Nel decreto Agricoltura Lollobrigida ripesca poche risorse già stanziate nel 2017. Sul dissesto idrogeologico restano i definanziamenti dei progetti previsti dal Pnrr
Da un lato le violente piogge hanno messo a nudo gli atavici problemi di dissesto idrogeologico con l’alluvione in alcune zone del nord, in particolare in Veneto e in Lombardia. Il bilancio parla di danni per milioni di euro e una vittima accertata. Dall’altro la siccità che «per fortuna ha colpito il Sud e la Sicilia e non il Centro-Nord», secondo l’ormai iconica gaffe in parlamento del ministro dell’Agricoltura e della sovranità alimentare, Francesco Lollobrigida, con parole degne di un Umberto Bossi prima maniera.
Al di là degli scivoloni di comunicazione, la spesa sul capitolo della crisi idrica resta pari a zero. Così il governo continua a scivolare sull’acqua, limitandosi a spostare di qua e di là le risorse o, per citare un vecchio adagio, a pestare – nel vero senso della parola – l’acqua nel mortaio.
Poca acqua
Il capitolo siccità è uno dei più dolenti, spesso trattato con improvvisazione e con iniziative spot. Lollobrigida ha portato a termine un’operazione di maquillage nel decreto Agricoltura, approvato di recente dopo le modifiche chieste dal Quirinale: il Masaf ha previsto uno stanziamento di 102 milioni di euro. Tutto bene? Non proprio. L’intervento è solo la riallocazione di vecchi fondi, messi a disposizione da un provvedimento risalente al 2017.
Insomma, vengono presentati come investimenti, mentre si tratta dello spostamento di soldi già in cassa. Con cifre peraltro risibili: il plafond totale viene spalmato dal 2024 al 2030; in media sono meno di 15 milioni di euro annui. Così per l’anno in corso la dotazione ammonta a 18,1 milioni di euro, una cifra destinata a scendere a 14,6 milioni nel 2025 per poi risalire a 23 milioni di euro nel 2026 e calare gradualmente in seguito.
Alla fine del giro sull’ottovolante, nel biennio 2029-2030, saranno spendibili nel complesso appena 10 milioni di euro.
Il tutto a dispetto delle promesse e dell’insediamento – da un anno – di un apposito commissario contro la siccità, Nicola Dall’Acqua, voluto da Giorgia Meloni in persona. Le uniche risorse aggiuntive, 5 milioni, verranno utilizzate per dare più uffici e persona al dipartimento delle Politiche per il mare di Nello Musumeci, come raccontato in anteprima da Domani.
Il decreto Agricoltura chiede poi la terza ricognizione in pochi mesi delle opere da finanziare: l’elenco degli interventi era stato già presentato prima al ministero dell’Ambiente di Gilberto Pichetto Fratin e poi al ministero delle Infrastrutture di Matteo Salvini, nell’ambito della realizzazione del Pniissi, il Piano nazionale di interventi infrastrutturali e per la sicurezza del settore idrico. Le informazioni sarebbero ampiamente a disposizione dei ministeri competenti. Ma non basta.
Il provvedimento di Lollobrigida prescrive che entro il 31 maggio le sette autorità di bacino distrettuali dovranno individuare e trasmettere «al commissario straordinario, per il territorio di competenza, le misure più urgenti, di immediata e breve attuazione, strutturali e gestionali, per il contrasto della scarsità idrica». A metà giugno, Dall’Acqua dovrà presentare la lista delle opere alla cabina di regia sulla siccità, presieduta da Salvini, che a sua volta alla fine di giugno dovrà concedere il via libera ai finanziamenti. Proprio lo stesso Salvini che da ministro delle Infrastrutture ha ricevuto il materiale per l’attuazione del Pniissi.
Una duplicazione di funzioni che sta di fatto rallentando l’effettiva esecuzione delle misure anti siccità. Innescando l’ennesimo paradosso: l’istituzione della figura commissariale diventa un freno, proprio perché aumenta la burocrazia invece di velocizzarla. Le responsabilità non ricadono sulla figura del commissario, ma vanno addebitate ai pochi poteri assegnati a Dall’Acqua nel sempiterno braccio di ferro tra la presidente del Consiglio Meloni, e il vicepremier Salvini.
«Il commissario, per quanto possibile, sta svolgendo bene il proprio lavoro, dimostrando di avere le capacità per fare bene in quel ruolo. Solo che è ostaggio di scontri politici», racconta una fonte che conosce da vicino il dossier.
Un esempio della Babele di posizioni è, del resto, la cabina di regia, che pure sulla carta avrebbe una funzione di raccordo e di coordinamento tra i vari organismi. Invece tra Lollobrigida, Pichetto Fratin e Salvini ognuno pensa al proprio ministero, rendendo plastiche le distanze dei partiti della coalizione di governo. Con la conseguenza di non affrontare concretamente il problema della siccità.
Dissesto dimenticato
E se sul fronte della scarsità idrica i risultati sono letteralmente a secco, il maltempo svela le altre mancanze della destra al potere. Sul dissesto idrogeologico il governo è ricordato per un cambio di destinazione delle risorse: il miliardo e 200 milioni di euro, messi nel Pnrr per le misure sulla gestione del rischio di alluvione e per ridurre il rischio idrogeologico, sono stati spostati interamente sul finanziamento della ricostruzione delle zone colpite dall’alluvione del 2023 in Emilia-Romagna. Anche in quel caso la premier ha parlato di un intervento a favore delle zone flagellate dagli allagamenti. Capovolgendo la realtà.
A conti fatti, dunque, «il governo ha dimezzato i fondi», sottolinea un’interrogazione del Pd, a prima firma della capogruppo alla Camera, Chiara Braga, presentata dopo gli allagamenti che hanno colpito il Nord nelle ultime ore.
Altrettanto dura la critica di Angelo Bonelli, leader di Europa Verde: «È gravissimo che l’Italia, attualmente, non disponga di un piano di adattamento climatico né di misure concrete per contrastare il dissesto idrogeologico». «Siamo privi», ricorda il deputato di Alleanza verdi-sinistra, «di un Piano energia e clima e di una legge contro il consumo di suolo».
Insomma, sarà pur vero che «la pietra rimane pietra e la goccia è solo acqua», come ha scritto Meloni annunciando la chiusura della relazione con Andrea Giambruno. Ma il suo governo appare poco preparato e attento sulle questioni idriche.
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