- In questa fase così complicata per il governo, tra inciampi istituzionali e difficoltà sul Pnrr, gli organi costituzionali silenziosamente sopperiscono alle carenze.
- Quirinale, Corte costituzionale, Consiglio di Stato e Corte dei conti stanno aprendo un solco entro il quale il governo può continuare a camminare.
- I tecnici, però, non possono colmare i vuoti della politica, che dovrà decidere se proseguire così o ingaggiare scontri con l’Ue o battaglie politiche di segno opposto, ma a suo rischio e pericolo.
Il disegno costituzionale si fonda su poteri e contropoteri, in un bilanciamento che permette al sistema di rimanere in equilibrio.
Tuttavia non esistono vuoti: quando un organo di rilevanza costituzionale è più debole, quasi fisiologicamente si espandono gli altri. Infatti, parlando dei poteri del Quirinale il costituzionalista Giuliano Amato - che dell’apparato statale ha ricoperto molti luoghi chiave – li ha definiti «a fisarmonica», perchè in grado di restringersi o allargarsi a seconda delle esigenze.
In questo momento, con un governo politicamente solido ma in difficoltà rispetto alla gestione istituzionale, è ciò che silenziosamente sta accadendo. Attorno all’esecutivo Meloni, infatti, si è formato un cordone sanitario istituzionale che compensa le mancanze, raddrizza le storture più macroscopiche sul piano dei diritti e previene gli errori più evidenti per non mancare l’appuntamento del Pnrr. Sopperendo in questo modo ai limiti di una maggioranza che si trova sempre più a corto di personale tecnico, oltre che politico, per gestire i dossier più delicati.
Il Quirinale
L’azione più evidente è quella del presidente della Repubblica, Sergio Mattarella. Il Quirinale è il potere neutro per eccellenza, tuttavia negli ultimi mesi ha compiuto instancabilmente uno sforzo di supplenza rispetto al governo, coprendone alcune mancanze politiche.
Mattarella si è recato a Cutro per rendere omaggio alle bare dei migranti vittime del naufragio quando la premier tentennava. Nel giorno del 25 aprile ha pronunciato le parole che il governo non riusciva a dire, ricordando il valore della resistenza e che «la Repubblica è figlia della lotta antifascista». Ha collocato senza ambiguità l’Italia tra le forze occidentali contro la furia «bellicista» della Russia mentre alcune componenti del governo lasciavano spazio ad ambiguità e, dalla Polonia, ha messo in evidenza la necessità di «una nuova politica di migrazione e di asilo dentro l'Unione europea, superando vecchie regole che sono ormai della preistoria».
Attraverso la moral suasion più che con l’esercizio dei poteri sostanzialmente presidenziali, Mattarella sta guidando l’esecutivo entro il perimetro costituzionale, ben attento a non farlo sbandare. Un ruolo, questo, che lo ha fatto diventare sempre più elemento di stabilità e riferimento anche per i leader politici stranieri. La presenza di Mattarella, però, rischia di diventare troppo ingombrante per il governo, che ne ha apprezzato la sponda ma nello stesso tempo guarderebbe con diffidenza ad alcune prese di posizione. Proprio questo rapporto verrà messo alla prova nei prossimi mesi: Meloni, infatti, ha lanciato il cantiere delle riforme istituzionali - prima tra tutte il presidenzialismo - e il Quirinale non potrà che seguirle con attenzione.
La Corte costituzionale
Nella complessa architettura costituzionale, la Consulta ha il ruolo di giudice delle leggi e la giurisprudenza della Corte ha sviluppato un ventaglio di pronunce che permettono di agire chirurgicamente sull’interpretazione delle norme prima ancora che sul testo. Un agire astratto sulla carta ma in realtà molto concreto.
Già in questa prima parte di legislatura sono state due le decisioni della Corte che hanno mitigato da un lato l’azione del governo e dall’altro hanno evitato di metterlo in difficoltà. La prima, recente, ha riguardato il caso Cospito. L’anarchico ha interrotto lo sciopero della fame contro il regime di carcere duro del 41 bis solo dopo che la Consulta - nel procedimento sollevato sulla quantificazione della pena definitiva - ha interpretato il meccanismo delle attenuanti e aggravanti in modo da lasciare al giudice una discrezionalità. Scelta giuridicamente motivata, arrivata in modo celere e che non ha in alcun modo sconfessato la linea dura dell’esecutivo, ma che ha allentato provvidenzialmente la tensione su un caso che poteva arrivare alle estreme conseguenze.
La Corte, poi, a inizio legislatura ha utilizzato le sue prerogative per lasciare più tempo al governo per intervenire sulla riforma del carcere ostativo, evitando la dichiarazione di incostituzionalità che già era stata rinviata per lasciare al parlamento della passata legislatura il tempo di legiferare. Durante la relazione sulle pronunce che ogni anno la Consulta svolge, però, la presidente Silvana Sciarra ha mandato alcuni segnali precisi al governo, ribadendo la necessità di «leale collaborazione» con il legislatore. L’avvertimento più chiaro ha riguardato i diritti dei minori. Sciarra, infatti, ha ricordato la recente giurisprudenza della corte in materia di famiglia che fa riferimento al «superiore interesse del minore» e ha ribadito i diritti «anche dei figli di coppie gay» rispetto alla libera circolazione dei cittadini europei, sottolineando che le sentenze delle Corti sovranazionali sono effettive e vincolanti anche in Italia. Parole non casuali, vista l’intenzione di Fratelli d’Italia di rendere la gestazione per altri “reato universale”.
