Salvini vorrebbe ridurre il canone Rai, no di Tajani. Meloni tenta la mediazione. L’inasprimento del disciplinare per le toghe slitta al cdm di venerdì prossimo
Salta, almeno fino al prossimo consiglio dei ministri, la stretta sull’obbligo di astensione per i magistrati. Il dl Giustizia che conteneva il nuovo illecito disciplinare è infatti slittato su richiesta del vicepremier Antonio Tajani. Motivazione ufficiale filtrata da palazzo Chigi: l'assenza dei ministri di Forza Italia a causa dei vari impegni in agenda.
In realtà, sulla richiesta avrebbe influito anche il clima incandescente – a 24 ore dal vertice di maggioranza in casa Meloni – tra gli alleati sulle misure in manovra di Bilancio e in particolare su un emendamento al dl Fiscale. Lo scontro è esploso tra gli azzurri e la Lega: Matteo Salvini, infatti, ha puntato i piedi per ottenere la riduzione del canone Rai da 90 a 70 euro, scontrandosi però contro il no di Forza Italia.
La norma, infatti, è finita nel gioco di incastri delle nomine: Antonio Tajani aspetta ancora la conferma di Simona Agnes alla presidenza della Rai, ma la nomina è ancora ferma in commissione vigilanza. Nel mezzo, la premier tenta equilibrismi, con una posizione che viene descritta da fonti di maggioranza come «ecumenica». Sotto sotto l’orientamento di Meloni sarebbe più vicino a quello di FI, ma la scelta è quella di procedere con prudenza. I passi falsi, infatti, sono dietro l’angolo: meglio tirare il freno a mano nel cdm, per evitare effetti domino indesiderati. Le toghe, dunque, possono tirare un temporaneo sospiro di sollievo, anche se la prossima riunione di cdm dovrebbe tenersi venerdì mattina.
Secondo le bozze del decreto legge circolate negli ultimi giorni, all’articolo 4 si introduce un nuovo illecito disciplinare, ampliando l’attuale previsione normativa. Il dl del 2006 prevedeva come illecito disciplinare «la consapevole inosservanza dell'obbligo di astensione nei casi previsti dalla legge». A questo ora si aggiunge, ai casi «in cui è espressamente previsto dalla legge l’obbligo di astenersi», anche il dovere di astensione «quando sussistono gravi ragioni di convenienza». La formula utilizzata per il disciplinare è la stessa del codice di procedura civile, che disciplina l’astensione dei giudici, facoltativa «in ogni altro caso in cui esistono gravi ragioni di convenienza».
L’effetto, dunque, è quello per cui disciplinarmente vigerà l’obbligo di astensione in caso di «gravi ragioni di convenienza», civilmente invece permarrà la facoltatività. Tuttavia l’effetto per i giudici rimane rilevante, visto che una mancata astensione potrebbe incidere in modo negativo sulla carriera con l’apertura di un procedimento davanti alla sezione disciplinare del Csm.
Fino ad oggi la Cassazione ha interpretato la “convenienza” – prevista nel codice di procedura civile – come la «presenza di un conflitto di interessi», ma la norma disciplinare non sarebbe chiara sul punto. Tecnicamente, quindi, la nozione di «gravi ragioni di convenienza», rimarrebbe ampia e discrezionale. Dal punto di vista politico – se la formulazione verrà confermata nel prossimo cdm - è chiaro ai casi a cui il governo ha pensato nella stesura di questa norma: uno su tutti quello della giudice di Roma Silvia Albano, che aveva espresso opinioni sulla normativa in materia di migrazione e poi ha firmato il provvedimento di mancata convalida del trattenimento dei migranti nel cpr in Albania.
Le reazioni
Nel commentare la bozza, il presidente dell’Anm Giuseppe Santalucia ha detto che «la norma andrebbe scritta meglio» e ha fatto notare come questa modifica è stata resa necessaria dall’abolizione del reato di abuso d’ufficio, che sanzionava anche i casi in cui i magistrati non si astenessero pur se in conflitto di interessi. Ora «si pone il problema di ripristinare una norma generale sul conflitto di interessi per i magistrati». Tradotto: una parte del reato abrogato viene fatto rivivere in altra forma.
Tuttavia, ha aggiunto, «il conflitto di interessi non riguarda la libertà di parola», visto che i magistrati hanno «il diritto-dovere di intervenire ogni qualvolta venga messa in discussione l’autonomia», ricordando che la Consulta ha stabilito che il magistrato «non può parlare del provvedimento di cui domani si occuperà in udienza, del caso concreto, ma può parlare dei temi generali». Anche la corrente centrista di Unicost ha espresso la sua forte preoccupazione, sia per la «formulazione vaga» sia per «l'introduzione del concetto di "convenienza" che, senza un chiaro riferimento al conflitto di interessi, crea un'ambiguità pericolosa». Sanzionare disciplinarmente le opinioni «in virtù di una presunta "convenienza" ad astenersi limiterebbe la libertà di espressione».
Diversa, invece, è l’interpretazione del ministro della Giustizia Carlo Nordio, secondo cui «un magistrato ha il dovere di astenersi non soltanto nelle ipotesi tassativamente previste dai codici, ma anche quando un buon senso di responsabilità e deontologia gli fa capire che si è espresso in un determinato settore in un certo momento è bene che non si pronunci nel provvedimento giurisdizionale sul medesimo oggetto». E ancora «il magistrato ovviamente ha libertà di pensiero però più parla e più si espone al rischio di minare la sua credibilità».
E il viceministro alla Giustizia Francesco Paolo Sisto, ha aggiunto che «non si tratta di mettere un bavaglio» ma «c'è un problema di misura, in un ruolo delicato».
Lo scontro dunque è rimandato, in attesa che la maggioranza si riallinei anche rispetto agli altri dossier.
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