Fratelli d’Italia esulta: «Autonomia approvata grazie a noi e alla premier». Sul premierato nessuna fretta, slitta il termine per gli emendamenti
Il Senato ha approvato il sudato ddl Autonomia che ora passa a Montecitorio. Sulla carta apparirebbe come una vittoria della Lega a trazione nordista, ma Fratelli d’Italia – in pura trance agonistica e famelica di consenso – racconta un’altra storia. Anzi, è in corso un ambizioso tentativo di cambiare la narrazione, per trasformare il sì all’Autonomia come il colpo di pistola che fa partire la corsa per la successione di Luca Zaia alla guida del Veneto.
Certo il testo del decreto è frutto sudato del lavoro del leghista lombardo e ministro all’Autonomia, Roberto Calderoli ed è anche vero che a premere per realizzarlo sia stato il partito di Matteo Salvini soprattutto nella sua componente settentrionale.
Però attenzione: senza il sì della premier Giorgia Meloni e il supporto di Fratelli d’Italia nel farlo procedere rapidamente nulla del genere si sarebbe fatto, è il ragionamento che si sta facendo largo nelle ricostruzioni dei meloniani. Non a caso, si incarica di dirlo in chiaro proprio Raffaele Speranzon, veneziano doc, trent’anni di militanza a destra dagli inizi nel Fronte della Gioventù fino alla fondazione di FdI e oggi vicepresidente vicario del gruppo al Senato: l’autonomia differenziata è stata approvata «per volontà di Giorgia Meloni e grazie a Fratelli d'Italia, e questo dopo che per anni io e tutti i veneti ci siamo sentiti presi in giro da governi che l'Autonomia erano stati capaci soltanto di prometterla».
Un riferimento, questo, che è una stoccata proprio alla Lega, che è stata parte del governo Conte 1 e aveva inserito l’autonomia nell’accordo di programma coi Cinque stelle ma senza riuscire a portare nulla in aula.
Appropriazione culturale
L’aggressività nei confronti degli alleati, del resto, è diventata la nuova attitudine politica di FdI, che alle prossime regionali è assolutamente intenzionata ad accaparrarsi una grande regione del nord e il Veneto è in cima alla lista. E, per farlo, cannibalizzare il tema dell’autonomia è il primo passo.
Del resto, è il ragionamento, la Lega ha spinto per correre in Aula con in mente una finalità più politica che pratica. E’ noto, infatti, che l’articolo 4 del ddl premetta che nessuna intesa potrà stringersi con le regioni che chiederanno l’autonomia se prima non saranno definiti i livelli essenziali delle prestazioni su cui sta lavorando la commissione presieduta da Sabino Cassese.
Il testo approvato, però, servirà come carburante elettorale per la Lega alle Europee di giugno, dove Salvini potrà rivendicare il risultato storico. Esattamente la stessa mossa che sta studiando FdI, puntando però al boccone davvero grosso che è il voto nel 2025 nella regione di Zaia.
Il messaggio è chiaro: altro che Lega, che da 25 anni promette l’autonomia al nord ma, in quattro governi Berlusconi, uno di Conte e uno di Draghi non ha ottenuto nulla. In appena un anno e mezzo di governo, l’autonomia è stata approvata grazie alla volontà e alla lealtà di FdI e della premier che hanno mantenuto l’impegno preso in campagna elettorale.
Così, ecco l’incantesimo: trasformare il tema fondativo della Lega nella perfetta ragione politica che giustifica il cambio della guardia a palazzo Balbi. Una ragione che, secondo FdI in Veneto, si somma ad altri due dati di fatto: alle politiche il partito di Meloni ha doppiato la Lega e ha già almeno due buoni candidati che scalpitano: il senatore Luca De Carlo, che fa riferimento all’area di Francesco Lollobrigida e la cinque volte consigliera regionale Elena Donazzan sostenuta da Adolfo Urso.
Il premierato
Per paradosso, in questa logica l’autonomia serve a FdI molto più del premierato. La riforma costituzionale è in commissione Affari costituzionali al Senato, ma senza fretta. Come ha detto il meloniano e presidente di commissione, Alberto Balboni, «non c’è urgenza» di approvare qualcosa entro le europee.
A differenza dell’approccio della Lega sull’autonomia, infatti, FdI non ha intenzione di costruire su questo la prossima campagna elettorale ma l’obiettivo è quello di approvare un testo che soddisfi soprattutto Meloni. La premier, infatti, sa che il referendum è un’eventualità quasi certa e per questo punta ad una versione finale che rispecchi le sue ambizioni.
Martedì è terminata la discussione generale e i partiti di maggioranza si sono confrontati sulle rispettive bozze di emendamenti, oggi si terrà un vertice – composto dai capigruppo e dai senatori di commissione – per trovare l’accordo sul pacchetto da presentare. L’obiettivo è quello di arrivare a formulare 8 o 10 correzioni blindate e firmate da tutti e, a riprova che non ci sia fretta, il termine ultimo per il deposito è slittato dal 29 al 31 gennaio.
Ogni passaggio, tuttavia, è nelle mani di FdI e a tirare le fila sono lo stesso Balboni e Marcello Pera, che in passato aveva espresso critiche circostanziate alla bozza Casellati. Un emendamento è sostanzialmente certo: l’eliminazione dal testo costituzionale del premio di maggioranza al 55 per cento, lasciando alla futura legge elettorale di stabilire le soglie.
La disposizione, infatti, ha raccolto critiche quasi unanimi da parte dei costituzionalisti e anche dello stesso Pera. Al vaglio, poi, c’è anche il cosiddetto meccanismo “anti-ribaltone” che prevede la possibilità di eleggere un secondo premier da scegliere tra i parlamentari di maggioranza: FdI preferirebbe il “simul simul” (alla sfiducia nei confronti del premier, segue lo scioglimento delle camere) ma su questo ci sono maggiori perplessità.
Al termine di una giornata parlamentare storica per il centrodestra, la sintesi è una sola: che sia l’autonomia o il premierato, tutto si trasforma in un tassello utile alla narrazione e all’attitudine espansionistica di FdI.
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