- Un’inchiesta rivela un sistema di corruzione e connivenze che permetteva di controllare le strutture sanitarie del capoluogo campano.
- Di fatto gli ospedali erano di proprietà esclusiva dei clan, con una dipendenza diretta con l’alleanza di Secondigliano.
- Gli ospedali sono appalti e posti di lavoro, quindi pacchetti di voto, ma anche cartelle cliniche mendaci, falsi ricoveri per avere coperture nei processi e garantirsi l’impunità.
«Tutte le ditte che si sono aggiudicate appalti o che sono comunque titolari delle più svariate commesse all’interno degli ospedali sono sottoposte a estorsioni», scrive il giudice Claudio Marcopido. A Napoli la rete ospedaliera rappresenta per la criminalità organizzata fonte di enormi introiti economici.
Per il controllo di mense, servizi di pulizia, ambulanze, lavanderia si sono consumate guerre di camorra e omicidi, raccontano i collaboratori di giustizia. Quello dei servizi ospedalieri è uno dei grandi canali di guadagno della malavita perché consente di incassare soldi con le estorsioni, di controllare posti di lavoro e così pacchetti di voti, ma anche perché offre agli affiliati servizi e favori per garantirsi impunità e coperture.
I signori della camorra – Dalle stragi agli appalti: il potere dei Moccia
Il dato trova conferma nell’inchiesta della procura di Napoli, procuratore Giovanni Melillo, pubblici ministeri Henry John Woodcock e Celeste Carrano che, venerdì scorso, ha portato in carcere 36 persone. Gli indagati in totale sono 53. Ci sono coinvolte tutte le figure che compongono una organizzazione criminale: i boss, gli imprenditori, i funzionari pubblici, ma anche i sindacalisti. Il controllo camorristico è totale sugli ospedali cittadini, ogni zona ha il suo clan di riferimento, tutti però fanno capo all’alleanza di Secondigliano, centro di gravità criminale, con estensioni e affari in Spagna, Germania e Canada.
La mappa
C’è una cartina di Napoli che divide la città in due colori. Quello rosso è il prevalente, sono le zone controllate dall’alleanza, ribattezzata il sistema, in quelle gialle e rosse, nell’area del centro storico, il sistema condivide il potere criminale con i Mazzarella.
Come già raccontato da Domani questa mappa che gli uffici di procura preparano con le forze dell’ordine delinea il potere criminale in città. Anche l’ultima inchiesta, condotta dalla polizia di stato, conferma questo dato.
Le attenzioni degli investigatori si sono concentrate su un solo clan, quello Cimmino-Basile, che comanda al Vomero, nell’area collinare della città dove sorge la zona ospedaliera. Il controllo criminale si estende sul Cardarelli, sul Cotugno, sul Monaldi, sul Cto e sull’azienda ospedaliera Federico II.
Dalle carte emerge chiaramente che il gruppo non è autonomo, ma dipende totalmente dall’alleanza di Secondigliano alla quale riconosce supremazia criminale e versa 76mila euro all’anno. Sono i soldi provenienti dalle attività illecite.
Gli ospedali del crimine
Il boss Luigi Cimmino è tornato in carcere, insieme ad Andrea Basile, considerato il suo braccio destro. Il clan ha estorto soldi alle aziende aggiudicatarie degli appalti negli ospedali, ma ha anche manipolato le gare attraverso la falsificazione degli atti e la corruzione di pubblici ufficiali.
I pubblici ufficiali coinvolti, addetti all’esecuzione delle gare, erano a disposizione dei clan e non ci sono state segnalazioni, anzi il meccanismo illecito e fraudolento era così sistematico da apparire conosciuto a tanti.
L’inchiesta si inserisce nell’àmbito di un lavoro di approfondimento investigativo che aveva già riguardato l’ospedale San Giovanni Bosco, vero feudo e polo logistico dell’alleanza di Secondigliano, e dimostra come quello non fosse in nessun modo un caso isolato. Soldi certo, ma anche cartelle cliniche mendaci, falsi ricoveri per avere coperture nei processi e garantirsi l’impunità.
L’indagine nasce dall’individuazione di Andrea Basile come responsabile di un’estorsione ai danni di un imprenditore, la vicenda attiva gli investigatori che piazzano le microspie in casa del boss. L’imprenditore che parla si chiama Pietro Coci e rivela di aver vinto gare attraverso la mediazione di un sindacalista e la corruzione di funzionari.
