- Continuano le polemiche sull’elezione dei presidenti di Camera e Senato, Lorenzo Fontana e Ignazio La Russa. Non si tratta di cariche “neutrali”, anche se chi le esercita dovrebbe sempre fare in modo di essere imparziale.
- I poteri spettanti ai presidenti di Camera e Senato e l’uso concreto che se ne è fatto nel corso degli anni ne rendono palesi i diversi profili di rilevanza, anche politica, delle loro decisioni.
- Per questo motivo, la caratterizzazione politica di un presidente di assemblea non è un fattore trascurabile anche nell’esercizio di una funzione imparziale, che imporrebbe a chi la esercita non solo di essere super partes, ma anche di apparire tale.
Continuano le polemiche sull’elezione dei presidenti di Camera e Senato, Lorenzo Fontana e Ignazio La Russa. Qualcuno potrebbe reputare trascurabili le opinioni molto forti espresse nel corso degli anni dai due esponenti rispettivamente della Lega e di Fratelli d’Italia, ritenendo che, una volta eletti, i presidenti delle assemblee legislative siano al di sopra dell’agone politico. Il loro compito, infatti, è quello di garantire l’ordinato svolgimento dei lavori parlamentari. La questione è più complessa. Non si tratta di cariche “neutrali”, anche se chi le esercita dovrebbe cercare sempre di essere imparziale.
Innanzitutto, va premesso che dal 1994 si è interrotta la prassi di eleggere a capo di una delle due Camere un esponente dell’opposizione. Ciò ha inciso sulla figura dei presidenti, le cui candidature hanno cominciato a essere dettate soprattutto da logiche partitiche. Nel corso del tempo è altresì venuta meno la prassi per cui essi restavano estranei anche al dibattito politico fuori dalle aule.
Le loro esternazioni sono divenute sempre più frequenti. Del resto, la libertà di espressione del presidente è uguale a quella dei parlamentari. Tutto questo, tuttavia, ha determinato talora la percezione di una qualche commistione tra la funzione di controllo della correttezza delle procedure parlamentari e l’appartenenza politica dei presidenti. Vale a dire una qualche influenza “di parte” nella conduzione “imparziale” dei lavori parlamentari.
Può essere utile chiarire i compiti dei presidenti di Camera e Senato e poi spiegare alcuni dei casi nei quali essi possono avere una qualche incidenza di tipo politico.
I compiti dei presidenti di Camera e Senato
Nella Costituzione vi sono poche disposizioni che disciplinano direttamente le prerogative dei presidenti di Camera e Senato: l’art 62, secondo cui «ciascuna Camera può essere convocata in via straordinaria per iniziativa del suo presidente»; l’art 63, ai sensi del quale «ciascuna Camera elegge fra i suoi componenti il presidente e l’ufficio di presidenza»; l’art 88, che prevede il potere del presidente della Repubblica di sciogliere le Camere, «sentiti i loro presidenti». Le modalità d’elezione e i compiti dei presidenti sono disciplinati nello specifico dai regolamenti del Senato (modificato da ultimo nel luglio 2022, in conseguenza della riduzione del numero dei parlamentari) e della Camera (rivisto da ultimo nel 2012 e non modificato dopo tale riduzione).
Il presidente della Camera «assicura il buon andamento dei suoi lavori, facendo osservare il regolamento, e dell’amministrazione interna. Sovrintende a tal fine alle funzioni attribuite ai questori e ai segretari (…) dà la parola, dirige e modera la discussione, mantiene l’ordine, pone le questioni, stabilisce l’ordine delle votazioni, chiarisce il significato del voto e ne annunzia il risultato» (art. 8, regolamento della Camera, r. C.). Analoghi sono i contenuti del regolamento del Senato (art. 8, r. S.). Ma i compiti di coordinamento dell’assemblea di propria pertinenza – come detto – possono avere una valenza pure politica. Ciò anche in quanto i presidenti non sono solo imparziali “custodi” dei regolamenti, ma dispongono di un potere di interpretazione degli stessi che diviene prassi, quindi regola anch’essa.