Il Consiglio di Stato
Rispetto al dossier più delicato nelle mani dell’esecutivo – la buona riuscita del Pnrr – sono entrati in campo altri due organi di rilevanza costituzionale: Consiglio di Stato e Corte dei conti.
Determinante per la messa a terra del Pnrr, infatti, è il nuovo codice dei contratti pubblici. Il ministro dei Trasporti Matteo Salvini lo ha rivendicato politicamente come un suo successo, tuttavia - come ha precisato per difendersi dagli attacchi - il testo è frutto dell’elaborazione del Consiglio di Stato. A prevederlo era la legge delega del 2022, visto che tra le funzioni della giustizia amministrativa c’è quella di essere consigliera dell’esecutivo. L’ultima parola sul testo spetta al Mit, che ha due anni per rettificare il contenuto del codice, tuttavia dentro il Consiglio di Stato c’è la convinzione di aver assolto in pieno alle funzioni di alta amministrazione. La commissione, infatti, ha redatto il codice in circa tre mesi di lavoro, mettendo attenzione in particolare sui parametri europei, chiarisce una fonte interna al Consiglio. I giudici amministrativi hanno messo un surplus di attenzione ad armonizzare il testo con le tre direttive Ue del 2014, con l’obiettivo di prevenire eventuali dichiarazioni di illegittimità delle norme da parte della Corte di giustizia, come invece è successo con le norme sui balneari.
Predisposte le norme a prova europea e prodotto un testo armonico, tuttavia, il Consiglio di Stato non può spingersi oltre e sul tavolo del governo pendono i due passaggi fondamentali per dare attuazione al testo: la digitalizzazione, con creazione della banca dati nazionale dei contratti pubblici entro il 31 dicembre 2023 a cui è destinata una fetta dei fondi Pnrr, ma soprattutto il passo che politicamente sarà più problematico: la riduzione del numero delle stazioni appaltanti, eliminando le micro stazioni che, secondo i giudici amministrativi, sono anche quelle più attaccabili sul piano corruttivo. Ma appunto i tecnici predispongono, poi spetta alla politica agire.
La Corte dei Conti
In questa fase così delicata si è aggiunto anche un quarto soggetto pubblico. La Corte dei conti è sempre stata fucina di burocrazia di stato ma, se in passato era considerata un passo indietro rispetto alla magistratura amministrativa e agli altri organi di rilievo costituzionale, oggi sta guadagnando il suo posto chiave tra i silenziosi supplenti dell’esecutivo.
Il presidente Mauro Carlino, forte della propria autorevolezza e della familiarità con il presidente della Repubblica, ha collocato la giustizia contabile come punto di riferimento del governo. Indirettamente attraverso le relazioni semestrali, che hanno messo in guardia rispetto al rischio sempre più concreto che i ritardi compromettano il piano. Ma anche in modo diretto, con la nomina del presidente di sezione della Corte dei conti, Carlo Alberto Manfredi Selvaggi, come coordinatore della nuova struttura di missione Pnrr.
Ad appoggiarsi sempre di più sulla Corte dei conti è il ministro per gli Affari europei con la delega all’attuazione del Pnrr, Raffaele Fitto. Lui per primo, già all’inizio del suo mandato, ha citato esplicitamente alcuni passaggi delle relazioni della Corte, a partire dal rischio di ritardi per la programmazione 2014-2020. Sempre lui ha scelto personalmente Selvaggi, che è stato capo dipartimento per gli Affari regionali della presidenza del Consiglio nel governo Berlusconi di cui anche l’attuale ministro faceva parte.
La nomina, tuttavia, è solo la conferma di come l’esecutivo Meloni abbia trovato proprio nella magistratura contabile il suo riferimento, come dimostrato anche dalla prevalenza di magistrati contabili nei gabinetti ministeriali.
Tuttavia, come per il Consiglio di Stato, i giudici contabili avvertono. Poi però spetta alla politica darvi seguito e dalla Corte dei conti si stanno facendo sempre più insistenti gli allarmi, visto che nelle due delibere del collegio di controllo concomitante - nato per verificare lo stato di avanzamento del Pnrr - per la prima volta si legge che c’è il “rischio concreto di riduzione del contributo finanziario messo a disposizione della Ue” nella quarta rata da 16 miliardi di euro.
In questa complessa rete di prerogative degli organi costituzionali e di moral suasion sul governo Meloni, i prossimi mesi saranno cruciali: per il Pnrr nell’ottica dei rapporti del governo con l’Unione europea e per le riforme istituzionali che la premier è decisa a portare avanti. Il governo dovrà decidere quanto oltre spingersi e se uscire dal perimetro di tutela a suo rischio e pericolo.
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