- Giovedì il vertice delle destre, Pd e M5S non voteranno Berlusconi, ma devono rassegnarsi: il bis di Mattarella non ci sarà. Il capo dello stato chiede “spirito collaborativo nelle istituzioni”. Letta rilancia sulla legge Zan, ma è un diversivo.
- I giallorossi rischiano di essere tagliati fuori dalle manovre per il Quirinale. Il centrosinistra non ha i voti per eleggere autonomamente.
- Più vicino alla meta il centrodestra: ha 450 grandi elettori, per arrivare ai 504 voti che servono dal terzo turno basta una manciata di voti dal misto fra quelli che, alla spicciolata «in questi giorni stanno cercando Silvio per offrirsi», assicura un ex uomo di governo che sente spesso l’ex cavaliere.
Sarà giovedì a Villa Grande, la nuova residenza di Silvio Berlusconi a Roma, il primo vertice ufficiale di una coalizione, il centrodestra, per discutere del candidato comune al Quirinale. Matteo Salvini, in ansia competitiva con Giorgia Meloni, si è dato un gran da fare a proporre tavoli. Ma alla fine è stato l’anziano ed esperto leader azzurro a convocare gli alleati. Di persona, al telefono, anche per fugare i veleni, sempre circolanti, sulla sua (presunta) precaria salute. Un confronto del resto è urgente.
Il fratelli coltelli Salvini e Meloni ormai fanno a gara a chi lancia la frecciata più velenosa all’altro. Ma sono uniti nella freddezza verso la candidatura di Berlusconi. L’ex cavaliere l’ha capito e cerca di costringerli a un gesto di devozione, magari per poi scegliere di rinunciare alla corsa. La leader di Fratelli d’Italia, durante il programma “Un giorno da pecora” su Radio1, cerca di rassicurarlo: «Voto Berlusconi se conferma di volersi candidare», ma, spiega, non sa se l’intenzione sia vera.
Dal canto suo Salvini assicura che «il nome di Berlusconi non dividerà il centrodestra». Se non è Berlusconi il vero nome della coalizione, non lo sarebbe neanche Letizia Moratti, che piace alla leader di FdI. Salvini si è affrettato a liquidare la vicenda dell’incontro segreto fra le due donne riferita da Repubblica come «una montatura di panna».
Il punto è che, se trovassero un bandolo comune, le destre avrebbero il numero di voti più vicino a quelli che servono per eleggere il nuovo presidente. Hanno 450 grandi elettori: 196 della Lega, 128 di FI, 58 di FdI, 30 di Coraggio Italia-Cambiamo-Idea, 5 di Noi con l’Italia, ai quali si aggiungeranno 33 delegati regionali.
Per arrivare ai 504 voti che servono dal quarto turno, basta una manciata di voti dal gruppo misto fra quelli che, alla spicciolata «in questi giorni stanno cercando Silvio per offrirsi», come assicura un ex uomo di governo che sente spesso il leader di FI. Poi c’è anche una riserva aurea: i voti di Italia viva, quelli che Matteo Renzi avrebbe promesso, se determinanti per eleggere l’ex cavaliere. Ma la competizione fra Lega e FdI rischia di lasciare uno spazio di manovra ad altri: il borsino dà verso il basso le azioni di Paola Severino e Marta Cartabia, in risalita quelle di Pier Ferdinando Casini.
La posizione di Mattarella
Sergio Mattarella ha ribadito implicitamente ai più recalcitranti – a sinistra – la sua intenzione di non accettare un bis parlando, alla conferenza degli ambasciatori e delle ambasciatrici alla Farnesina, dell’«ultima occasione» in cui poteva rivolgersi loro. Più tardi, nel pomeriggio, allo scambio degli auguri con i rappresentanti delle istituzioni, ha auspicato che lo «spirito costruttivo e collaborativo» diventi «un tratto stabile dei rapporti istituzionali». Un augurio di unità anche sul nome di Mario Draghi?
Riposto il sogno della permanenza di Mattarella al Quirinale, i giallorossi puntano almeno a non essere tagliati fuori dalle manovre. Il centrosinistra, per la prima volta, non ha i voti per eleggere. Letta e Conte uniscono le loro debolezze, anche se nel M5s c’è chi riferisce che Luigi Di Maio lavori a un candidato della destra. Il presidente del M5s, Giuseppe Conte, esclude il voto dei suoi su Berlusconi e Moratti. E il segretario dem rilancia la legge Zan, annunciando che da aprile – cioè da quando scadranno i sei mesi di stop inflitti dal Senato al ddl – il Pd rilancerà il tema con un nuovo testo. Ma sono diversivi. Aprile è lontano. Sarà la partita del Colle a decidere il calendario, anche delle aule.
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