I dazi, il riarmo, lo spread. Senza dimenticare l’elenco di promesse fatte su tasse e pensioni. Che andrebbero mantenute. Il governo è alle prese con un bel po’ di grattacapi.

I numeri economici sono incerti e così si preferisce tenerli nascosti nel nuovo Def (o comunque lo si definirà) che entro la settimana deve essere trasmesso in parlamento per avviare l’esame e ottenere il via libera a fine mese. Il ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, ha chiesto di assumere una linea minimal.

Al Mef hanno tutti le bocche cucite sul documento. «Nulla di nuovo rispetto a quanto già noto», è la versione che rimbalza. Ma le opposizioni continuano a chiedere di conoscere il dettaglio perché l’approccio muscolare non convince.

«La verità è che all’interno non metteranno nessuna informazione programmatica», dice a Domani Ubaldo Pagano, capogruppo del Pd in commissione Bilancio alla Camera.

Insomma, dalle opposizioni c’è la sensazione che il documento verrà presentato giusto per rispettare le procedure tecniche. Di sicuro non ci saranno indicazioni sulla strategia economica in materia di fisco e di previdenza. Meglio affidarsi alla comunicazione che alle cifre.

Numeri parziali

Il governo gioca a nascondino per necessità. La decisione di fornire i numeri solo sul prossimo biennio, come stabilito dalla risoluzione votata in parlamento, è una forzatura, una delle tante.

Anche perché maggioranza e opposizioni dovranno riscrivere insieme le nuove norme di contabilità in linea con il Patto di stabilità. «Quanto accaduto non è un buon viatico», dice Luigi Marattin, deputato del Partito liberaldemocratico, che ha sottolineato questo ulteriore aspetto.

I conti, insomma, iniziano a preoccupare Giorgetti, che ha sfoderato un volto vagamente sovranista in linea con il mood del congresso leghista che ha incoronato ancora una volta Matteo Salvini. «Responsabilità dell’Europa e sangue freddo con Donald Trump», è la linea suggerita dal ministro dell’Economia. Ma, oltre al mantra di autoconvincimento assai gradito a Salvini, a via XX Settembre si osserva con grande timore alle ricadute dei dazi introdotti dalla Casa Bianca.

La revisione al ribasso delle stime del Pil da parte della Banca d’Italia, è un campanello d’allarme per Giorgetti.

La crescita, secondo palazzo Koch, sarà dello 0,6 per cento nell’anno in corso, dello 0,8 per cento nel 2026 e dello 0,7 per cento nel 2027 con un calo di almeno 0,2 su ogni anno.

Lo spazio per la propaganda è ristretto, perché in qualche misura Meloni deve dare risposte all’Unione europea sul programma di riarmo. Il governo da dove attingerà le risorse? L’idea di Giorgetti, portata nei consessi europei, è di favorire gli investimenti privati nel comparto della difesa. In ogni caso servono soldi da mettere sul piatto per quello che rischia di diventare un “superbonus delle armi”.

C’è poi un altro fronte che inizia a essere sorvegliato dalle parti del governo: l’aumento dello spread. Per mesi Giorgia Meloni ha rivendicato che il differenziale è stato dimezzato da quando si è insediata a palazzo Chigi, rivendicando il risultato come una vittoria personale in termini di credibilità di fronte ai mercati.

La tendenza al rialzo delle ultime ore non è buon segnale, perché si unisce al rendimento dei Btp, che ora a 3,86 per cento. Altri numeri che non tranquillizzano il ministro.

© Riproduzione riservata