Le tangenti le avrebbe pagate al «dottor Bisogni, all’epoca direttore della struttura beni e servizi del Pascale» e al sindacalista. Avrebbe dovuto versare soldi anche a un senatore di Torre del Greco, il cui nome non viene esplicitato.
Dalle intercettazioni emerge la rete di corruzione che alimenta il sistema. Il clan Cimmino utilizzava in particolare Salvatore Zampini, Rosario Somma, Sergio D’Andrea, tre dipendenti della ditta Romeo Gestioni (estranea all’inchiesta) che si occupavano ufficialmente delle pulizie dell’ospedale, ma in realtà fornivano al clan informazioni sulle ditte che lavorano al Cardarelli per poterle sottoporre a pizzo, presso le quali facevano anche opera di mediazione.
Romeo Gestioni, in una nota, fa sapere che i dipendenti lavorano presso altra azienda che è subentrata nell’appalto.
Di proprietà della camorra
Nella rete del clan finiscono anche gli imprenditori che sono stati arrestati con l’accusa di concorso esterno perché versavano una percentuale fissa nelle casse del clan e si occupavano della corruzione dei funzionari.
Alessandro Esposito e Gaetano Martino, rispettivamente responsabile commerciale e amministratore della società Bamar, ma anche Lello Sacco e Raffaele Sacco, soci della Gemearp, si occupavano della distribuzione di bevande e dell’installazione di macchinette erogatrici negli ospedali.
Si servivano del clan per “indurre” i concorrenti a rinunciare alla partecipazione alle gare. Tra gli arrestati per concorso esterno anche Marco Salvati, titolare dell’associazione che si occupava del trasporto infermi con ambulanze Croce San Pio.
Non ci sono solo quelli a disposizione, ma anche gli imprenditori estorti come Biagio Vallefuoco, presidente di Cosap/Cogepa che ha pagato una mazzetta da 400mila euro per la tranquillità nello svolgimento dei lavori di manutenzione straordinaria dei padiglioni del Cardarelli.
Anche la ditta che ha eseguito il parco urbano artistico dell’ospedale ha pagato una mazzetta così come le altre aziende che avevano in esecuzione lavori presso i nosocomi citati. L’estorsione veniva chiesta alle grandi imprese, ma anche ai parcheggiatori abusivi che dovevano pagare la tangente di 5 euro al giorno per svolgere serenamente la loro attività.
Gli ospedali, ascoltando le intercettazioni, risultano di proprietà esclusiva dei clan, il diritto all’estorsione si eredita a distanza anche di decenni. Andrea Basile dice a Gennaro Reale, titolare di una ditta di pompe funebri di pagare l’estorsione per poter operare tranquillamente nei «suoi ospedali senza fastidi».
C’è la camorra, ci sono gli imprenditori funzionali, quelli estorti, ma anche i funzionari pubblici asserviti. Gennaro Stefanelli è uno dei componenti della gara per la gestione dei distributori, Cosimo Fioretto è il responsabile unico del procedimento, entrambi si facevano dare soldi e cellulari per manipolare la gara attraverso la intermediazione di un sindacalista in pensione, Antonio Pesce, anche quest’ultimo indagato.
Sono tutti ai domiciliari così come Daniela Nenna, collaboratore dell’ufficio di acquisto beni e servizi, che turbava una gara in cambio di auto, soldi e ingressi gratuiti in discoteca. Il giudice per loro ha escluso l’aggravante di aver favorito l’attività del clan, ma la procura presenterà ricorso. Un ex boss di camorra che ha raccontato agli inquirenti le sue verità spiega a Domani cosa significa controllare gli ospedali.
«Qualche anno fa un ragazzo, dopo un agguato di camorra, era arrivato in fin di vita in sala operatoria, quando sembrava stare meglio dopo l’operazione e i medici lo davano fuori pericolo, è morto misteriosamente. Quella morte ha fatto molto comodo all’alleanza di Secondigliano che in quell’ospedale faceva quello che voleva», svela a Domani l’ex boss. Parole che confermano che questa non sarà l’ultima inchiesta su clan, colletti bianchi e ospedali cittadini.
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