- La proposta di legge sul suicidio assistito apre un nuovo fronte di scontro in parlamento.
- Ieri, in una seduta congiunta delle commissioni Giustizia e Affari sociali alla Camera, il centrodestra ha bloccato la presentazione del testo base sul fine vita perché i due relatori, Alfredo Bazoli del Pd e Nicola Provenza del M5s,sono solo espressione della precedente maggioranza giallorossa.
- L’opposizione al provvedimento, per ora, sarebbe quindi sul metodo e non sul merito. Intanto il 20 aprile i rappresentanti dell’Associazione Luca Coscioni hanno depositato in Cassazione un quesito referendario sulla depenalizzazione dell’eutanasia.
La proposta di legge sul suicidio assistito apre un nuovo fronte di scontro in parlamento. Ieri, in una seduta congiunta delle commissioni Giustizia e Affari sociali alla Camera, il centrodestra ha bloccato la presentazione del testo base sul fine vita perché i due relatori, Alfredo Bazoli del Partito democratico e Nicola Provenza del Movimento 5 stelle, sono solo espressione della precedente maggioranza giallorossa. Un copione che si è ripetuto identico nei giorni passati per l’istituzione della commissione d’inchiesta sulla magistratura. «Scriveremo al presidente della Camera Fico affinché spieghi, a chi fosse sfuggito, che l’attuale maggioranza è composta anche dalla Lega e da Forza Italia», dice Roberto Turri, capogruppo della Lega in commissione Giustizia. L’opposizione al provvedimento, per ora, sarebbe quindi sul metodo e non sul merito. Dall’altra parte, il relatore del Pd, Bazoli, apre alla condivisione e sottolinea che il testo è solo «un’ipotesi di partenza, senza la pretesa di essere conclusivo». Sul percorso della legge, però, pesano già oltre due anni e mezzo di ritardo del legislatore rispetto alla prima sollecitazione della Corte costituzionale.
Il ritardo del parlamento
Nell’ottobre 2018, la Consulta, chiamata a decidere sul caso Dj Fabo-Cappato, aveva lasciato alle camere un anno di tempo per compensare il vuoto legislativo sul tema dell’aiuto al suicidio. Scaduto il termine senza che il legislatore fosse intervenuto – all’epoca, la maggioranza Lega-Movimento 5 stelle – a novembre 2019, la Corte costituzionale, con una sentenza storica, ha stabilito che l’aiuto al suicidio non è punibile, dal punto di vista penale, in presenza di quattro condizioni: il trattamento deve riguardare una persona tenuta in vita «da trattamenti di sostegno vitale» (per esempio, l’idratazione e l’alimentazione artificiale), «affetta da una patologia irreversibile», «fonte di intollerabili sofferenze fisiche o psicologiche», ma che sia ancora «pienamente capace di prendere decisioni libere e consapevoli».
Il testo base presentato da Partito democratico e Movimento 5 stelle ripete – con la stessa terminologia – le indicazioni della Consulta, né più né meno, restringendo solo a queste circostanze i casi in cui l’aiuto al suicidio verrebbe depenalizzato. Nella proposta, la procedura viene definita «morte medicalmente assistita». In più, si specifica, sempre nel solco tracciato dalla Consulta, il paziente deve già essere assistito «dalla rete di cure palliative» o averle rifiutate. In altri termini, al malato terminale sarà prima richiesto di valutare la sedazione palliativa continua profonda – già oggi legale – che lo porterebbe a uno stato di incoscienza perenne, ma non alla morte.
La proposta di legge provvede a indicare la procedura che le Asl o gli ospedali dovrebbero seguire. Il punto è ancora oggi il problema principale anche dopo la decisione dalla Corte costituzionale, che infatti concludeva la propria sentenza sollecitando una «compiuta disciplina da parte del legislatore».
La domanda di suicidio assistito di un paziente verrebbe valutata da un Comitato per l’etica nella clinica competente dal punto di vista territoriale. Questo organismo sarebbe multidisciplinare, composto da «professionisti con competenze cliniche, psicologiche, sociali e bioetiche». Un altro aspetto importante: se dovesse essere approvata, la legge sarebbe anche retroattiva e renderebbe non più punibile chiunque sia stato condannato, anche con sentenza passata in giudicato, per aver aiutato a morire un paziente che presentasse le condizioni delimitate dal provvedimento (e dalla Consulta).
Non è eutanasia
Il suicidio assistito o “morte medicalmente assistita” non è equivalente all’eutanasia. Nel primo caso, infatti, il paziente avrebbe solo la possibilità di auto-somministrarsi il farmaco letale. Nel secondo, invece, l’intervento di accompagnamento alla morte avverrebbe per mano di terzi.
La differenza è enorme dal punto di vista giuridico, e non solo. Infatti, il 20 aprile i rappresentanti dell’Associazione Luca Coscioni – Marco Cappato, Mina Welby e Filomena Gallo – hanno depositato in Cassazione un quesito referendario sulla depenalizzazione dell’eutanasia in cui si chiede la parziale abrogazione dell’articolo 579 del Codice penale sull’«omicidio del consenziente». Secondo Cappato, se sul fine vita il «parlamento dovesse limitarsi a fare una legge per ripetere quello che ha già stabilito la Corte costituzionale, sarebbe un’occasione persa» per affrontare in maniera davvero efficace il tema.
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