Al Quirinale la Cerimonia per la giornata della donna. Meloni ci sarà (Schlein forse no). Ma mancano all’appello molte leggi e il gender gap è ancora desolante
L’appuntamento è nell’agenda ufficiale di palazzo Chigi: Giorgia Meloni partecipa alla cerimonia per la giornata internazionale della donna. Una presenza che alla vigilia alcune fonti non davano per certa, ma è difficile che la presidente rinunci alla stretta di mano con Sergio Mattarella proprio nei giorni in cui le distanze fra le due istituzioni sono sembrate crescere.
E invece probabilmente anche quest’anno Elly Schlein non ci sarà. L’anno scorso non era arrivata perché – motivazione ufficiale – non era ancora insediata segretaria del Pd, ed era andata a fare un’assemblea con le lavoratrici e le delegate di un centro commerciale alla periferia Roma. Fino a ieri la sua pagina 8 marzo era vuota: non è impossibile che spunti in uno dei cortei di Non una dimeno.
La destra invece si prepara a portare a casa il massimo della visibilità possibile. Mentre Eugenia Roccella, ministra per la famiglia, la natalità e (solo per terzo) le pari opportunità farà il suo discorso davanti al capo dello stato, Fdi ha organizzato presìdi in 250 piazze per raccontare quello che ha fatto il governo per le donne.
Numeri desolanti
Un bilancio, quello sulle azioni per accorciare il gender gap del paese, che dovrebbe essere un report pacifico, basato su dati e riscontri. Non è così, maggioranza e opposizioni si dividono e per ora vantano una sola legge votata insieme, la legge Roccella che rafforza le norme del Codice Rosso per la tutela delle vittime di violenza, arrivata nel novembre 2023 sull’onda dell’indignazione per l’omicidio di Giulia Cecchettin.
Per il resto i numeri, che la destra ha ereditato dai governi precedenti, restano desolanti. Il governo vanta l’aumento del tasso di occupazione delle donne: a gennaio le lavoratrici erano 10 milioni 95 mila, il 42,5 per cento del totale, più 188 mila unità. Ma l’Italia continua a detenere il record del più basso tasso in Europa (51,1 per cento).
Il Pnrr, su cui i governi Conte II e Draghi avevano puntato per schiodare queste cifre, per il momento non ha prodotto molto, da questo punto di vista: per i progetti in corso è saltata la clausola sull’obbligo di assunzione di giovani sotto i 36 anni e di donne; varrà solo per i futuri bandi, sempre che le regole non cambino di nuovo. Nella legge di bilancio del 2022 è stato adottata «La Strategia nazionale per la parità di genere 2021-2026», ispirata alla Gender Equality Strategy dell’Unione europea, e che segnava le priorità trasversali del Pnnr. Le scelte del nuovo governo non vanno nella stessa direzione.
Le norme che mancano
Secondo le opposizioni mancano ancora all’appello alcune leggi cruciali. A partire da quella sul principio del consenso sui reati di stupro. Per il nostro codice penale la definizione di stupro si basa solo sull’uso della coercizione e della forza. Mancano poi norme efficaci sulla parità salariale, sull’educazione affettiva nelle scuole (un riferimento è contenuto nel Codice rosso, ma del lavoro della commissione del ministro Valditara si sono perse le tracce), sul rilancio dei consultori, sui congedi parentali paritari, sulle molestie.
Nella scorsa legislatura è stata approvata all’unanimità in commissione una legge proposta dal Pd sull’equilibrio fra i sessi nelle autorità indipendenti, negli organi delle società a controllo pubblico e delle società quotate.
Anche di questo si è persa traccia. «Il tema vero è che Giorgia Meloni, che tende a dire “io ce l’ho fatta, con le regole degli uomini”, rinuncia a giocare la partita vera per le donne», secondo la senatrice Valeria Valente, componente della commissione sul femminicidio, «che è invece cambiare quelle regole per fare in modo che tutte le altre ce la facciano, non solo donne straordinarie o speciali. La scommessa vera per chi ha ruoli apicali è tutta lì, aprire la strada per le altre donne. Altrimenti ce la farà sempre una su mille».
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