Nel Gorgia, Socrate assimila il rètore al cuoco: entrambi sono esperti nell’arte della manipolazione. Rientra in questo modello di retorica la risposta di Ernesto Galli della Loggia alla replica che abbiamo opposto alla sua lettura del nostro Democrazia afascista (si veda il Corriere della Sera del 25 e del 29 maggio scorsi).

La chiusura perentoria è una perla di sofismo: dopo aver, lui, sollevato la polvere con quella recensione brutale, decide che i malcapitati debbano tacere. Come abbiamo osato? Da bimbi si usciva dal gioco che non dava soddisfazione con un “Basta, me ne vado!”. Noi, tuttavia, che bimbi non siamo più, riprendiamo proprio da quel “Basta!” e riavvolgiamo la pellicola per ritornare al principio, alla recensione dell’opinionista del Corriere.

La censoria lettura di Galli della Loggia si erge su tre pilastri: la manipolazione; il semplicismo; l’identificazione di cose dissimili. Tre ingredienti che valgono a far passare per vero quel che non è, con lo scopo di convincere il lettore a fidarsi del sapiente cuoco. Al lettore noi chiediamo però di “non berla”, e a questo scopo mostriamo come il suo argomento si regga su tre pilastri di sabbia.

Manipolazione

«Secondo i nostri autori la sola democrazia veramente tale è quella “sovversiva”», capace di incarnare «un processo rivoluzionario che sovverte potentati e dominazioni e la cui opera non è mai compiuta». Galli della Loggia manipola in questo modo il nostro testo, mettendoci in bocca una citazione di Norberto Bobbio (un autore a suo tempo bastonato dal nostro recensore per il suo “azionismo”). Così cucinata, la frase è davvero insostenibile: nessuno studente passerebbe mai l’esame ripetendola. Ma non è questo il testo che si può leggere nel nostro libro (pp. 18-19), che recita invece: «In tutti i paesi oggi democratici la democrazia è stata conquistata contro forze avverse interne e/o esterne: per esempio, contro il potere coloniale straniero oppure quello esercitato da una parte della società nazionale sull’altra.

La tensione contro le forze avverse antiche e nuove non scompare con la scrittura della costituzione, perché quello democratico è un processo “rivoluzionario” che sovverte potentati e dominazioni, e la cui opera non è mai compiuta. Come scrisse Norberto Bobbio, la democrazia è “sovversiva nel senso più radicale della parola perché, dovunque arriva, sovverte la tradizionale concezione del potere, tanto tradizionale da essere considerata naturale, secondo cui il potere – si tratti del potere politico o economico, del potere paterno o sacerdotale – scende dall’alto al basso”».

Bobbio, che scriveva queste parole nel volume Quale socialismo? (1976) intendeva con ciò sottolineare in che modo fosse da intendersi il processo democratico “rivoluzionario”: come permanente lavoro di formazione e revisione delle decisioni prese. Un processo non facile, perché il potere costituito tende a consolidarsi e accentrarsi e il potere dei cittadini (indiretto per lo più) deve avvalersi essenzialmente delle parole e delle opinioni, cioè trasformare la volenza in critica (le elezioni sono un metodo per cacciare chi governa senza far saltare il sistema).

Si tratta di un’idea affatto originale. Ripetuta, in forme diverse, dai proceduralisti minimalisti (per esempio Adam Przeworski e altri meno noti che popolano i dipartimenti di scienze politiche nelle università europee e americane) e dai proceduralisti normativi (per esempio Jürgen Habermas). Tra gli autori moderni che hanno ispirato questa lettura contemporanea ci sono Alexis de Tocqueville (per il quale la democrazia si correggere con più democrazia), i pragmatisti americani (John Dewey in testa) e alcuni critici del totalitarismo del Secondo dopoguerra, a cominciare da Claude Leforf, il quale, non a caso, parlò della democrazia come dell’unica forma politica in cui il potere non appartiene a nessuno e non risiede in nessuna istituzione in particolare (neppure nel parlamento); in questo senso la democrazia designa lo spazio vuoto del potere. Che si tratti di idee “rivoluzionarie” non c’è dubbio. Ma la lettura rozza che di questa idea “rivoluzionaria” e “sovversiva” ci propina Galli della Loggia non ha nulla a che fare con tutto ciò. Anche se ha una studiata funzione polemica: farci apparire faziosi e intolleranti; anzi, pericolosi, al punto da scrivere nell’incipit che se la democrazia italiana ha problemi è perché circolano ancora libri come il nostro.

