- L’ex ministra, al quarto giro da parlamentare, è una splendida cinquantenne che ha appoggiato tutti i segretari. E adesso corre per le primarie in attesa di devolvere il suo tesoretto di voti al nuovo regnante dem.
- Non si capacita perché le donne non facciano la ola per lei. Ha denunciato di essere discriminata per il maschilismo del Nazareno. Che in realtà l’ha premiata sempre.
- Esuberante, onnipresente, a volte ubiqua, sempre a caccia di incarichi. All’ultima direzione ha anche detto che circolano dossier su di lei. Li abbiamo cercati, non li abbiamo trovati, ma ci siamo fatti un’idea di quello che possono contenere.
«Concretamente» è il titolo del suo libro e concretamente è l’avverbio più azzeccato: perché Paola De Micheli, che si vanta di essere appunto donna concreta, ha deciso di lanciarsi al congresso del Pd, visto che le sue probabilità non di vincere – è sgradevole a dirsi ma inevitabile – ma di mettere insieme un risultato politicamente rilevante sono prossime allo zero?
I malmostosi dicono che il perché è ovvio: perché arrivata al quarto giro da parlamentare, da splendida non ancora cinquantenne con una carriera politica più che trentennale, avendo appoggiato tutti i segretari e essendo in attesa di appoggiare il prossimo, se ha una maniera infallibile per restare nel giro quella è fare il terzo uomo, la terza donna in questo caso. E ai gazebo riversare il proprio tesoretto di voti degli iscritti al vero vincente.
Per dimostrare che non abbiamo inclinazioni misogine diciamo subito che applichiamo il ragionamento pari pari anche al quarto uomo Gianni Cuperlo, l’ultimo entrato nel palio dem.
Intendiamoci, in un partito in cui anche i non iscritti, anzi precisamente una non iscritta può aspirare a diventare segretaria, l’ambizione di De Micheli è più che legittima. Anche perché quando l’ex ministra delle Infrastrutture dice di conoscere bene il Pd, dice il vero. Lo conosce bene. Da tutti i lati.
Renziana d’opposizione
Perché oltre ad essere una «militante convinta», come dice di sé, è anche una dirigente convinta. Convinta anche se ogni volta di una convinzione diversa: è stata bersaniana con Bersani, lettiana con Letta, zingarettiana con Zingaretti. In mezzo è gentiloniana nel breve regno di Gentiloni a palazzo Chigi. Ma prima renziana con Renzi, del cui governo è stata sottosegretaria.
Qui però va messa agli atti la sua smentita (al pari di tutti gli ex renziani, nega) consegnata a Maria Elena Boschi due mesi fa a Porta a Porta. La scena è memorabile, De Micheli critica l’ex segretario e l’ex premier e Boschi sbotta: «Cara Paola, non mi pare tu abbia mai avuto problemi quando eri in quel governo. Non ti sei mai dimessa, hai approvato e votato». De Micheli prova a difendersi: «Facevo la minoranza nel mio partito». Boschi implacabile: «Ti potevi dimettere e lasciare il ruolo al governo se non condividevi quell’agenda. Chi ha avuto ruoli in un governo e si è fatto una carriera politica e ora non lo difende quella esperienza, o era in malafede prima o è troppo furba adesso».
In parlamento però l’ha portata Letta, nel 2008, in un posto soffiato a Roberto Reggi, sindaco di Piacenza, cui spettava di diritto per essere uno dei pochi big che avevano sostenuto la candidatura alle primarie del 2007 del futuro premier. Lei è anche amica di Pier Luigi Bersani, piacentino anche lui. Però attenzione, per ammiccamenti e omissioni lei lascia sempre credere di essere un’ex Pci: in realtà i suoi esordi sono da consigliera comunale Dc.
È tra le animatrici del think tank lettiano Vedrò e dell’Associazione TrecentoSessanta. Del gruppetto è la più effervescente, ma vince facile sui colleghi Alessia Mosca, Gianni Dal Moro, Guglielmo Vaccaro e Francesco Sanna, Francesco Boccia, Marco Stradiotto, non proprio degli scapigliati. A via del Tritone irrompe nelle riunioni e esplode la sua vitalità travolgente: «Enrico, abbiamo fatto la mozione su Piacenza e Parma! Piacenza e Parma, si chiama così, non il contrario».
Lì De Micheli, che è già ex manager ed ex assessora, stringe amicizie non confessionali: da Mauro Moretti, ad delle Ferrovie, a Fedele Confalonieri, fido berlusconiano, al manager Alfredo Altavilla. Anche Giancarlo Giorgetti è suo caro amico, ma lui non era a Vedrò.
Da lì in avanti, tutte stelle nella vita politica. «Sono una che lavora», scrive di sé nel libro. E intrepida: «Non ho paura della fatica. Non ho paura di svegliarmi presto. Non ho paura di niente (...), nulla mi impressiona». Femminista «sostanziale e non formale», si è lanciata nella corsa per la segreteria del Pd a settembre anticipando tutti; e tutte: puntava ad essere l’unica donna in campo in un partito «maschilista» che sceglie solo ministri maschi e che elegge poche signore.
Benedetto maschilismo
Di «maschilismo» spiega di «aver sofferto» nel partito: come le altre, ma nel suo caso è un maschilismo che non le impedisce di fare carriera. E che anzi le giova se, da ministra del governo Conte, resiste alla defenestrazione: perché si è tenuta nel cassetto la valutazione costi-benefici del Tav evitando un imbarazzo ai Cinque stelle, secondo le cronache; «per misoginia», dice lei.
