È la radicale diversità tra le due leader ad aver fatto scattare l’allarme rosso degli altri partiti. Il tentativo di ritrovare un principio d’ordine nel sistema politico in preda al caos da anni e disertato dagli elettori passa per identità chiare, leadership riconoscibili, differenze di visione, capacità di parlare a tutto il paese
La campagna elettorale che non c’è provocherà il risultato più scontato, la fuga degli elettori. Nel 2019 votarono in meno di 27 milioni, il 54 per cento, nel 2014 erano stati il 57 per cento. È facile prevedere che l’8 e il 9 giugno i votanti saranno meno della metà degli aventi diritto, per la prima volta nella storia repubblicana in una consultazione elettorale nazionale.
La desolazione rende ancora più anti-storica la decisione di impedire di fatto il faccia a faccia televisivo in prima serata tra le due principali leader Giorgia Meloni e Elly Schlein che almeno avrebbe avuto l’effetto di incuriosire milioni di telespettatori e che sarebbe stato seguito dagli interventi degli altri leader.
La par condicio, nata per impedire la disuguaglianza delle parti in èra berlusconiana, per garantire il pluralismo dei contendenti, si è capovolta nel suo opposto: la parete bianca, lo scaffale vuoto, il campo di gioco deserto con le squadre che restano negli spogliatoi, la sterilizzazione del confronto politico.
Complici gli oligarchi accasati nelle agenzie e nelle autorithy, ma non quelli di cui ha scritto Giuseppe De Rita (Corriere della sera, 17 maggio) che per decenni hanno equilibrato i gerarchi della politica, semmai oligarchi-gerarchi, discendenti di quelli immortalati da Alessandro Manzoni nel capitolo XII dei Promessi sposi: «I deputati si radunarono, o come qui si diceva spagnolescamente nel gergo segretariesco d’allora, si giuntarono; dopo mille riverenze, complimenti, preamboli, sospiri, sospensioni, proposizioni in aria, tergiversazioni, strascinati tutti verso una deliberazione da una necessità sentita da tutti...».
Due Italie diverse
In tutto questo giuntarsi di riverenze, dove il cavillo si allea con l’antipolitica, prendendo la forma nota dell’avvocato del Popolo traslocato a Palazzo, rimane l’unico fatto politico di questa campagna elettorale, almeno per ora, ovvero la disponibilità alla competizione delle leader delle due principali forze politiche, Meloni e Schlein, e la reazione scomposta degli altri capipartito soprattutto a quanto l’evento prospettava, l’allusione a un sistema futuribile.
Due donne, due leader, insospettabili di inciucio, o anche solo di somiglianza. Basta vedere la giornata del 17 maggio, dedicata alla lotta contro l’omofobia, la transfobia e la bifobia, che il governo Meloni ha deciso di celebrare rifiutandosi di aderire alla dichiarazione congiunta dell’Unione europea, ancora una volta dalla parte sbagliata, con Ungheria, Slovacchia, Romania, Bulgaria, paesi baltici, Croazia, Slovenia, nove no su 27.
O l’intervento di oggi di Meloni al raduno di Vox. Nessuna sovrapposizione è possibile tra l’Italia di Meloni e l’Italia di Schlein. Ma è proprio la radicale diversità tra le due leader ad aver fatto scattare l’allarme rosso degli altri partiti. Il tentativo di ritrovare un principio d’ordine nel sistema politico in preda al caos da anni e disertato dagli elettori passa per identità chiare (in Europa i moderati sempre più attratti dalla destra contro i socialisti e i progressisti), leadership riconoscibili, differenze di visione, capacità di parlare a tutto il paese.
La difficoltà di Conte
Soprattutto alle elezioni dell’8 e del 9 giugno, quando si voterà con la legge proporzionale e gli elettori sceglieranno i partiti che hanno detto con chiarezza chi sono. La violenta reazione al faccia a faccia televisivo tra le due leader, all’insegna del tutti o nessuno, segnala in primo luogo la difficoltà di Giuseppe Conte.
Il leader dei Cinque stelle ha capito benissimo quello che gli osservatori più smaliziati fanno fatica a vedere e a raccontare, la mucca nel corridoio del centrosinistra: in questo momento per l’ex premier non c’è pericolo maggiore della segretaria del Pd che, senza entrare mai direttamente in polemica, prosciuga lo stagno in cui Conte sguazzava indisturbato, come Meloni ha fatto sul lato destro con Salvini. La centralità politica è passata di mano.
Senza muovere un dito, in due settimane Schlein ha incassato la disponibilità di Meloni a scontrarsi con lei, il fuoco di sbarramento di Conte e del suo apparato che non parla d’altro, la tregua armata nel Pd con i candidati a caccia di preferenze.
E intanto la segretaria da mesi, prima che la campagna elettorale cominciasse, viaggia lontana dalla ztl, in quei luoghi dove vivono gli elettori spariti, gli italiani che non sono quelli dell’inchiesta ligure con gli yacht e i casinò, ma quelli del rapporto Istat sulla povertà economica, lavorativa, educativa, giovanile.
Qualcosa che, in modo magari approssimativo e sommario, si avvicina alla realtà.
Un tempo era il terreno prediletto di destra e dei populisti. Oggi, pensa te, torna a essere frequentata dalla sinistra. Meloni parla di premierato, Conte di parità di tribuna televisiva, Schlein di parità di accesso alle cure nella sanità pubblica. Sarebbe la novità più interessante, a vederla arrivare.
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