- Leonardo, il nostro colosso degli armamenti guidato da Alessandro Profumo, qualche giorno fa ha assunto Simone Tabacci. Lo stipendio è inferiore ai 100mila euro l’anno.
- Non si tratta di un manager qualsiasi, ma del figlio di Bruno Tabacci, potente sottosegretario alla presidenza del Consiglio e braccio destro del premier Mario Draghi, che ha dato all’amico deleghe fondamentali per la programmazione economica del governo e sulla partecipata di Stato.
- La decisione, da quanto risulta a Domani, è stata presa dall’ad e dai suoi uomini più fidati. Ora c’è il rischio di un triplice conflitto di interessi.
Leonardo, il nostro colosso degli armamenti, qualche giorno fa ha assunto Simone Tabacci. Domani ha scoperto che non si tratta di un manager qualsiasi, ma del figlio di Bruno, sottosegretario alla presidenza del Consiglio e braccio destro del premier Mario Draghi, che ha deleghe fondamentali per la programmazione economica del governo e ha voce in capitolo, come vedremo, anche sulla strategica partecipata di Stato.
La decisione, a quanto pare, è stata presa dall’amministratore delegato Alessandro Profumo e dai suoi uomini più fidati, che (come confermano fonti dell’azienda e il curriculum su Linkedin) hanno piazzato il 49enne nella divisione chiamata Chief strategic equity officier, oggi guidata da Giovanni Saccodato. Un ufficio-chiave della multinazionale, dove si coordinano tutte le partecipazioni e delle joint venture strategiche della spa romana di Piazza Montegrappa.
La scelta rischia di dispiacere non solo chi teme che l’ex Finmeccanica sia diventata una sorta di buen ritiro per stipendiare con i soldi pubblici politici e consanguinei (se Tabacci è stato assunto come quadro con uno spidendio sotto ai 100 mila euro l’anno, Profumo di recente ha creato due fondazioni piazzandoci democrat di peso come Luciano Violante e Marco Minniti, che ne prende circa 300 mila) ma anche pezzi della maggioranza e dello stesso esecutivo.
Conflitto di interesse
Il conflitto d’interesse è infatti triplice: non solo Tabacci padre è onorevole di Centro democratico e tra i principali consiglieri economici di Draghi di cui è amico personale «dai primi anni ‘80» come lui stesso ha raccontato, ma quattro mesi fa ha ottenuto dal premier anche le deleghe alle politiche aerospaziali italiane. Un comparto fondamentale per l’ex Finmeccanica, curato dalla divisione dove è stato assunto il figlio di Tabacci. Non a caso Saccodato, che la guida, è presidente del cda di Thales Alenia Space e vicepresidente di Mbda e Telespazio.
Abbiamo provato a fare qualche domanda a Simone, ma ha declinato spiegando di essere in una riunione di lavoro. Il sottosegretario, invece, dice che lui non ne sa nulla. «Mio figlio ha 49 anni e da molto tempo non seguo il suo percorso lavorativo, né ho potuto orientare le sue scelte essendo particolarmente geloso della sua autonomia. Chieda a Leonardo, società quotata, eventuali motivazioni riferite alle loro scelte».
L’ufficio stampa della spa non ha rilasciato commenti. Ma altre voci aziendali segnalano che, anche se il figlio del sottosegretario è entrato in azienda pochi giorni fa, la selezione del posto si sarebbe conclusa prima della caduta del Conte I, quando Bruno era semplice deputato (assai attivo nella ricerca di “responsabili” per salvare la maggioranza M5S-Pd) ma senza le deleghe pesanti che ha oggi con Draghi.
L’entourage dell’ad non sembra preoccupato nemmeno dal fatto che nei palazzi sia notorio il rapporto antico tra Profumo e Tabacci senior, che pochi giorni fa erano insieme al workshop dell’Agenzia spaziale italiana. La stima tra i due è cementata da lustri di amicizia e rispetto reciproco, tanto che nel settembre del 2011 l’ex democristiano, durante un confronto alla festa di Alleanza per l’Italia di cui era animatore politico insieme a Francesco Rutelli, rivolse al banchiere parole al miele: «Dobbiamo cavalcare la bandiera del rigore morale che può essere premessa del rilancio del paese. Uomini come Alessandro Profumo, persona libera e indipendente, devono cominciare a dare una mano alla politica. Devi sporcarti le mani, questa è la sfida per uomini come te!». L’allora ad di Unicredit accettò il guanto di sfida: «Con tutta l’umiltà accetto la provocazione di Bruno. Mi metto in gioco. Ma non voglio apparire l’uomo della provvidenza». É noto che il banchiere milanese non abbia mai fatto il gran passo nell’agone, e che abbia preferito “dare una mano” al palazzo trasformandosi in apprezzato manager di Stato.
Chi conosce Tabacci sa che l’apprezzamento per l’ad di Leonardo è rimasta immutata nel tempo, anche dopo la (controversa) sentenza del tribunale di Milano dello scorso ottobre, che ha condannato Profumo a sei anni per lo scandalo di Monte dei Paschi. La vicenda dell’assunzione del figlio, però, potrebbe mettere in dubbio la necessaria terzietà dell’azione di governo nei confronti di una multinazionale strategica, i cui vertici dipendono direttamente dall’esecutivo.
Questione di opportunità
Per la cronaca la carriera professionale di Simone, che prima di entrare in Leonardo lavorava in Wimmer Financial (una banca d'investimento londinese specializzata sul finanziamento di progetti di debito ed equity nel campo dell’immobiliare, dell’energia e dell’industria) si è già intrecciata in passato con faccende politiche che avevano al centro il celebre papà. Era il 2011 e Bruno, al tempo assessore del Bilancio a Milano della giunta Pisapia, fu tra i protagonisti del merge tra la Sea, l’azienda che controllava gli scali di Malpensa e Linate, e il fondo privato F2i che acquistò le quote del comune meneghino. Anche allora qualcuno alzò un sopracciglio quando si scoprì che Simone era dirigente di Alerion, una società partecipata dal fondo F2i. Le polemiche scemarono però subito, quando Alerion spiegò ai media che Tabacci junior collaborava con loro dal lontano 2001, mentre l’assessore precisò come «mio figlio ha una certa età e totale autonomia, io non mi sono mai occupato delle sue cose».
Probabilmente è vero, così come è probabile che Simone sarà un bravissimo quadro a Leonardo. Ma per il governo tutto e sottosegretario di Draghi le questioni di opportunità, nell’assunzione del rampollo, restano inevase.
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