Il voto a fine ottobre. L’ipotesi election day con Umbria ed Emilia-Romagna preoccupa la destra. Orlando in pole per il centrosinistra, anche Renzi ci sta e spiazza di nuovo i suoi. Le cautele di Calenda
I novanta giorni entro i quali si dovrà tornare al voto in Liguria scatteranno, da statuto, a partire da martedì prossimo, quando le dimissioni del presidente Giovanni Toti, rassegnate questa mattina, saranno formalizzate al Consiglio regionale. Calendario alla mano, si arriva all’ultima settimana di ottobre. La scelta spetta formalmente alla regione, ma deve essere ratificata dal Viminale.
Qui arriva il primo nodo politico: nei palazzi circola l’ipotesi di election day, i primi di novembre, con il voto di Umbria ed Emilia-Romagna. Alle singole regioni cambia poco, giusto qualche settimana in più o in meno di campagna elettorale. Ma nella destra circola un calcolo: l’election day non conviene. Non conviene rischiare che, nel racconto mediatico, l’Emilia-Romagna, dove domina la sinistra, faccia da traino positivo per l’Umbria e, nel caso, per la Liguria.
Una tripletta negativa per la maggioranza non sarebbe una «questione locale». Sarebbe una mazzata per Giorgia Meloni. Per la presidente del Consiglio lo zero a tre è l’incubo nuovo di zecca, che oggi si è aggiunto a tutti gli altri guai che gli sono piovuti addosso dalle europee, dalle sfortunate trattative brussellesi alle risse nella sua maggioranza.
Liguria alla Lega
Le dimissioni di Toti sono arrivate dopo 80 giorni di arresti domiciliari. Ha provato a resistere, per contare ancora, spingere più avanti la data del voto e dare il tempo alla destra di riorganizzarsi. Ma è rimasto solo. Al netto delle parole di solidarietà dei colleghi, i suoi tentativi di confrontarsi con i leader nazionali sono andati a vuoto: escluso incontrare la premier dai domiciliari, avrebbe voluto parlare almeno con Giovanni Donzelli, o Antonio Tajani. Non se n’è fatto nulla.
La visita di Matteo Salvini, autorizzata dai giudici, è saltata per il suo secondo arresto. I messaggi da Roma però sono arrivati, chiari e forti: il leghista Alessandro Piana, presidente ad interim e suo ex vice, ha detto no al trasferimento della nave rigassificatrice da Piombino a Vado Ligure. L’opposto di quello che Toti ha sempre affermato.
Quel no è stato un ordine di Salvini. Che ora ha convinto a correre Edoardo Rixi, capo della Lega ligure, e unico nome possibile per tutta la destra, in tempi così stretti. FdI ci sta. Perché il leghista si prende una Liguria in bilico, ma cede ai meloniani il futuro candidato nel Veneto, regione che va al voto nel 2026. Toti dunque ha ceduto: l’ipotesi di rito abbreviato è per lui la possibilità di difendersi da libero, e di non restare troppo a lungo sulla graticola giudiziaria.
La certezza delle sue dimissioni circolava da qualche giorno. Oggi la destra ha solidarizzato con lui per essere stato costretto a cedere ai «ricatti» della magistratura. Ma il Guardasigilli Carlo Nordio, che ha criticato l’ordinanza di arresto – scelta incredibile per un ministro della Giustizia a indagini in corso – comunque non ha inviato gli ispettori ministeriali.
Maurizio Lupi, capo di Noi Moderati, ultimo domicilio politico dell’ex delfino di Berlusconi, parla di arresti «come metodo di pressione sull’indagato», Rixi di «fallimento della democrazia». Ma sono frasi da onore alle armi.
Orlando ma con cautela
Opposte le reazioni del centrosinistra che il 25 luglio si è riunito quasi al completo in piazza a Genova per reclamare la chiusura dell’èra Toti. Elly Schlein parla di una Liguria «tenuta ai domiciliari per 80 giorni» e il segretario regionale del Pd ligure, Davide Natale, parla di «disastro del centrodestra», «la sanità allo sbando, l’opacità nell’amministrazione, l’assenza di politiche ambientali, la mancanza di un piano industriale capace di rilanciare la presenza di grandi gruppi nella nostra regione e politiche per la casa e per le nuove generazioni del tutto assenti». Ma il punto, da questa parte, è quello che succede ora.
Il candidato in pole è da tempo Andrea Orlando. Che del resto chiede le dimissioni di Toti da prima dell’inchiesta giudiziaria denunciando «l’oligarchia predatoria» che ha tenuto in ostaggio la regione «con un intreccio perverso tra interessi economici di pochi e gestione amministrativa».
Orlando era in piazza il 25 luglio. Dal palco Schlein, Conte, Fratoianni e Bonelli hanno di fatto stretto un patto fra alleati. Ma ora il centrosinistra deve procedere con cautela per massimizzare il vantaggio: prima riunire il tavolo della coalizione, poi discutere del candidato. Raffaella Paita, numero due di Italia viva nazionale e numero uno di Iv ligure, fin qui è stata descritta come perplessa sul nome di Orlando, suo avversario interno ai tempi del Pd.
Ma Matteo Renzi, nel nuovo mood coalizionista, ha chiuso la discussione: «Iv starà insieme per le regionali, anche in Liguria». Ammirevole spigliatezza politica, la sua. Poco più di un mese fa diceva: «Con Orlando candidato Toti vince anche dai domiciliari». Dal Pd ligure porte aperte, certo, ma con qualche condizione: Iv a Genova è in giunta con Marco Bucci, peraltro politicamente collegatissimo a Toti. Difficile che non chieda l’uscita da quella giunta.
Anche Azione per ora fatica ad avvicinarsi: i calendiani liguri hanno lavorato con il centrosinistra all’opposizione di Toti. Ma a Roma il garantista Enrico Costa avverte: «I partiti del campo largo non vanno d’accordo su nulla, tranne che su un punto: abbattere l’avversario per via giudiziaria. Chi ci si allea condivide questo schema». Sembra più un avviso a Calenda, che infatti è molto cauto: «Non accetteremo candidati imposti e ipoteche grilline sul programma».
Il Pd riunirà martedì la segreteria regionale, e sabato l’assemblea: all’ordine del giorno fin qui c’era solo l’approvazione del bilancio, ma ovviamente si parlerà della futura coalizione. Rixi, come avversario, è forte nei consensi: ma è in piena continuità con il governatore uscente, ed è un altro vantaggio per gli avversari.
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