È in quel periodo che spiega, davanti a qualcuno di troppo, di essere «la novità» del futuro Pd post zingarettiano: «Sono la Kamala bianca», chiarisce, riferendosi a Harris, la vice di Biden. Lei smentisce l’episodio, i presenti confermano.
La misoginia, poi, non è solo un affare di maschi: nelle scorse settimane privatamente ha spiegato di esserci rimasta male del fatto che non si sia alzata la ola delle donne democratiche quando, a settembre, si è lanciata nella corsa del congresso. Essere donna era un asset esclusivo in quel momento: ma poi è arrivata Elly Schlein e il punto ha smesso di essere dirimente.
De Micheli è imprevedibile. La prefazione del suo libro, che non è precisamente un saggio della scuola di Francoforte, gliel’ha fatta nientemeno che Maurizio Di Giovanni: il grandissimo autore di Caminito, lo scrittore più venduto a Natale. Possibile? Sì, perché niente resta intentato per lei: l’ha letto, l’ha visto e l’ha convinto che «è una donna determinata e benché sia del Nord ha una grande attenzione per il Sud. Si batterà contro l’autonomia differenziata che piace a Bonaccini».
Certo, con tutta questo lavoro di relazioni, non credeva di restare così sola nella corsa. Ma se lo spiega: il fatto è che lei, che pure ha fatto il giro delle correnti, non ha «l’avallo di un pezzo dei soliti gruppi dirigenti e maître à penser». Per questo la tv non la chiama, assicura. Al suo fianco nessun big. «Segno di autonomia», rivendica. Gli è rimasto solo Vito De Filippo, ex presidente della Basilicata, e qualche notabile dei territori, «ma la base è con me». E perché? Perché «non sono il passato, sono la vera novità del congresso». Una novità conosciuta.
Il dossierino
De Micheli dice di subire discriminazioni. Durante l’ultima riunione di direzione ha esagerato e denunciato la presenza di «dossierini» su di lei. Costernazione fra i presenti. Ma dopo lo sgomento, il lampo della curiosità: e che ci sarebbe scritto in questi presunti dossierini?
Li abbiamo cercati. Non li abbiamo trovati. Possiamo però immaginarli, in uno sforzo di benevola fantasia in cui saltiamo la pagina del fact-checking del suo passaggio al ministero, quella corposa di Autostrade-Benetton, l’altra triste della Roma-Latina promessa e mai portata a termine.
Forse un foglio potrebbe essere dedicato alla volta in cui convinse i dirigenti dem a lasciarle una stanza al secondo piano del Nazareno, benché non le spettasse più perché da vicesegretaria di Zingaretti andava a fare la ministra: la spuntò giurando che con un ufficio in loco avrebbe potuto dare una mano a ricollocare i lavoratori in cassa integrazione. Non lo fece, e in un certo senso va a suo merito.
In un altro foglio potrebbe esserci traccia della sua bulimia di posti: nel 2013 si arrabbia perché da lettiana di ferro non diventa ministra. Prima ha trattato a nome della corrente, solo che tutte le trattative hanno un punto di caduta: è lei. Così diventa vicepresidente del gruppo della camera, componente della ambita commissione bilancio e della vigilanza Rai.
Inarrestabile, acciuffa ruoli anche dove non te l’aspetti: nel ‘19 Zingaretti la chiama a fare da coordinatrice della sua corsa per diventare segretario del Pd. E De Micheli che c’entra? Niente, ma l’ha mandata Gentiloni. E che c’entra con Gentiloni? In teoria poco e niente: è stata sua sottosegretaria e nel 2017 l’ha nominata commissaria al terremoto al posto di Vasco Errani.
In un altro foglio ci sarà scritto di quando nel 2020 da ministra asseconda le fantasie di Ponte sullo Stretto (di Renzi) e annuncia: «Abbiamo istituito una commissione per capire qual è lo strumento migliore per collegare la Sicilia alla Calabria. Per collegarle su ferro, su strada e con una pista ciclabile». I social si sbellicano. Il collega siciliano Peppe Provenzano, ministro del Sud, enfant terrible, non riesce a tenersi la battuta: «Dopo il ponte ci sarà il tunnel, le piste ciclabili, il monopattino, e forse la funivia. E la catapulta».
In un ultimo foglio ci sarà scritto di quando alle comunali del 2021 fu ripresa dalle telecamere al comitato del sindaco di Roma Gualtieri in festa, e dopo meno di un quarto d’ora da altre telecamere al Nazareno: un caso di teletrasporto, ma niente di male.
Niente di personale
Del resto lei non si ferma mai: alle ultime amministrative si è candidata a casa sua, Piacenza, come consigliera comunale, ha preso poco più di 400 voti, ma ha dato una mano alla vittoria della sindaca Katia Tarasconi, che pure non è fra le sue amiche.
Ma De Micheli è una che sa mettere via le questioni personali quando c’è di mezzo la politica. E così farà, c’è chi ci scommette, se arriverà terza, o addirittura quarta, e dovrà schierarsi ai gazebo con uno dei due primi classificati: anche Stefano Bonaccini non è un suo amico, ma questo non sarà un ostacolo per dichiarargli appoggio e iscriversi alla sua corrente. Già adesso, quando ha chiesto pubblicamente a Letta di anticipare le primarie, a molti è sembrato facesse un occhiolino all’indirizzo del presidente della sua regione. Ma sono malelingue, anzi misogini e maschilisti. E, anche se non per questo, comunque le diamo ragione.
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