La presidente del Consiglio attacca le opposizioni di un approccio poco pragmatico. Ma su ogni dossier rifiuta il confronto nel merito. Rifugiandosi nelle posizioni identitarie
È la più ideologica di tutte, Giorgia Meloni. Basta sfogliare le cronache dell’ultimo anno per leggere tutti i dogmi inscalfibili che l’hanno portata all’irrigidimento sulle riforme, al dogmatismo sul Mes, all’inflessibilità addirittura sulla carne coltivata, che sarà vietata dopo la votazione alla Camera. Eppure, la presidente del Consiglio ha elaborato uno storytelling al contrario con il refrain di accusare le opposizioni di avere «un approccio ideologico». Un gioco di specchi, che è insieme comunicativo e politico.
Meloni lo ripete appena possibile, a ogni curva, fin dalla partenza del suo percorso a Palazzo Chigi: la sinistra è ideologica nel dire no alle iniziative del governo. Proprio per questo ha chiesto spesso agli altri leader di non avere dei pregiudizi, li ha sollecitati a seguire un approccio all’insegna del «pragmatismo». Gira e rigira, però, la sua stella polare resta la propria di ideologia, quella identitaria di destra. Lo dicono i fatti, i provvedimenti, che smentiscono le affermazioni. Il Mes resta la bandiera ideologica che Meloni non ammaina, nemmeno di fronte ai ragionamenti di buonsenso che sono arrivate dal ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, nei mesi scorsi.
Feticcio premierato
Del resto nell’ultimo passaggio, la leader di Fratelli d’Italia ha confermato di non essere disposta a derogare il proprio credo. Anche se si parla delle regole comuni del gioco, l'assetto istituzionale della Repubblica. Vuole l’elezione diretta del capo del governo, l’indicazione sulla scheda su chi deve essere il premier. Un feticcio irrinunciabile. Inizialmente l'obiettivo era il presidenzialismo, il capo dello stato che viene eletto direttamente dal popolo. Era stata avviata una raccolta firme, anche in versione digitale, poi il progetto si è inabissato con la riconversione per il premierato, un aggiustamento in corsa. Ma la base non cambia, la «madre di tutte le riforme» - copyright Meloni – è la capostipite dell’ideologia della destra al potere, che prevarica il tanto invocato pragmatismo. Il cancellierato avrebbe grandi possibilità di convergenza da parte delle forze politiche, archiviando la pratica delle riforme nel minor tempo possibile. Senza spaccare il paese con il referendum. Le argomentazioni che provengono dal centrosinistra, però, si infrangono contro il muro settario della presidente del Consiglio.
La pretesa è l’elezione diretta. Non si transige. E il trionfo dell’ideologia si manifesta in queste ore a Montecitorio, durante il dibattito sull’approvazione della proposta di legge sulla carne coltivata o sintetica che si voglia. L’approvazione è questione di giorni, al massimo qualche settimana. La battaglia non reca la firma diretta della premier, che ha affidato la partita nelle mani del ministro dell’Agricoltura, Francesco Lollobrigida. Di fronte agli appelli di un dialogo franco, giunti da sinistra e dal mondo scientifico, la risposta è stata perentoria: si tira dritto con il divieto di commercializzazione di questo prodotto. Anche se Fratelli d’Italia capovolge l’accusa di settarismo: «La questione è trasversale, dobbiamo dare risposta agli ordini del giorno presentati in tutti i consigli regionali, compresi quelli governati dal centrosinistra».
Ideologia meloniana
E se l’ideologia svaria dalle riforme istituzionali alla carne coltivata, nel pantheon del dogmatismo di Meloni c’è tanto altro. Un esempio? La totale contrarietà al salario minimo. La presidente del Consiglio ha incontrato i leader delle opposizioni in piena estate, ostentando una volontà di confronto nel merito. Ha finto di aprire solo per temporeggiare. La pratica è stata consegnata nelle mani del Cnel presieduto da Renato Brunetta con disegno chiaro: arrivare alla stroncatura del progetto che aveva unito le opposizioni. Un indizio che la linea identitaria fosse prevalente era leggibile già all’inizio della legislatura, con uno dei primi provvedimenti adottati in materia di politiche migratorie. Il governo Meloni ha fatto partire una crociata contro le ong, con tanto di accusa di rappresentare un pull factor, uno stimolo alla partenza.
Un’idea che si scontra con i numeri, compresi quelli forniti dal Viminale. Ma non è bastata a smuovere l’irrigidimento di Palazzo Chigi. Così come non c’è stato spazio al dibattito di merito sulle concessioni balneari, materia che vede dominare un misto di lobbismo e pregiudizio. Per non parlare poi dello ius soli, in ogni sua declinazione, compreso l’ultimo ius culturae. La destra ha eretto barricate, altro che il pragmatismo invocato per gli altri. Tutto legittimo, sia chiaro, nel solco dell’ideologismo meloniano. Solo che è curioso rinfacciare agli altri l’ideologia, rivendicando per sé un pragmatismo che non c'è.
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