Il leader leghista ha subito il forfait di Wilders al raduno dell’ultradestra di domenica. Ma punta a risalire la china in campagna elettorale per arrivare sopra il 10 per cento
Il modello-Viminale, con il logoramento degli alleati, spinto all’ennesima potenza, prendendosi spazio sulla scena appena possibile. Fino a progettare la cosiddetta cosa nera d’Europa, il “black team” del gruppo Identità e democrazia che si troverà a Firenze, orfano della star, l’olandese Geert Wilders. Matteo Salvini rintuzza colpo su colpo l’iper presenza dell’alleata-avversaria, Giorgia Meloni, favorita dal ruolo istituzionale che ricopre.
La linea è quella del controcanto, il leader della Lega è esperto in materia: l’ha già sperimentato negli anni da ministro dell’Interno. L’approccio è più soft: meno scontri frontali e più guerriglie. Con l’aggiunta della ricca dotazione del ministero. Così tra una battaglia politica e un evento mediatico, punta a far risalire il partito sopra la soglia psicologica del 10 per cento, che secondo gli ultimi sondaggi si è avvicinata: la supermedia Youtrend/Agi indica il 9,5 per cento. Se alle Europee arrivasse al 12 per cento, rosicchiando punti a Fratelli d’Italia: così la parola rimpasto non sarebbe un tabù, rientrerebbe anzi nella categoria delle legittime richieste.
Derby straniero a destra
Ma serve un passo alla volta. In primis la costruzione delle alleanze all’estero. Certo, Wilders non sarà presente domenica prossima a Firenze, per il raduno del gruppo europeo Identità e democrazia, messo in cantiere con lo scopo di lanciare la sfida.
Per il padrone di casa, Salvini appunto, è una brutta notizia. La lunga campagna elettorale inizia con una falsa partenza. Wilders «vuole tenersi le mani libere in questa fase esplorativa per la formazione del governo», ha spiegato lo staff. Salvini sognava ben altro, mettendo la sua Lega al centro dell’attenzione nella domenica che lo contrappone nel derby a destra con la presidente del Consiglio Meloni, impegnata nella visita in Serbia, dove sarà accolta dal presidente Aleksandr Vucic, campione del nazionalismo conservatore. E noto per le sue simpatie putiniane.
Le agende di Meloni e Salvini si incrociano, fino a scontrarsi, in quello che è solo un antipasto della battaglia elettorale del 9 giugno 2024, data del voto alle Europee. La premier punta a oscurare l’evento di Id, sfruttando le assenze, da quella annunciata di Marine Le Pen, che manderà solo un video-messaggio, fino al forfait di Wilders. Salvini, tuttavia, non si è perso d’animo. La comunicazione del partito ha tenuto alta l’attenzione sulla convention. Come? Con una batteria di dichiarazioni contro la sinistra, a cominciare dai capigruppo di Camera e Senato, Riccardo Molinari e Massimiliano Romeo: «È vergognoso che esponenti di spicco di sinistra si dimentichino che a Firenze si incontreranno molti politici europei eletti democraticamente e stiano facendo di tutto per cancellare le basi della libertà». Nessun arretramento, dunque.
Dalle parti leghiste sono convinti che la scelta degli alleati sia buona, almeno dal punto di vista numerico. Poco male se nella compagnia ci siano i tedeschi post-nazisti dell’Afd, o gli anti islam del Partito popolare danese. Gente contro cui si prepara un cordone sanitario. I numeri premiano la linea politica oltranzista, il Rassemblement National di Le Pen punta a essere il primo partito in Francia, il Pvv di Wilders ha conquistato più seggi di tutti in Olanda.
Logoramento stile Viminale
Per seguire queste orme, in termini di successo, Salvini ha rispolverato proprio quel “modello Viminale” sperimentato nel governo Conte 1 e che ha logorato il Movimento 5 stelle. La base è la solidità della leadership interna: nessuno, da Luca Zaia a Massimiliano Fedriga, ha la forza per sfilargliela. Al momento il segretario leghista si è preso una bella porzione di visibilità. Sulla manovra economica il suo partito ha giocato sul filo del rasoio con tre emendamenti alla legge di Bilancio, firmati da Romeo, con la motivazione – per molti una scusa – di un’incomprensione.
Le proposte sono state ritirate, l’effetto punzecchiatura c’è stato. Sul mercato tutelato per l’energia, poi, Salvini ha tirato fuori gli artigli, non appena il decreto Energia bis è stato approvato, creando un caso ad hoc nel governo. «Serve una proroga», ha confermato, fiutando l’aria di un tema popolare. Si parla di soldi e di caro-bollette, in chiave antieuropea. Per Salvini è importante mettere il cappello sulla battaglia, che finora era stata condotta, in solitaria, dal ministro dell’Ambiente, Gilberto Pichetto Fratin (Forza Italia).
Il leader della Lega ha, poi, attirato l’attenzione con uno dei suoi rarissimi silenzi: il caso Lollobrigida sul treno fermato a Ciampino. Salvini, da ministro dei Trasporti, non lo ha difeso. Matteo Renzi ha annunciato un’interrogazione di Italia viva. Messo alle strette, il vicepremier potrebbe difendere Lollobrigida. Politicamente pesa la posizione espressa dal salviniano Romeo: «Sono cose che bisogna evitare». Un’altra punzecchiatura, che ha forgiato l’immagine di Salvini come unico anti Meloni. Del resto, la premier teme l’alleato più delle opposizioni.
E lo marca a uomo. Salvini, dalla sua, ha i cordoni della borsa delle infrastrutture. Sul Pnrr ha accettato una rimodulazione degli investimenti, ma ha difeso con le unghie pure l’ultimo centesimo stanziato inizialmente dal Piano. In una manovra magra ha poi portato a casa gli investimenti sul ponte sullo Stretto, che rinsalda l’asse con Forza Italia. Fa felici i presidenti di regione, Roberto Occhiuto (Calabria) e Renato Schifani (Sicilia), entrambi di Fi, oltre al valore simbolico: l’opera è un antico sogno di Silvio Berlusconi. Ma c’è un fattore non solo politico, che attiene strettamente i soldi a disposizione: muovere le leve del Ponte può diventare una macchina di consenso da qui ai prossimi anni. Anche se la prima vera scadenza è quella delle Europee.
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