Sull’accordo tra Giorgia Meloni e il premier albanese, Edi Rama, sono molti i dubbi in punto di diritto. Dubbi che, se confermati, potrebbero inficiare la validità dell’accordo stesso.

L’accordo

Il memorandum d’intesa - si legge nel comunicato di Palazzo Chigi - prevede la realizzazione in Albania di due centri, che dovrebbero ospitare ogni mese fino a 3000 migranti irregolari. I migranti - ma solo quelli soccorsi da navi militari italiane - saranno sbarcati a Shengjin, ove si «realizzerà un centro di prima accoglienza dove operare una prima attività di screening, mentre in un’altra area più interna si realizzerà una seconda struttura» per le procedure successive. I centri saranno sotto la giurisdizione italiana, mentre l’Albania si occuperà di sicurezza e sorveglianza esterna delle strutture. Per valutare la situazione dei migranti sarà adottata la cosiddetta procedura accelerata di frontiera (d.lgs n. 25/2008 e d.lgs. n. 142/2015), che deve concludersi in un periodo non superiore a quattro settimane.

L’extraterritorialità

Il profilo più critico dell’accordo riguarda l’extraterritorialità, e cioè il fatto che le persone soccorse dalle navi militari italiane saranno portate in un Paese straniero, e non appartenente all’Unione europea, anziché sul territorio italiano. Il Testo unico sull’immigrazione (d.lgs. n. 286/1998, art. 10-ter) prevede che gli stranieri soccorsi in mare vengano sbarcati, alloggiati in appositi centri normativamente indicati, informati circa i loro diritti e sottoposti ad accertamenti riguardo alla loro situazione giuridica. La legge non contempla la possibilità che i centri suddetti siano collocati al di fuori dell’Italia. E non potrebbe essere diversamente. Infatti, il Regolamento di Dublino dice che «gli Stati membri esaminano qualsiasi domanda di protezione internazionale presentata da un cittadino di un paese terzo o da un apolide sul territorio di qualunque Stato membro» (art. 3). A seguito dell’accordo, invece, le domande sarebbero presentate in Albania, che non è uno stato membro. Il fatto che le istanze siano comunque valutate dall’Italia non sembra portare a escludere la violazione del regolamento Ue.

La procedura accelerata

Una seconda criticità riguarda la procedura da applicare ai migranti portati in Albania. Si tratta della procedura accelerata, che può essere svolta in zone di frontiera o di transito quando un richiedente presenti una domanda di protezione internazionale in tali zone. La procedura, quindi, non può essere svolta in un’area diversa da quella di ingresso, come ribadito da ultimo nelle recenti sentenze di Catania e di Firenze. Effettuarla in Albania, a seguito di istanze d’asilo presentate in tale Paese, non rispetta nessuno dei due presupposti. Non basta dire che i centri situati in Albania è come se fossero in Italia: una certa area in un altro Paese non può di fatto divenire territorio nazionale, ai fini di legge, in base a un mero accordo.

La procedura prevista, inoltre, comporta il trattenimento dei migranti. Il trattenimento va convalidato da un giudice, e dunque si suppone che magistrati italiani vadano in Albania. Sulla possibilità che essi possano svolgere le proprie funzioni fuori dal territorio nazionale si nutrono perplessità. Dovranno pure trovarsi in loco le commissioni incaricate di valutare la situazione dei richiedenti asilo, dato che in quella sede si ha anche un colloquio individuale. E siccome ai migranti va consentito di far valere i propri diritti, in Albania dovranno essere presenti persone che forniscano loro ogni informazione al riguardo (si veda art. 12 della direttiva 32/2013/UE e art. 9 della direttiva 33/2013/UE); nonché avvocati che possano consentire agli stranieri l’esercizio dei diritti stessi, incluso quello alla difesa. Un po’ arduo da realizzare.

I rimpatri

Nel caso in cui al migrante sia negato l’asilo, dovrà essere l’Italia a farsene carico. Dunque, servirà un nuovo trasferimento, questa volta dall’Albania a un CPR italiano, per organizzare il rientro del migrante nel suo Paese. Ma siccome gli accordi di rimpatrio sono ancora pochi, tornerebbero in Italia quasi tutti quelli che – con una sorta di gioco di prestigio - l’Italia aveva fatto scomparire mandandoli in Albania. Al momento, il memorandum di intesa resta segreto, ed è probabile che tale resterà, come quelli stipulati con altri Paesi. Ora non rimane che attendere le determinazioni dell’Ue, la quale ha chiesto all’Italia dettagli sull’accordo. L’Unione dovrà dimostrare che ogni soluzione non può che passare attraverso il rispetto dei diritti.

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