La rilevanza politica
Un esempio dell’incidenza politica del presidente della Camera si rinviene, ad esempio, nella disposizione del relativo regolamento, secondo cui il programma dei lavori «è approvato con il consenso dei presidenti dei gruppi la cui consistenza numerica sia complessivamente pari almeno ai tre quarti dei componenti della Camera», ma qualora non si raggiunga tale maggioranza «il programma è predisposto dal presidente» (art. 23, c. 6). In questo caso, il presidente della Camera svolge una funzione di vero e proprio “indirizzo politico”, legato all’attuazione del programma di governo (al Senato, invece, lo schema di lavoro elaborato dal presidente viene sottoposto all’assemblea).
Particolare rilevanza politica hanno le decisioni del presidente relative all’ammissibilità di emendamenti o a tecniche selettive degli stessi. Si pensi, al “canguro” che, per neutralizzare l’ostruzionismo delle opposizioni, consente di votare gli emendamenti accorpando quelli di contenuto analogo: così, se viene bocciato il primo, decadono anche tutti gli altri. Ad esempio, nel 2016 vi ricorse il presidente della Camera, Pietro Grasso, che non ammise gli emendamenti presentati mediante tale tecnica al disegno di legge (ddl) sulle unioni civili.
Può richiamarsi anche la pratica della “ghigliottina”, che ha il fine di assicurare il voto sui decreti-legge nei termini costituzionali, con automatica decadenza degli emendamenti non esaminati fino a quel momento. Nel gennaio 2014, Laura Boldrini, presidente della Camera, ricorse a tale istituto per la prima volta allo scopo di superare l’ostruzionismo delle opposizioni sul decreto-legge “IMU-Bankitalia”.
Nel regolamento della Camera, a differenza di quello del Senato (art. 78, c. 5), non c’è una norma al riguardo, ma la presidente argomentò che, se non si fosse applicato tale istituto, si sarebbe violato l’art. 64 della Costituzione, impedendosi alla maggioranza di convertire nei termini il decreto-legge. Così si andò direttamente al voto finale.
Ancora, nell’ottobre 2021, Elisabetta Alberti Casellati, presidente del Senato, approvò la richiesta di voto segreto – altra decisione di competenza dei presidenti delle assemblee – per l’utilizzo della “tagliola” (art. 96 r.S.) riguardo al ddl Zan. La “tagliola” consente, conclusa la discussione di un provvedimento, di non procedere all’esame degli articoli e al voto degli emendamenti. Ciò significa bloccare l’ter parlamentare del provvedimento stesso, quindi di fatto bocciarlo, come accadde per il ddl in questione.
Anche il potere del presidente dell’assemblea circa il contenuto di interrogazioni e interpellanze parlamentari può avere valenza politica. Nel luglio 2019, la presidente Casellati, sulla base di una interpretazione restrittiva del regolamento della Camera, dichiarò inammissibili tre interrogazioni relative ai rapporti della Lega con la Russia, dopo la diffusione di notizie relative a un presunto finanziamento, affermando che «il Senato non può essere luogo del dibattito che riguarda pettegolezzi giornalistici».
Gli esempi dei poteri spettanti ai presidenti di Camera e Senato, nonché delle applicazioni concrete dei poteri stessi, ne rendono palesi i molti profili di rilevanza. Forse ora è più chiaro il motivo per cui la caratterizzazione politica di un presidente non è un fattore trascurabile anche nell’esercizio di una funzione imparziale, che imporrebbe a chi la esercita non solo di essere super partes, ma anche di apparire tale. A proposito, Fontana qualche giorno fa, appena eletto, ha fatto dichiarazioni critiche sulle sanzioni alla Russia nella cosiddetta terza camera, cioè da Bruno Vespa a Porta a Porta: avrà esternato in qualità di esponente della Lega o come presidente dell’assemblea di Montecitorio?
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