio Mattarella, che in un messaggio sul futuro della Rai ha raccomandato «originalità, professionalità, innovazione, pluralismo e non spartizione». In un clima in cui l’attesa è tutta per le prossime mosse della commissione, che attende di dire la sua su una presidente designata e non confermata d’area azzurra dopo che i Fratelli d’Italia hanno scelto l’ad, è tutto dire.
Il dubbio che in zona Cinque stelle cercano tutti di cancellare ma che tra le righe continua ad affiorare è proprio questo: se il dialogo che si apre in sala Zuccari sia il primo passo per una convergenza di bisogni che porti a un via libera a Simona Agnes, in attesa ormai da un mese e mezzo del via libera al suo incarico. Da allora, la commissione non si è più riunita per il boicottaggio da parte della destra, che ha sempre negato il numero legale e sabotato di conseguenza i lavori. L’intenzione è di continuare a farlo fino a quando non si troveranno i due voti mancanti per confermare Agnes.
L’entusiasmo della destra per l’iniziativa della presidente è di conseguenza contenuto, anche perché la consapevolezza è che la riforma – su cui la maggioranza ha aperto per sbloccare il voto sul rinnovo del cda – si discuterà in parlamento, «non alle iniziative di Floridia». Anche la presenza dei vertici aziendali è vissuta come una grande concessione, mentre il Pd ha deciso proprio di non presenziare a un dialogo che non condivide, nonostante la partecipazione di enti terzi come Agcom ed European broadcasting Union. L’attesa è per la giornata di giovedì, quando si confronteranno anche sindacati, direttori di giornale e, soprattutto, leader politici.
Nessun passaggio sui fondi
Nel frattempo, al Senato, l’amministratore delegato Giampaolo Rossi si lancia in un discorso elevato che in termini di fraseggio articolato rivaleggia con quello di Giuli che offre al pubblico folto di personaggi che gravitano intorno a viale Mazzini. Pochi i direttori di testata, pochissimi quelli di genere: nelle prime file siedono l’intero consiglio d’amministrazione e il direttore di Rainews Paolo Petrecca, prossimo alla scadenza di mandato. C’è anche il dg neodirettore di Rtv Roberto Sergio, ma dopo una battuta veloce a favore di telecamera va via, uno dei primi. Passa Antonio Preziosi del Tg2, assente Gian Marco Chiocci. Ci sono due suoi vice: Incoronata Boccia, ormai riferimento dei giornalisti di destra a Saxa Rubra, e Senio Bonini, uno dei nomi che circolano per il futuro del Tg3, orfano di Mario Orfeo.
Nelle sale adiacenti si muovono Giuseppe Carboni e Roberto Gueli, direttore di Raiparlamento e condirettore della Tgr. Minore invece la presenza dei direttori di genere: Paolo Corsini ha preferito condurre la conferenza stampa di Magistrati, nuovo programma della direzione Approfondimenti sulla categoria, ma parteciperà ad altri appuntamenti della due giorni. La trasmissione indagherà «come vivono, qual è la loro storia, quali i valori che li animano, quali le difficoltà, le paure, le soddisfazioni del loro lavoro»: chissà se ne fanno parte gli attacchi del governo Meloni. Manca anche Angelo Mellone, impegnato a viale Mazzini, mentre sono in sala Adriano De Maio, Stefano Coletta e Marcello Ciannamea.
L’atmosfera è di attesa. È una delle prime uscite di Rossi da ad, ma non vuole aprire la polemica sulle ultime uscite del governo. Non una parola sul taglio al personale raccomandato in manovra, nessun passaggio nemmeno sul canone. «Vola alto – dicono i suoi – non ha senso entrare nelle discussioni politiche». Eppure, l’impressione è che il canale tra la governance di destra di viale Mazzini e la maggioranza sia piuttosto silenzioso ultimamente. Rossi e il nuovo cda si sono trovati di fronte a due iniziative molto invasive nei confronti del bilancio del servizio pubblico: il ministero dell’Economia raccomanda di tagliare è individua pure l’area su cui intervenire, la Lega promette il taglio di una delle tasse meno amate e non spiega neanche come finanziarlo.
«La Rai si trova così ad essere un’azienda che opera in un mercato, quello italiano, sempre più aggressivo e in rapida trasformazione, nel quale molti operatori globali sono entrati con volumi d'investimento notevoli e spesso senza vincoli. E si trova costretta a farlo non solo con molte meno risorse rispetto al passato ma anche vincolata ad una complessità normativa e burocratica che rende sempre più difficile svolgere il proprio ruolo di sostegno all’industria italiana», si limita a spiegare sobriamente Rossi, per scomparire poco dopo, all’inizio dell’intervento di Francesco Giorgino, direttore del centro studi dato anche come possibile futuro direttore degli Approfondimenti qualora Corsini dovesse spostarsi altrove.
L’impressione è che, a prescindere dai contributi di ospiti e oratori, dalla due giorni si uscirà rimanendo nello stesso stallo di prima. E che la svolta in commissione Vigilanza possa arrivare solo a fine mese, quando il Movimento si sarà lasciato alle spalle le elezioni in Umbria ed Emilia-Romagna e soprattutto l’assemblea costituente: «Prima di allora, Conte non può permettersi concessioni alla destra, gli verrebbero rinfacciate da Grillo», valuta un dirigente. Ma dopo, è il ragionamento, qualcosa deve succedere.
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