- A seguito dei disordini accaduti a Napoli in occasione della partita con l’Eintrach Francoforte, alcuni hanno messo sotto accusa il Tar che ha annullato il provvedimento con cui il prefetto aveva vietato la vendita dei biglietti ai residenti in Germania
- Altri, invece, hanno imputato al Viminale la responsabilità di non aver impedito l’arrivo dei tifosi. Ma il Tar non poteva che annullare un provvedimento amministrativo carente di motivazioni e il ministro dell’Interno non avrebbe potuto vietare ai tifosi l’entrata in Italia
- Tuttavia, sul piano della sicurezza, il Viminale avrebbe dovuto disporre misure più efficaci
A seguito dei disordini accaduti a Napoli in occasione della partita di Champions League tra la squadra di casa e l’Eintrach Francoforte, molti hanno messo sotto accusa il tribunale amministrativo regionale (Tar), che aveva annullato il primo provvedimento che il prefetto di Napoli aveva indirizzato ai tifosi tedeschi. Altri, invece, hanno imputato al ministro dell’Interno la responsabilità di non aver impedito l’arrivo dei tifosi stessi. Occorre fare un po’ di chiarezza su questi e altri profili, anche per capire come sono andate le cose e quali fossero i poteri esercitabili dalle autorità coinvolte.
I fatti
L’8 marzo scorso, in vista della partita di calcio tra il Napoli e l’Eintrach Francoforte del 15 marzo, il prefetto di Napoli aveva disposto il «divieto di vendita dei tagliandi ai residenti in Germania per tutti i settori dello stadio».
Il Tar, su ricorso della squadra tedesca, aveva disposto in via cautelare la sospensione del provvedimento, in quanto non sufficientemente motivato, non essendo stati individuati «specifici elementi di rischio relativi alla partita di ritorno di Champions League». Per il tribunale, non poteva essere considerato come tale quanto accaduto nell’«unico incontro delle tifoserie in occasione della partita di andata» ed erano pure «irrilevanti i riferimenti alla rivalità con altra tifoseria gemellata» con quella tedesca. Inoltre, il Tar aveva giudicato il divieto di vendita dei biglietti come manifestamente sproporzionato, in quanto destinato a «tutti i residenti in Germania».
Successivamente, il prefetto di Napoli aveva emesso un nuovo provvedimento con cui vietava la vendita dei tagliandi ai soli «residenti a Francoforte». Il Tar, respingendo l’istanza cautelare presentata dalla squadra tedesca, aveva ritenuto legittimo questo secondo provvedimento, poiché proporzionato e «cospicuamente integrato sul piano motivazionale». Proporzionato poiché limitato ai residenti a Francoforte, dato che «i gruppi di ultras sono nella quasi totalità riconducibili a persone di Francoforte e che gli episodi di contrasto con la tifoseria napoletana si sono verificati in quella città». Quanto alla motivazione, il Tar aveva rilevato «plurimi e circostanziati profili di rischio per la pubblica sicurezza (…) desunti da nuove informative di polizia, anche promananti delle autorità tedesche, dall’esame e monitoraggio di canali web e social, da approfondimenti istruttori», relativi – tra le altre cose - a incidenti ascrivibili alla stessa tifoseria, avvenuti «in molte precedenti trasferte».
Tutto questo, unitamente al «sentimento di “rivalsa”» derivante dagli scontri verificatisi in occasione dell’incontro di andata, faceva «presagire azioni violente delle opposte tifoserie che, in ottica cautelare e preventiva, dovrebbero potersi scongiurare». Al riguardo, tuttavia, si rilevava che «gli ordinari servizi di polizia», svolti in concomitanza con l’arrivo dei tifosi della squadra ospite, non sembravano sufficienti a «contenere ed escludere i paventati rischi».
Osservazioni in diritto
Con riguardo al primo divieto del prefetto, dev’essere innanzitutto considerato il profilo delle motivazioni, ritenute carenti dal Tar. Qualunque provvedimento amministrativo dev’essere compiutamente motivato, altrimenti può essere dichiarato illegittimo. Quindi, è mistificatorio attribuire al giudice amministrativo un’indiretta responsabilità per gli incidenti, partendo dall’assunto che l’intervento prefettizio oggetto di annullamento avrebbe potuto scongiurare il verificarsi degli stessi. Premesso che quest’assunto è infondato – come si vedrà – le responsabilità andrebbero attribuite non al tribunale che ha annullato un provvedimento illegittimo, ma a chi ha emesso un divieto non conforme a quanto prescritto dalla legge.
