Per sottrarli alla Lega, la premier ha affidato alla Difesa la costruzione dei nuovi centri. Ma è incognita su dove farli e su quanto costeranno: per ora sono al vaglio tre ipotesi ma tutto dipenderà da quanto verrà deliberato come budget e di chi sarà a carico. Scelte che in ultima istanza spetteranno al Mef
Il consiglio dei ministri di lunedì ha portato un regalo impegnativo a Guido Crosetto, che proprio ieri ha compiuto gli anni. Con l’inserimento all’ordine del giorno delle misure straordinarie sui migranti, infatti, il ministero della Difesa ha ricevuto l’incarico di costruire, mettendo a disposizione uomini e mezzi del Genio militare, un centro per i rimpatri in ogni regione «da realizzare in zone scarsamente popolate e facilmente sorvegliabili».
Indicazione vaga, che sottende un’infinità di incognite organizzative: un’ipotesi sarebbe quella di convertire le ormai celeberrime caserme dismesse (alcune delle quali destinate già ad altri usi dal Pnrr, di altre andrà valutata l’adattabilità), quella logisticamente più semplice sarebbe che fossero le amministrazioni locali a segnalare edifici non utilizzati e adatti all’uso.
In ogni caso, ciò che trapela è un dato temporale: l’esercito è in grado di allestire strutture già individuate ed esistenti in circa due mesi, mentre le tempistiche si dilateranno in modo non immediatamente calcolabile se gli edifici andranno costruiti da zero. A mancare ancora, invece, è l’elemento economico: chi sosterrà i costi e quante risorse militari verranno destinate a un compito così peculiare?
Fonti della Difesa chiariscono che sarebbero al vaglio tre ipotesi, a partire dai requisiti minimi necessari a strutture che dovranno ospitare persone o interi nuclei familiari fino a 18 mesi, con le conseguenti necessità di mense ma anche potenzialmente di scolarità. Quale ipotesi verrà scelta, però, dipenderà dal budget a disposizione. Attualmente una cifra non è ancora stata fissata né è stato definito se sarà a carico della Difesa: la decisione finale spetterà al governo e in ultima determinazione al Ministero dell’Economia.
Le forze armate sono destinate a compiti molto diversi da quelli di manovalanza, tuttavia non sarebbe certo la prima volta che vengono impiegate in situazioni che vengono considerate «di emergenza» dal governo. Per questo la Difesa si sarebbe accollata l’incombenza, ma con un patto con palazzo Chigi: il ministero si sporcherà le mani a costruire, ma tutti i problemi politici con i territori e le amministrazioni locali dovranno essere gestiti a livello di governo.
É evidente, infatti, che l’individuazione del luogo dove costruire o allestire il cpr produrrà tensioni sociali sui territori. In concreto, «Nessuno li vorrà vicino a casa propria», dice una fonte della maggioranza.
Un primo segnale che tra l’annuncio e l’allestimento dei cpr ci siano ancora infinite incognite lo hanno già dato i governatori regionali: il dem della Toscana Eugenio Giani ha già annunciato che farà barricate contro la costruzione, ma anche a destra la proposta non scalda i cuori.
O meglio, nessuno ne sa molto: dal Molise, Francesco Roberti ha fatto sapere che «non abbiamo una struttura idonea da adibire a Cpr», il veneto Luca Zaia ha detto che «nessuno mi ha mai parlato di nuovi Cpr» e anche l’emiliano Stefano Bonaccini ha fatto sapere di non essere stato ancora cercato da nessuno.
La richiesta di Meloni
Se assolvere al compito non sarà concretamente facile per l’apparato della Difesa, è altrettanto vero che la richiesta di palazzo Chigi rimette al centro il ministero di Guido Crosetto. Secondo fonti interne sarebbe un segnale di fiducia nei suoi confronti da parte della premier, ma potrebbe rappresentare anche una mossa utilitaristica di Meloni, che così otterrebbe un doppio risultato: tenere ulteriormente lontana la Lega dalla gestione dei migranti, ma anche mettere sotto pressione un ministro vicino in quanto cofondatore di Fratelli d’Italia, ma non un politico a tutti i costi a lei allineato.
Certo è anche che una decisione come quella di coinvolgere il Genio militare nella costruzione dei centri per i rimpatri non può essere maturata esclusivamente tra palazzo Chigi e palazzo Baracchini. Formalmente, infatti, il vertice delle forze armate è il presidente della Repubblica Sergio Mattarella e nessuna iniziativa viene presa all’oscuro del Quirinale. Del resto, il filo diretto tra il Colle e Crosetto è diventato costante in questa fase burrascosa per i vertici militari.
Politicamente, il ministro della Difesa recupererà centralità, sostenendo la premier in un momento difficile su un tema in cui la linea strategica di Meloni è quella di sottrarre spazio alla Lega.
I dubbi dell’esercito
La mossa di Meloni, tuttavia, rischia di esacerbare ulteriormente il clima all’interno degli apparati militari. Fonti interne all’esercito restituiscono tutte le perplessità dei militari di carriera ad essere destinati ad una funzione così imprevista. Malumori che sono arrivati fino a Crosetto e che si nutrono di tutti i dubbi pratici e operativi che la “missione Cpr” porta con sè: dai costi ancora incerti alle risorse umane che richiederà.
D’altro canto, dalla Difesa emerge un convincimento generale: le forze armate sono poste a difesa del paese e l’accezione del servizio è molto ampia. Tutte le emergenze – dalle catastrofi naturali alla crisi dovuta ai flussi migratori - fanno parte dei compiti militari.
L’esercito «è al servizio del paese», ha detto spesso il ministro Crosetto. Dunque farà quello che il paese gli chiede anche in questo caso. Inoltre, viene precisato, «quando si dà un ordine, i militari sono pronti a eseguirlo», al netto di mal di pancia interni o dubbi di merito che potrebbero essere anche generati sull’onda del momento.
A ventiquattro ore dal consiglio dei ministri che ha assegnato la nuova mansione, infatti, le informazioni sono ancora troppo poche per delineare precisamente come la Difesa si muoverà e sono in corso riunioni congiunte con altri ministeri proprio per definire tutte le caratteristiche dell’intervento. Nella speranza che anche le amministrazioni locali non si mettano di traverso.
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