Semplicismo

Scriviamo nel libro: «La destra che ha vinto le elezioni politiche il 25 settembre 2022 condivide l’idea di democrazia minimalista e antisocialdemocratica, quella che in questo volume chiamiamo afascista». Galli della Loggia usa questa frase per appiccicarci addosso una veste totalitaria, o si è socialdemocratici o non si è democratici. In realtà nel nostro libro diciamo che le destre contemporanee si appoggiano parzialmente alla teoria della democrazia come regole del gioco, solo parzialmente. Infatti la teoria proceduralista come sistema di regole del gioco non è avaloriale.

Hans Kelsen aveva molto chiara l’idea che la democrazia è una lotta per la libertà politica contro l’autocrazia, e che le regole sono forme sostanziali che consentono, appunto, di riprodurre l’ordine legale dinamicamente e mediante il conflitto tra partiti e parti. Lo stesso Joseph A. Schumpeter, il maestro del minimalismo, faceva seguire alla sua classica definizione di democrazia come metodo per selezionare un’élite politica una puntuale lista di condizioni che definiremmo valoriali: pluralismo, diritti civili e politici, libertà di stampa e associazione, minime condizioni di opportunità socio-economiche.

Se poi giungiamo a Robert A. Dahl, questa “valorialità” della teoria procedurale diventa ancora più esplicita, dato che ai suoi occhi, per impedire la formazione di una gerarchia oligarchica, è indispensabile che l’informazione non dipenda dal potere costituito e che non venga meno un benessere minimo dei cittadini. Nella nostra Costituzione, tali idee si trovano scolpite negli articoli della Prima parte. Semplificando tutto questo, Galli della Loggia ci presenza come dei teorici totalitari della socialdemocrazia!

Identificazione di cose dissimili

Noi scriviamo nel libro che «l’elezione diretta del presidente dell’esecutivo stride fortemente con il modello, non tanto o non solo di una democrazia parlamentare, ma anche e primariamente di una leadership democratica che non è mai la diretta trasposizione di una maggioranza, perché sa di essere rappresentativa della cittadinanza tutta, non soltanto della parte che governa». Galli della Loggia si chiede che cosa questo significhi, visto che, scrive, ci sono al mondo importanti democrazie con sistemi presidenziali. Il premierato nostrano non è forse la stessa cosa? Forse che «non sarebbero “leadership democratiche” quelle che governano ad esempio in Francia e negli Stati Uniti?».

Un errore notevole questo, poiché nei sistemi presidenziali menzionati l’elezione diretta del presidente (tra l’altro neppure tale negli States) non avviene insieme all’elezione della maggioranza parlamentare, come vorrebbe la proposta di riforma Casellati-Meloni. La notoria tirannofobia repubblicana indusse infatti i costituenti americani del Settecento addirittura a prevedere che il rinnovo del Congresso avvenisse parzialmente e in tempi diversi così da evitare il “despotismo della maggioranza”. Nella proposta governativa, che il nostro recensore benedice, si propone proprio quel che James Madison avrebbe aborrito: in un solo colpo si elegge il capo del governo e la maggioranza parlamentare.

Nella nostra risposta pubblicata sul Corriere abbiamo cercato di discutere. La replica violenta di Galli della Loggia ci ha indotto però a intervenire nuovamente per fare chiarezza. La sua è stata una stroncatura prevedibile: dopo la sua annosa bastonatura dell’azionismo non poteva che prendersela anche con noi. Non sapendo che cosa sia la democrazia loggiante (o loggistica), ci limitiamo a mostrare la disonestà intellettuale (manipolazione), la scarsa conoscenza della teoria democratica (semplificazione) e l’erronea identificazione di cose diverse. Ci fermiamo, augurandoci che i lettori del nostro libro non siano dogmatici come il recensore del Corriere. Le idee si discutono, i dogmi si dichiarano, e restano senza tempo. Sono a questi ultimi che non si addice né la democrazia né la discussione pubblica.

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