I nuovi risultati della scienza sul clima non lasciano dubbi su quello che dobbiamo fare (in caso lo avessimo dimenticato): accelerare il più possibile nei prossimi 10 anni la riduzione della CO2 prodotta da combustibili fossili e degli altri gas clima-alteranti, incluso il metano. Ma anche costruire più rapidamente le basi di resilienza e adattamento agli impatti sempre più frequenti e violenti.

Cosa può fare l’Italia?

Quattro le azioni da intraprendere a carattere internazionale e nazionale. Primo, l’Italia ha bisogno di una diplomazia climatica all’altezza della sfida per preparare i prossimi incontri cruciali e arrivare preparati alla COP26 di Glasgow (1-12 novembre). Primo fra tutti il Vertice G20 di Roma (30-31 ottobre). Il G20 rappresenta le grandi economie e perciò i grandi emettitori globali responsabili di oltre l’80 per cento delle emissioni globali. Cambiare rotta nel G20 significare imprimere un cambio di rotta al pianeta. L’iniziativa di Mario Draghi, in particolare con i capi di stato e di Governo di Cina e India, sarà imprescindibile.

Nonostante i concreti passi avanti del G20 clima di Napoli (23 luglio), occorre ancora trovare un accordo per l’uscita dal carbone, accelerare la riduzione delle emissioni nel breve-medio periodo di alcune grandi economie e garantire il supporto finanziario ai paesi vulnerabili attraverso la finanza per il clima. Ciò significa pianificare e attuare un’azione diplomatica incisiva, lavorando in coordinamento con i nostri alleati europei e transatlantici, per sbloccare nuovi impegni e mantenere l’obiettivo di 1,5 alla portata.

Costruire le relazioni

Diplomazia climatica significa un’opera costante di costruzione di relazioni, di persuasione e, dove necessario, di supporto finanziario e tecnico ai paesi che ancora non hanno adottato obiettivi adeguati ma dalla cui azione dipendono sia il consenso multilaterale che la stabilità del clima.

Le decisioni di Cina, India, Russia, Turchia, Arabia Saudita, Brasile, ma anche Sud Africa e Indonesia, saranno decisive per il G20 e la COP26. Ciò che offriremo a questi paesi e come plasmeremo le relazioni con essi nei prossimi mesi determinerà il successo o meno dell’azione climatica dei prossimi anni.

Benvenuta è quindi la nomina di un’inviato/a per il clima, annunciata per settembre dal ministro Luigi di Maio. Ciò potrebbe prendere la forma di una nomina politica come sottosegretario/a agli Esteri o alla presidenza del Consiglio, lavorando a stretto contatto con i ministri Luigi Di Maio, Roberto Cingolani e Daniele Franco (il quale presiederà l’ultimo G20 finanza a metà ottobre a Washington) e naturalmente del Premier Mario Draghi. Molto dipenderà dalla persona scelta.

Servono infatti effettive garanzie di competenza e conoscenza dei temi, la capacità di muoversi in ambienti internazionali e istituzionali legati al cambiamento climatico, una consolidata e riconosciuta credibilità europea, e saper dialogare con il più ampio mondo della politica, degli attori economici e della società civile.

La finanza

Secondo, l’Italia deve formulare un nuovo impegno di finanza per il clima ovvero il contributo finanziario dei paesi avanzati verso i paesi emergenti e più vulnerabili per affrontare l’emergenza climatica. Dal 2009 sono stati promessi 100 miliardi di dollari l’anno entro il 2020 ma mancano ancora oltre 10 miliardi. Tutti i paesi G7, eccetto l’Italia, si sono impegnati ad aumentare, anche raddoppiando, i contributi esistenti oltre il 2020. L’Italia può e deve entro il G20 di Roma annunciare nuovi impegni. Secondo le stime di Ecco, l’Italia può mobilitare oltre un miliardo l’anno (rispetto ai 500 milioni odierni) ma servirà pianificare meglio e subito nuove risorse attraverso i proventi delle aste Ets, la prossima legge di bilancio e le risorse attuali e future della cooperazione internazionale.

L’Europa

Terzo, la credibilità della nostra diplomazia inizia sempre a casa nostra. Due le possibili azioni immediate nazionali da intraprendere anche alla luce del nuovo pacchetto europeo “Fit for 55”. La prima, rivedere i piani nazionali clima ed energia al 2030 e al 2050 aggiornandoli e includendo un carbon budget (o bilancio di emissioni) che quantifichi le emissioni consentite nei prossimi anni. L’istituzione di un Comitato scientifico indipendente, sul modello di quello britannico, potrà aiutare nella definizione delle politiche più impattanti, nel monitoraggio della loro implementazione e nel supportare un dialogo politico, aperto alla partecipazione di tutti e indipendente dagli interessi costituiti. I piani dovranno anche includere una pianificazione settoriale e una strategia di giusta transizione per consentire ai settori produttivi di adeguarsi e innovare nei tempi giusti e in modo socialmente sostenibile.

Stop alle fonti fossili

Infine, un segnale importante sarà quello di smettere di concedere, una volta per tutte, nuove licenze per l’esplorazione e la produzione di gas e petrolio. Un messaggio chiave sia dal nuovo rapporto Ipcc che dall’Agenzia internazionale dell’energia è che non possiamo più permetterci lo sfruttamento di nuovi combustibili fossili. L’Italia dovrebbe aspirare ad adottare, entro la Cop26, una politica simile a quella danese (stop a nuove trivelle nel Mare del Nord e dismissioni delle esistenti entro il 2050) e unirsi al gruppo di paesi d’avanguardia facendosi apripista di un nuovo modello di sviluppo senza ricorso a nuovi combustibili fossili nel Mediterraneo e in Africa.

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