Il secondo profilo da rilevare riguarda la mancanza di proporzionalità del provvedimento del prefetto: tale provvedimento era destinato a tutti i residenti in Germania, cioè a circa 83 milioni di persone, nel presupposto della loro pericolosità in relazione dell’evento calcistico. Era palese che, senza supportare questa valutazione di pericolosità generalizzata con una motivazione idonea, il provvedimento non avrebbe superato il vaglio dei giudici. Vaglio che, invece, è stato positivo nel momento in cui la platea dei destinatari è stata ridimensionata e l’atto è stato supportato dall’indicazione di motivi di rischio adeguati.
Ma anche ove fosse rimasto valido il primo provvedimento del prefetto, il risultato non sarebbe stato diverso. Il divieto di vendita dei biglietti a tutti i cittadini tedeschi mirava a dissuaderli dall’arrivo in Italia. Arrivo che è comunque avvenuto, anche quando il divieto è stato destinato, in seconda battuta, a una categoria più ristretta di persone, non fermate dal fatto di non poter assistere alla partita. Quindi, a maggior ragione, non sarebbe stato fermato un numero più ampio di destinatari, con buona pace di chi reputa che ciò sarebbe avvenuto se il Tar non avesse annullato il primo provvedimento.
Qualcuno si è chiesto se si sarebbe potuto impedire l’arrivo dei tifosi tedeschi in Italia, non limitandosi a vietare loro l’acquisto dei biglietti. Ciò sarebbe stato impossibile in ogni caso, quindi anche ove fosse intervenuto il ministro dell’Interno, Matteo Piantedosi, esercitando il potere di “divieto di trasferta” previsto dal decreto in materia di sicurezza negli impianti sportivi (art. 4, d.l. n. 119/2014, con modifica della l. n. 401/1989), che consente al Viminale di agire, al di fuori delle ipotesi di competenza del prefetto, per «gravi episodi di violenza» in occasione di competizioni calcistiche. Il “divieto di trasferta”, infatti, non si traduce nel divieto di movimento dei tifosi, bensì nel potere del ministro di precludere l’accesso al «settore ospiti degli impianti sportivi in cui si svolgono gli incontri di calcio» in relazione ai quali c’è un pericolo di turbativa dell’ordine pubblico, con il divieto di «vendita di titoli di accesso ai medesimi impianti sportivi nei confronti dei residenti della provincia delle squadre ospiti interessate».
Quindi, a Piantedosi non può essere imputata la responsabilità di non aver bloccato i tedeschi. Anche perché l’ultima volta in cui sono state chiuse le frontiere fra paesi dell’Unione europea è stato in pandemia: la libertà di circolazione è garantita dal trattati dell’Ue e, salvo gravi motivazioni, non può essere limitata, tanto meno dal provvedimento di un ministro. Quest’ultimo, tuttavia, sarebbe potuto comunque intervenire in modo più efficace.
Le responsabilità di Piantedosi
Come emerge dalla decisione del Tar, «gli ordinari servizi di polizia» non sarebbero stati sufficienti a «contenere ed escludere i paventati rischi» di scontri fra le opposte tifoserie. Il ministro dell’Interno, anche in forza di questo rilievo, avrebbe dovuto elaborare una strategia più efficace per contenere i disordini. Perché se è vero che il prefetto è autorità provinciale di pubblica sicurezza (art. 13, l. n. 121/1981), il ministro dell’Interno è la massima autorità nazionale di pubblica sicurezza, in quanto titolare di tutte le attività connesse alla gestione dell’ordine e della sicurezza pubblica, al coordinamento tecnico-operativo delle forze di polizia, alla direzione e amministrazione della polizia di stato e molto altro (art. 1, l. n. 121/1981).
Pertanto, quando i servizi ordinari non sono sufficienti, come emerso ex ante nel caso in esame, il ministro deve intervenire predisponendo quanto necessario a contenere un rischio che è stato riconosciuto come straordinario. È ciò che, evidentemente, a Napoli è mancato. Cosa si sarebbe potuto e dovuto fare per evitare che la città fosse messa a ferro e fuoco? La risposta spetta a Piantedosi, che vanta anche una lunga esperienza da prefetto. Del resto, un tecnico al potere, che già non brilla per capacità di comunicazione – come si è visto, da ultimo, in occasione del naufragio di Cutro – non dovrebbe almeno mostrare brillanti capacità di risolvere i problemi di competenza del suo ministero?
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