Con la riduzione dei parlamentari da 945 a 600, le due camere dovranno adeguare il loro funzionamento, modificare i regolamenti interni e la legge elettorale. Con un occhio all’elezione del Capo dello stato
- Con la vittoria del Sì, va corretta la legge elettorale. A legge invariata, il governo deve emanare entro 60 giorni un decreto legislativo che ridisegna i collegi, mantenendo le proporzioni tra uninominali e plurinominali.
- Se il presidente della Repubblica viene eletto dall’attuale parlamento, non cambierà nulla. Se invece lo eleggerà un parlamento ridimensionato, sorge il problema del “peso” dei delegati regionali.
- Vanno modificati anche i regolamenti di Camera e Senato, nella parte in cui prevedono quorum indicati in numeri assoluti e non in percentuali. Va rivista anche la composizione dei gruppi e delle commissioni permanenti.
Con la vittoria del Sì al referendum costituzionale, il parlamento italiano non cambia volto, ma dimensioni. La Camera dei deputati passa da 630 membri a 400, il Senato della repubblica da 315 senatori a 200, con un taglio del 36,5 per cento. Per quanto riguarda i senatori a vita di nomina del presidente della Repubblica, la legge costituzionale elimina l’ambiguità interpretativa sul numero: potranno essere al massimo 5. Precedentemente, i presidenti Francesco Cossiga e Sandro Pertini avevano interpretato che 5 senatori a vita fosse il numero massimo di nomine per ogni presidente, a prescindere da quelli già in carica.
Il risparmio complessivo ottenuto con il taglio è di circa 80 milioni di euro l’anno: 52,9 milioni alla Camera e 28,7 milioni al Senato, che corrisponde a circa il 5,5 per cento delle spese totali delle due camere. Il dato è calcolato sulla base del bilancio di Camera e Senato, che individuano il costo annuo per singolo deputato in 230mila euro e per singolo senatore in 249 mila euro.
Cambiano le circoscrizioni
Il taglio del numero dei parlamentari impone di ridisegnare i collegi elettorali. Per farlo le strade sono due. Nel caso in cui la legge elettorale non venga modificata, si andrà a votare con il precedente sistema che verrà integrato, così come previsto da una norma approvata dal governo Conte I, da un decreto legislativo che ridefinirà i collegi uninominali e plurinominali. Il decreto deve essere adottato dal governo entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della legge costituzionale, dunque entro il 21 novembre, e deve rispettare l’attuale proporzione tra collegi uninominali e plurinominali. La legge costituzionale, inoltre, fissa una serie di criteri: il numero minimo di senatori per regione si abbassa da 7 a 3, ma le province autonome di Trento e Bolzano vengono equiparate alle regioni, dunque mantengono 3 senatori ognuna; rimangono invariati i due seggi al Molise e uno alla Valle d’Aosta.
Tuttavia, in commissione Affari costituzionali alla Camera è attualmente fermo il testo base di modifica dell’attuale legge elettorale, di tipo proporzionale e con sbarramento al 5 per cento, il cosiddetto Brescellum. Il Partito democratico punta ad approvarla al più presto e la considera un correttivo necessario al taglio dei parlamentari, ma anche la contropartita politica per aver votato Sì al referendum. In caso di approvazione i collegi verrebbero ridisegnati in contemporanea con la riforma del sistema di voto.
I regolamenti parlamentari
A dover essere rivisti sono anche i regolamenti parlamentari che disciplinano l’attività delle camere, in particolare per quanto riguarda le procedure in cui è previsto il quorum come, ad esempio, la presentazione di interpellanze urgenti. Un’altra revisione probabile è quella della disciplina dei gruppi con un abbassamento del numero minimo per costituirli che attualmente è di 20 deputati e 10 senatori.
Verrà rivista anche la composizione delle 14 Commissioni permanenti, per le quali oggi è prevista una distribuzione di parlamentari in modo proporzionale alla consistenza numerica dei gruppi: un deputato può sedere in una sola commissione, un senatore in tre.
Altra revisione costituzionale in cantiere è l’abbassamento dell’età per l’elettorato attivo al Senato da 25 a 18 anni. In questo modo si equipara la platea elettorale che vota senatori e deputati: prima il Senato veniva eletto da 4 milioni di votanti in meno rispetto alla Camera.
La proposta è passata in prima lettura sia a Montecitorio che a palazzo Madama e deve essere calendarizzata per la seconda lettura.
Il post Mattarella
L’assemblea che elegge il nuovo presidente della Repubblica, nel febbraio 2022, varierà a seconda della tenuta della legislatura. Se l’attuale parlamento arriverà alla sua scadenza naturale nel marzo 2013, il successore di Sergio Mattarella verrà eletto con le regole pre riforma costituzionale. Quindi, l’assemblea sarà composta dal parlamento in seduta comune a cui si aggiungono i 58 delegati regionali, tre per regione con eccezione della Valle d’Aosta, eletti dai Consigli regionali.
Nel 2015, Mattarella è stato eletto da 1009 grandi elettori: 630 deputati, 315 senatori elettivi, 6 senatori a vita e 58 delegati regionali. Nel caso di crisi di governo e dell’elezione di un nuovo parlamento a eleggere il nuovo capo dello Stato saranno invece 600 parlamentari, oltre ai senatori a vita e ai 58 delegati regionali. Questo modificherà il quorum (nelle prime due votazioni il presidente viene eletto con due terzi dell’assemblea, dal terzo scrutinio in poi a maggioranza assoluta) e gli equilibri politici.
A condizioni invariate, aumenterà il peso dei delegati regionali che passano dal 6 per cento al 9,6 per cento dei votanti. Per questo, tra i correttivi proposti in commissione Affari costituzionali, c’è una legge a firma di Federico Fornaro (Leu) che prevede la riduzione di un terzo dei delegati regionali.
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