- Lo strappo con la Corte dei conti arriva in aula, con il voto sugli emendamenti che limitano i controlli sul Pnrr.
- Le toghe in assemblea annunciano iniziative «a difesa dell’indipendenza» e diffidano del tavolo governativo.
- Il rischio sottovalutato, però, è che la mossa italiana venga letta in Ue come la volontà sospetta di mettere la proverbiale polvere sotto il tappeto.
La decisione è presa e tornare indietro non si può: il governo ha messo la fiducia e oggi si voteranno alla Camera i due emendamenti al decreto legge Pubblica amministrazione che limitano i poteri di controllo della Corte dei conti sul Pnrr. I tempi devono essere rapidi: la conversione deve avvenire entro il 21 giugno il decreto deve passare anche dal Senato. Nessun rischio da parte delle opposizioni, che in aula si presentano divise: Pd e Movimento 5 Stelle hanno annunciato la loro opposizione, mentre il terzo polo si è detto favorevole.
La scelta politica è chiara: via il controllo concomitante della Corte sui fondi, proroga dello scudo erariale che impedisce alla magistratura contabile di perseguire il danno erariale in caso di colpa grave commissiva. In altre parole, si elimina la funzione della Corte di monitorare con delibere in itinere la spendita del Pnrr e se ne riducono i poteri giurisdizionali in materia di controllo sull’agire degli amministratori pubblici. L’obiettivo è ridurre quello che il governo avrebbe percepito come un controllo vessatorio della Corte ed è stato portato avanti dal ministro degli Affari regionali con delega al Pnrr, Raffaele Fitto, anche a costo di arrivare allo sgarbo istituzionale.
La prova muscolare del governo si è mostrata la settimana scorsa, quando ha depositato gli emendamenti in commissione prima ancora dell’incontro con i vertici della Corte dei conti, a sottolinearne l’inutilità. L’unica apparente concessione del governo è stata la creazione di un «tavolo di lavoro» tra governo e Corte dei conti, che però sta assumendo le sembianze di un cavallo di Troia.
La magistratura risponde
Anche di questo si è discusso in una assemblea straordinaria dell’Associazione magistrati Corte dei conti, convocata in tutta fretta all’indomani delle mosse dell’esecutivo. L’iniziativa è stata fortemente voluta dalla base dei magistrati, tra i quali si è avvertito forte lo sgarbo istituzionale, e dopo alcune ore di discussione il risultato è stato un duro comunicato in cui si è ribadita «la netta contrarietà alle due norme» e il rischio di «indebolire i presidi di legalità, regolarità e correttezza dell’azione amministrativa».
Con un avvertimento: l’associazione «continuerà a svolgere le sue funzioni a difesa dell'indipendenza e dell'autonomia della magistratura contabile». Che si possono tradurre in un ricorso alla Corte costituzionale in particolare sullo scudo erariale, che verrà prorogato per la seconda volta pur trattandosi di una norma introdotta in via eccezionale, ma anche alla Corte di giustizia europea.
La preoccupazione
La preoccupazione profonda della Corte, infatti, non riguarda tanto la riduzione del controllo concomitante, nato per coadiuvare il governo nella messa a terra dei fondi che tuttavia a valle passeranno dal vaglio europeo. Tecnicamente, la contrarietà più forte riguarda lo scudo erariale. Dal punto di vista politico, invece, c’è forte scetticismo sul tavolo di lavoro.
La mano tesa del governo, infatti, non ha convinto una parte dell’assemblea: «Non è corretto che il controllore vada a casa del controllato», spiega una fonte interna, «oggi subiamo le misure del governo, domani rischiamo di avallarle ad un tavolo di cui siamo partecipi». Il problema, allora, è chi siederà al tavolo, con quale mandato e cosa poi si farà in concreto. Anche perché la percezione interna è che il disegno del governo sia quello di tramutare la Corte dei conti da controllore a consigliera di lusso.
Al netto di un durissimo scontro istituzionale, il sentimento tra le toghe contabili è quello di sconcerto per quello che è stato definito «uno schiaffo forte» da parte dell’esecutivo. Alcuni sono disposti ad ammettere che la vicenda è stata gestita male da entrambe le parti, con una Corte che avrebbe potuto essere più prudente nel lessico usato nell’ultima delibera in cui si richiamava alla responsabilità dei dirigenti, mentre il governo avrebbe dovuto agire con meno irruenza e non buttare all’aria la leale collaborazione tra corpi dello Stato.
Il punto politico, tuttavia, resta: la Corte dei conti svolge un ruolo peculiare in questa fase di passaggio del Pnrr e gode di buona fama di terzietà, anche a livello europeo. Ridurne le prerogative, in particolare per quanto riguarda i controlli sui fondi europei, non è passato inosservato nè a Bruxelles nè al Fondo monetario internazionale, che non a caso a fine maggio è intervenuto con una nota sul Pnrr italiano, invitando ad una «piena e tempestiva attuazione».
Nell’intento del governo, ridurre il controllo contabile dovrebbe liberare da lacci giudiziari le pubbliche amministrazioni e da ingerenze sgradite il ministro Fitto, impegnato nella rinegoziazione del piano. Il rischio sottovalutato, però, è che la mossa italiana venga letta come la volontà sospetta di mettere la proverbiale polvere sotto il tappeto.
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